Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9567 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9567 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3819/2024 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE e dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE cessionaria dei crediti vantati originariamente da RAGIONE_SOCIALE, incorporante BANCA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, qui rappresentata da RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL, EMAIL;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE NOME;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 964/2023, depositata il 23/11/2023 e notificata il 28/11/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 594/2018, il Tribunale di Brindisi dichiarava l’inefficacia, ex art. 2901 cod.civ., nei confronti della Banca Carime S.p.A., creditrice dell’importo di euro 230.867,42 verso la Gold Fish S.r.L., di cui NOME COGNOME si era costituito garante (fino alla concorrenza di euro 260.000,00), della compravendita, avente ad oggetto le unità immobiliari facenti parte del complesso sito in Brindisi, alla INDIRIZZO, intercorsa tra il COGNOME e NOME COGNOME, sua cognata, ritenendo sussistenti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione revocatoria: il COGNOME si era spogliato del suo patrimonio, rendendosi impossidente, dopo il sorgere del credito, era a conoscenza delle obbligazioni bancarie facenti capo alla RAGIONE_SOCIALE, della quale era amministratore oltre che socio al 50%; anche l’acquirente, NOME COGNOME dato lo stretto rapporto con il COGNOME, di cui era cognata, unitamente alla circostanza che il disponente avesse continuato a vivere nell’immobile alienato, aveva consapevolezza che l’atto dispositivo avrebbe arrecato pregiudizio alle ragioni creditorie.
La Corte d’ Appello di Lecce, con la sentenza n. 964/2023, ha rigettato il gravame proposto dal COGNOME e ha confermato l’impugnata pronuncia.
Per quanto ancora rileva in questa sede, ha respinto il terzo motivo con cui era stata chiesta la riforma della sentenza per non essersi il tribunale pronunciato e/o per non avere motivato in ordine alla natura di atto dovuto dell’alienazione per cui è causa. L’appellante aveva dedotto di avere acquistato l’immobile nel 2011
insieme con NOME COGNOME in previsione del loro matrimonio, utilizzando allo scopo denaro ottenuto attraverso un mutuo bancario garantito con fideiussione rilasciata da NOME COGNOME padre di NOME COGNOME, oltre che con iscrizione ipotecaria; fallito il progetto matrimoniale aveva alienato alla cognata l’immobile, assumendosi l’obbligo di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca attraverso il versamento alla banca dell’importo di euro 64.557,11, ricevuto quale corrispettivo.
Il giudice a quo , pur accertando la presenza di una distinta di versamento di euro 49.875,96 da parte del COGNOME per l’estinzione del mutuo erogato dalla Monte dei Paschi di Siena, ha escluso che ciò provasse la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901, 3° comma, cod.civ., perché le deduzioni dell’appellante a tale scopo formulate non avevano provato che la vendita dell’immobile era stata indispensabile per estinguere un debito scaduto per il quale era stato costituito in mora né tale prova poteva esaurirsi nella circostanza che egli non risultasse intestatario di altri cespiti immobiliari.
Il COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la suindicata sentenza della corte di merito, affidato a tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Intesa San Paolo, RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
È stata formulata proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ.
Il COGNOME ha chiesto ritualmente e tempestivamente la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis , 2° comma, cod.proc.civ.
La trattazione del ricorso è stata fissata, quindi, ai sensi dell’art. 380bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ., per avere
il giudice a quo omesso di pronunciarsi sulla scadenza del debito adempiuto.
Il motivo è infondato.
La motivazione con cui la corte territoriale ha rigettato il terzo motivo di appello, negando la sussistenza dei presupposti per ritenere l’atto dispositivo per cui è causa posto in essere per estinguere un debito scaduto è invero senz’altro sussistente, superando il minimo costituzionale, ed è ben percepibile.
Non può che confermarsi a tal riguardo che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il vizio denunciato deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva. Il vizio di motivazione, infatti, non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove del giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. L’ iter logico seguito, fondato sull’assunto per cui quanto dedotto non fosse idoneo alla prova della fattispecie invocata, è -si ripete del tutto percepibile, a nulla rilevando, perché la legge processuale non li valorizza, i profili di sufficienza nell’esplicitazione dei singoli passaggi di interconnessione tra la conclusione (inidoneità alla dimostrazione dei fatti idonei ad integrare la fattispecie) e il fondamento di esse (tenore concreto delle allegazioni svolte); né le affermazioni motivazionali presentano profili di contraddittorietà che possano far ipotizzare un difetto di motivazione rilevante ex art. 132, 2° comma, n 4 cod.proc.civ. (Cass. 21/10/2019, n. 26764).
2) Con il secondo motivo il ricorrente prospetta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3. cod.proc.civ
La corte d’appello non avrebbe preso in considerazione una serie di fatti storici, decisivi e oggetto di discussione tra le parti: i) l’obbligazione di estinguere il mutuo fondiario assunta dal disponente nei confronti di NOME COGNOME provata dalla transazione del 31/5/2005; ii) l’esercizio della facoltà, di cui al Testo Unico sul credito fondiario approvato con rd n. 646/1905, artt. 12 e 13 come modificati dall’art. 7 del dpr. n 7/1976, di estinguere anticipatamente il proprio debito.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che parte ricorrente è incorsa in un evidente errore di sussunzione, perché riconduce la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo alla categoria giuridica di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ. anziché a quella di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., si rileva che, quand’anche si proceda d’ufficio alla sua riqualificazione, la censura non può accogliersi perché non supera la preclusione di cui all’art. 348 ter , ult. comma, cod.proc.civ., secondo cui quando la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. Parte ricorrente per evitare l’inammissibilità del motivo avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse erano tra loro diverse (Cass. 28/02/2023, n. 5947).
Né può farsi a meno di ribadire che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° comma, n. 6, e 369, 2° comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente avrebbe dovuto indicare il “fatto
storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053). Si evidenzia, altresì, che costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a detti profili, come nel caso all’esame (cfr. Cass. 14/09/2022, n.27076; Cass. 25/07/2023, n.22273).
Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod.proc.civ. e dell’art. 2901 cod.civ.
Ritiene che la corte d’appello, reputando indimostrata la natura di atto dovuto della compravendita per cui è causa, sia incorsa in un errore di percezione <>: Banca
RAGIONE_SOCIALE non si era limitata ad affermare che il COGNOME aveva con detto atto ceduto l’immobile di sua proprietà, ma aveva anche affermato, a chiare lettere, che con detto atto dispositivo si era reso impossidente. Di conseguenza, la corte di appello avrebbe dovuto ritenere provata la condizione di impossidenza del ricorrente in quanto affermata dalla stessa banca nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e, per l’effetto, ritenere provata la circostanza che l’atto di alienazione posto in essere era l’unico mezzo che il debitore aveva a disposizione per adempiere agli obblighi assunti con la scrittura privata del 31/01/2005.
Il motivo è inammissibile.
Anche senza considerare che sul vizio di travisamento del fatto e della prova è intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite, n. 5792 del 05/03/2024, che ha superato il principio di diritto enunciato da Cass. 21/12/2022, n. 37382, la cui applicazione è stata invocata da parte ricorrente, è evidente che tutto lo sforzo argomentativo è volto alla confutazione di un obiter dictum -cioè di un’affermazione eccedente la necessità logico giuridica della decisione – che non si è tradotto in ratio decidendi . Da p. 8 dell’impugnata sentenza si evince, infatti, che la corte territoriale dopo avere escluso che il COGNOME avesse provato di avere posto in essere l’atto revocando allo scopo di estinguere <>, ha rilevato <>, specificando <>, che la necessità di vendere il bene per potersi procurare il denaro necessario al soddisfacimento di detti debiti non poteva ritenersi provata attraverso la <>.
Va ribadito che è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza
impugnata svolta ad abundantiam , e pertanto non costituente una ratio decidendi della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 08/06/2022, n. 18429).
All ‘ infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
Il ricorrente va condannato al pagamento degli importi, liquidati come in dispositivo, ex art. 96, 3° e 4° co., cod.proc.civ., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge; di euro 6.000,00 ex art. 96, 3° comma, cod.proc.civ. Condanna il ricorrente al pagamento di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, 4° comma, cod.proc.civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 14 febbraio 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME