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Azione revocatoria: vendita tra parenti e presunzioni

La Corte di Cassazione conferma la revoca di una vendita immobiliare tra madre e figlia. L’azione revocatoria è stata accolta perché il legame di parentela, unito ad altri indizi, costituisce una presunzione sufficiente a dimostrare la consapevolezza della figlia di ledere le ragioni del creditore della madre. La Corte ha ritenuto che la vendita fosse finalizzata a sottrarre il bene alla garanzia patrimoniale del creditore, il cui diritto derivava da una precedente e problematica compravendita immobiliare.

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Azione Revocatoria: La Vendita Immobiliare tra Madre e Figlia è Inefficace

L’azione revocatoria è uno strumento fondamentale a tutela dei creditori. Ma cosa succede quando un debitore vende un immobile a un parente stretto, come un figlio? La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 16963/2024 offre chiarimenti cruciali su come il rapporto di parentela giochi un ruolo determinante nel provare la consapevolezza del danno arrecato al creditore. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da una compravendita immobiliare problematica. Un acquirente aveva comprato un immobile scoprendo solo in seguito che questo era viziato da un grave illecito urbanistico (lottizzazione abusiva), che ne determinava l’incommerciabilità e la perdita di proprietà. Di conseguenza, l’acquirente aveva intrapreso un’azione legale contro la venditrice per ottenere la restituzione del prezzo e il risarcimento dei danni.

Per tutelare il proprio credito, l’acquirente aveva ottenuto un sequestro conservativo sull’unico altro immobile di proprietà della venditrice. Tuttavia, l’esecuzione del sequestro falliva: appena un mese prima, la venditrice aveva venduto la nuda proprietà di tale immobile alla propria figlia, riservandosi il diritto di abitazione. A questo punto, il creditore avviava una nuova causa chiedendo che tale vendita fosse dichiarata inefficace nei suoi confronti tramite un’azione revocatoria.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, accoglieva la domanda del creditore, ritenendo la vendita tra madre e figlia pregiudizievole per le sue ragioni.

L’Azione Revocatoria e i Motivi del Ricorso in Cassazione

La figlia, insoddisfatta della decisione d’appello, proponeva ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali.

In primo luogo, sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel presumere la sua consapevolezza di danneggiare il creditore (scientia damni) basandosi quasi esclusivamente sul loro rapporto di parentela. A suo dire, la vendita era giustificata dalla necessità di ottenere liquidità per affrontare le spese di un giudizio amministrativo e non per frodare il creditore. Contestava, quindi, l’applicazione di un automatismo probatorio legato al vincolo familiare.

In secondo luogo, lamentava un’errata condanna al pagamento integrale delle spese legali. Poiché la domanda iniziale del creditore era duplice (simulazione e, in subordine, revocatoria) e solo la seconda era stata accolta, a suo avviso si configurava una soccombenza reciproca che avrebbe dovuto portare a una diversa ripartizione delle spese.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello.

Sul primo motivo, i giudici hanno chiarito che la valutazione degli elementi indiziari (presunzioni) è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in Cassazione solo per vizi di motivazione, qui assenti. La Corte d’Appello non ha applicato un mero automatismo, ma ha costruito un ragionamento presuntivo solido basato su una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti, come richiesto dagli articoli 2727 e 2729 del Codice Civile.

Gli elementi chiave valorizzati sono stati:
1. L’anteriorità del credito: Il credito del danneggiato, anche se ancora in fase di accertamento giudiziale (sub iudice), era sorto prima dell’atto di vendita.
2. La consapevolezza della madre: La venditrice era palesemente consapevole di ledere la garanzia patrimoniale del suo creditore.
3. Il rapporto di parentela: Il legame madre-figlia rendeva altamente probabile che la figlia fosse a conoscenza della problematica situazione debitoria della madre e delle vicende giudiziarie relative al primo immobile venduto.
4. L’inverosimiglianza della giustificazione: La tesi della figlia, secondo cui l’acquisto serviva a tutelarsi da un ipotetico nuovo coniuge della madre, è stata ritenuta contraddittoria e implausibile.

La Cassazione ribadisce quindi un principio consolidato: il rapporto di parentela strettissimo tra le parti dell’atto dispositivo è un elemento presuntivo di grande rilevanza per dimostrare la scientia damni del terzo acquirente nell’azione revocatoria.

Anche il secondo motivo relativo alle spese è stato respinto. La Corte ha precisato che l’accoglimento integrale della domanda principale di revocatoria comporta la piena vittoria del creditore. Il rigetto della domanda subordinata di simulazione non configura una soccombenza, neppure parziale, e pertanto la condanna della parte soccombente al pagamento totale delle spese era corretta.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela dei creditori di fronte ad atti dispositivi posti in essere tra familiari stretti. Il principio affermato è chiaro: sebbene il legame di parentela non costituisca una prova automatica, esso rappresenta un indizio così forte da fondare, insieme ad altri elementi, una presunzione di consapevolezza del pregiudizio arrecato al creditore. La decisione serve da monito: le operazioni immobiliari intra-familiari, quando esiste una situazione debitoria nota, sono soggette a un attento scrutinio e possono essere facilmente rese inefficaci attraverso l’azione revocatoria, proteggendo così l’integrità della garanzia patrimoniale del debitore.

In un’azione revocatoria, il rapporto di parentela tra venditore e acquirente è sufficiente a provare la consapevolezza del danno al creditore?
No, non è una prova automatica, ma secondo la Corte costituisce un elemento presuntivo di particolare rilevanza che, unito ad altri indizi, può essere sufficiente a dimostrare la consapevolezza del terzo acquirente (la cosiddetta scientia damni).

Un credito non ancora accertato da una sentenza definitiva può giustificare un’azione revocatoria?
Sì. La Corte ha confermato che anche un credito litigioso, ovvero ancora oggetto di un giudizio (sub iudice), è idoneo a costituire il presupposto per esercitare l’azione revocatoria, in quanto ciò che rileva è l’esistenza di una ragione di credito.

Se un attore vince sulla sua domanda principale ma perde su quella subordinata, si verifica una soccombenza reciproca?
No. La Corte ha stabilito che l’accoglimento integrale della domanda principale (in questo caso, l’azione revocatoria) determina la vittoria completa dell’attore. Il rigetto della domanda subordinata (quella di simulazione) non comporta una sua soccombenza parziale e, di conseguenza, la parte perdente è tenuta al pagamento integrale delle spese di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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