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Azione revocatoria: vendita tra coniugi inefficace

Una società creditrice ha agito in giudizio per far dichiarare inefficace la vendita di una quota immobiliare tra un debitore e il proprio coniuge. La vendita era avvenuta poco dopo la notifica di un decreto ingiuntivo. Il Tribunale ha accolto la domanda, ritenendo sussistenti i presupposti dell’azione revocatoria: il pregiudizio per il creditore (eventus damni) e la consapevolezza di tale pregiudizio da parte di entrambi i coniugi (scientia damni), desunta dal rapporto di coniugio e dalla stretta vicinanza temporale tra la notifica del debito e l’atto di compravendita.

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Azione Revocatoria: Quando la Vendita tra Coniugi Non Sconfigge i Creditori

L’azione revocatoria è uno strumento cruciale a tutela del credito, specialmente quando un debitore tenta di spogliarsi dei propri beni per sottrarli all’esecuzione forzata. Una recente sentenza del Tribunale di Torino offre un’analisi dettagliata di un caso emblematico: la vendita di una quota immobiliare tra coniugi, avvenuta strategicamente dopo la notifica di un decreto ingiuntivo. Questo provvedimento chiarisce come la legge protegge i creditori da atti dispositivi che pregiudicano le loro garanzie patrimoniali.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da due contratti di finanziamento stipulati nel 2011 da una debitrice con due diverse società finanziarie. A seguito del mancato pagamento, il credito veniva ceduto a una società specializzata nel recupero, la quale, dopo un sollecito formale, otteneva un decreto ingiuntivo dal Tribunale di Torino nell’ottobre 2023. Il decreto veniva notificato alla debitrice lo stesso mese.

A meno di due mesi dalla notifica, la debitrice vendeva al proprio coniuge la sua quota di proprietà (pari a 27/100) su alcuni terreni, per un prezzo di 4.000,00 euro. Ritenendo tale atto lesivo delle proprie ragioni, la società creditrice avviava un’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., chiedendo al Tribunale di dichiarare l’inefficacia della compravendita nei suoi confronti.

L’Azione Revocatoria e i Suoi Presupposti

L’azione revocatoria ordinaria, disciplinata dall’art. 2901 del Codice Civile, permette al creditore di “revocare”, ovvero rendere inefficaci nei suoi confronti, gli atti con cui il debitore dispone del proprio patrimonio, qualora questi atti rechino pregiudizio alle sue ragioni. Per avere successo, l’azione richiede la prova di due presupposti fondamentali:

1. L’Eventus Damni: Il presupposto oggettivo, che consiste nel pregiudizio effettivo arrecato al creditore. Non è necessario che l’atto renda il debitore totalmente insolvente, ma è sufficiente che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito.
2. La Scientia Damni: Il presupposto soggettivo, ovvero la consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore. Se l’atto è a titolo oneroso (come una vendita) e successivo al sorgere del credito, è richiesta anche la consapevolezza del terzo acquirente (la cosiddetta participatio fraudis).

Le Motivazioni della Decisione del Tribunale

Il Tribunale di Torino ha accolto la domanda della società creditrice, ritenendo provati entrambi i presupposti dell’azione revocatoria.

La Sussistenza dell’Eventus Damni

Il giudice ha stabilito che la vendita della quota immobiliare rappresentava un chiaro eventus damni. Tale atto, infatti, ha comportato una diminuzione quantitativa del patrimonio della debitrice, sostituendo un bene immobile (facilmente aggredibile) con una somma di denaro (facilmente occultabile). Il Tribunale ha sottolineato che è onere del debitore dimostrare di possedere altri beni sufficienti a garantire il credito, prova che in questo caso non è stata fornita.

La Prova della Scientia Damni nell’azione revocatoria tra Coniugi

Il punto più interessante della sentenza riguarda la dimostrazione della scientia damni, ovvero la consapevolezza del danno da parte di entrambi i coniugi. Il Tribunale ha ritenuto tale consapevolezza ampiamente provata tramite presunzioni.

In primo luogo, il ristrettissimo intervallo temporale tra la notifica del decreto ingiuntivo (21 ottobre 2023) e l’atto di vendita (18 dicembre 2023) è stato considerato un elemento decisivo. Secondo il principio dell’id quod plerumque accidit (ciò che accade di solito), è altamente probabile che i coniugi, determinandosi a compiere un atto dispositivo così importante subito dopo la notifica di un debito, fossero a conoscenza delle rispettive situazioni finanziarie e delle conseguenze del loro gesto.

In secondo luogo, il rapporto di coniugio stesso costituisce una forte presunzione di conoscenza reciproca delle difficoltà economiche. Il Tribunale ha valorizzato il fatto che le parti avessero dichiarato nell’atto di vendita di essere coniugi in regime di separazione dei beni, confermando l’esistenza di un legame stretto che rende inverosimile l’ignoranza della situazione debitoria da parte del coniuge acquirente.

Le Conclusioni

Il Tribunale ha dichiarato l’inefficacia della compravendita nei confronti della società creditrice. Questo non significa che la vendita sia nulla o annullata tra i coniugi, ma semplicemente che per il creditore è come se non fosse mai avvenuta. Di conseguenza, il creditore potrà pignorare la quota immobiliare oggetto della vendita e soddisfare il proprio credito come se fosse ancora nel patrimonio della debitrice. La sentenza condanna inoltre entrambi i coniugi al pagamento solidale delle spese legali, evidenziando la loro comune responsabilità nella vicenda.

Quando una vendita tra coniugi può essere resa inefficace da un creditore?
Una vendita tra coniugi può essere resa inefficace tramite un’azione revocatoria quando sussistono due condizioni: l’atto di vendita pregiudica la capacità del creditore di recuperare il proprio credito (eventus damni) e sia il coniuge venditore (debitore) sia quello acquirente sono consapevoli di arrecare tale pregiudizio (scientia damni).

È necessario dimostrare che i coniugi volessero frodare il creditore?
No. Se l’atto di vendita è successivo al sorgere del credito, come nel caso esaminato, non è necessario dimostrare un’intenzione fraudolenta (consilium fraudis). È sufficiente provare la semplice consapevolezza, anche da parte del coniuge acquirente, che l’operazione avrebbe reso più difficile per il creditore recuperare le somme dovute.

Come si può provare che il coniuge acquirente era a conoscenza del debito?
La prova può essere fornita tramite presunzioni. Nel caso specifico, il Tribunale ha ritenuto decisive due circostanze: lo stretto legame temporale tra la notifica del decreto ingiuntivo e l’atto di vendita, e il rapporto di coniugio stesso, che fa presumere una condivisione delle informazioni relative alla situazione economica e debitoria della famiglia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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