Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10297 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10297 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2569/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2182/2021 depositata il 08/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 12/01/2009 NOME e NOME COGNOME nonché NOME COGNOME impugnano per cassazione la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2182/2021, pubblicata in data 08.07.2021, resa in un giudizio in cui sono rimasti soccombenti riguardo a un’azione revocatoria esercitata dalla Dobank s.p.a. quale mandataria di Unicredit ex art. 2901 cod.civ. Dobank s.p.a., quale mandataria di Unicredit s.p.a, ha notificato controricorso illustrato da successiva memoria.
RAGIONE_SOCIALE nella sua qualità di creditrice della somma di €. 1.188.910,00, accertato con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo del 27 aprile 2017, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.p.a. e dei fideiussori NOME e NOME COGNOME, chiedeva al tribunale di Monza, ex art. 2901 cod.civ., la dichiarazione di inefficacia degli atti con i quali questi ultimi, in data 27 febbraio 2012, avevano venduto alla propria madre COGNOME NOME, il primo, la nuda proprietà di un appartamento, il secondo, la piena proprietà di due garage. Assumeva la banca attrice che tali atti avevano pregiudicato la sua posizione creditoria allora già sussistente, diminuendone la garanzia patrimoniale dovuta dai debitori ai sensi dell’art. 2740 cc. Innanzi al Tribunale di Monza si costituivano separatamente NOME COGNOME da un lato, e NOME COGNOME e la madre COGNOME dall’altro; NOME COGNOME proponeva altresì un’articolata serie di domande riconvenzionali tra le quali, per quel che ancora interessa, la dichiarazione di estinzione della fideiussione ex art.
1957 cod.civ. per mancato avvio delle azioni giudiziali nei termini previsti e dell’abuso da parte della Banca del diritto ad agire in revocatoria. Il Tribunale di Monza accoglieva la domanda di Dobank s.p.a., rigettando le domande ed eccezioni dei convenuti, ivi comprese quelle riconvenzionali proposte da NOME COGNOME, condannando i convenuti alle spese del giudizio.
Adita la Corte d’appello di Milano con separati atti di citazione di NOME COGNOME per un verso, e NOME COGNOME e COGNOME per l’altro, la Corte di merito, previa riunione dei procedimenti, confermava la sentenza di primo grado, rilevando, in sostanza, come la banca creditrice di un credito già sussistente al tempo degli atti dispositivi del patrimonio messi in atto da parte dei convenuti NOME COGNOME (quali fideiussori della società RAGIONE_SOCIALE) avesse agito per recuperare la garanzia del proprio credito avverso debitori divenuti nel frattempo, con atti contestuali, del tutto impossidenti per essersi, volontariamente e senza una seria giustificazione, spogliati integralmente dei propri beni, andati a favore della loro madre, non rilevando le motivazioni soggettive di questi ultimi o il fatto che dalle cessioni immobiliari avessero conseguito la corrispondente liquidità in danaro, in ciò richiamando precedenti giurisprudenziali. Trattandosi pertanto di atti dispositivi tra congiunti era inoltre da presumersi che tutte le parti fossero consapevoli del pregiudizio arrecato agli interessi della creditrice. Né sotto il profilo decadenziale ex art. 1957 cod.civ. rilevava che la banca avesse agito per via giudiziale con ritardo rispetto al termine decadenziale di 36 mesi stabilito nella clausola, posto che la fideiussione era autonoma e a prima richiesta e, pertanto, era sufficiente che la banca, con lettera raccomandata del 23 dicembre 2013, avesse intimato a NOME COGNOME il pagamento dei debiti della società obbligata principale, impedendo in modo idoneo e conforme il verificarsi della decadenza.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso attiene alla denuncia di violazione e falsa applicazione dell’ art. 1957 c.c. per la mancata declaratoria di estinzione della fideiussione concessa da NOME COGNOME sull’assunto che nel caso di specie, la banca non avrebbe agito nel termine di 36 mesi dalla scadenza dell’obbligazione e non vi sarebbe stato alcun riconoscimento del diritto di credito da parte del fideiussore. Il motivo è inammissibile ex art.366 n. 4 cod.proc.civ. in quanto non offre idonee argomentazioni giuridiche per contrastare l’indirizzo giurisprudenziale, seguito dalla Corte di merito, in base al quale, trattandosi di fideiussione a prima richiesta, deve ritenersi sufficiente ad evitare la decadenza la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale ( cfr. ex multis Cass. civ. Sent. n. 22346/2017; n. 13078/2008).
Il secondo motivo inerisce alla denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ. e all’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con riferimento all’art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 cod.proc.civ. Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME si deduce che non sia stata adeguatamente considerata la carenza dei presupposti sottesi all’azione revocatoria ex art. 2901 cod.civ. quali: a) l’atto di disposizione patrimoniale inter vivos , posto in essere dal debitore; b) l’ ‘ eventus damni ‘, ovvero il pregiudizio delle ragioni del creditore connesso all’atto di disposizione patrimoniale; c) la ‘ scientia damni ‘ o ‘ consilium fraudis ‘, inteso quale consapevolezza del debitore dell’effetto pregiudizievole per le ragioni del creditore connesso al suo atto di disposizione; ed infine d) per gli atti a titolo oneroso (o ‘ partecipatio fraudis ‘), intesa quale consapevolezza anche del
terzo (a beneficio del quale sia stato posto in essere l’atto) di arrecare, con l’atto dispositivo, un pregiudizio al creditore.
Il terzo motivo attiene alla denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ. e all’ omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, richiamando l’art. 360 co. 1 nn. 3 e 5 cod.proc.civ. con riferimento alla posizione di NOME COGNOME e NOME COGNOME e si muovono analoghe censure nella valutazione delle prove offerte nel giudizio ed altresì nell’applicazione delle norme di diritto, ritenendo sussistenti sia l’elemento oggettivo che soggettivo sottesi all’art. 2901 cod.civ..
6.1. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
6.2. I ricorrenti hanno richiamato genericamente l’art. 2901 cod.civ. e ritrascritto i capi della sentenza d’appello là dove ha ritenuto la sussistenza dell’ eventus damni e della scientia damni, tuttavia astenendosi dall’indicare specificamente sia le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che sarebbero in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con la loro interpretazione, sia i fatti ‘decisivi’ il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte d’Appello di Milano, limitandosi a sollecitare un’inammissibile nuova valutazione del materiale probatorio da parte della Corte di Cassazione. Sicché le censure sono inammissibili poiché la lettura dei motivi evidenzia come la loro illustrazione non si correli alla motivazione amplissima enunciata dalla Corte territoriale che ha considerato tutti gli elementi della fattispecie alla luce dei fatti presi in considerazione, con motivazione esaustiva e rispettosa del cd minimo costituzionale di cui a Cass. SU 8053/2014 (Cass, SU 23745 del 28/10/2020).
6.3. Inoltre, anziché porgere argomenti idonei a mettere in luce le denunciate violazioni di norme, le censure tendono a
indurre questa Corte a rivalutare i fatti di causa attraverso gli elementi di prova presi ampiamente e coerentemente in esame dalla Corte di merito, senza mettere in discussione i parametri normativi per valutarle. Il che è inammissibile giacché non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle (così, Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016).
6.4. Sotto il profilo dell’art. 348 ter , co. 5 cod.proc.civ., inoltre, trattandosi di una sentenza ‘doppiamente conforme’, deve rilevarsi che la censura è inammissibile per quanto riguarda il vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 cod.proc.civ., non essendo prospettato se e in quale misura la motivazione si differenzi dalla quella della sentenza di primo grado (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 in favore della parte controricorrente.
Va altresì disposta la condanna dei ricorrenti al solidale pagamento di somma ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento in favore della parte controricorrente:
delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 12.200,00, di cui € 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 12.000,00 ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 21/2/2025