SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 1668 2025 – N. R.G. 00002066 2022 DEPOSITO MINUTA 29 09 2025 PUBBLICAZIONE 29 09 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI FIRENZE
TERZA SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello di Firenze, TERZA SEZIONE CIVILE, in persona dei Magistrati:
NOME COGNOME
Presidente relatore
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 2066/2022 promossa da:
(cf:
)
e
(cf:
), con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME
PARTE APPELLANTE
nei confronti di
(cf:
, con il patrocinio
dell’Avv. NOME COGNOME
(cf:
), rappresentata da I COGNOME;
dell’
(cf:
)
rappresentata da
(cf:
, P.
con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME
PARTI APPELLATE
avverso
la sentenza n. 545/2022 emessa dal Tribunale di Prato e pubblicata il 26/09/2022.
CONCLUSIONI
In data 26.11.2024 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:
Per la parte appellante:
C.F.
C.F.
P.
P.
P.
P.
Voglia l’Ill.ma Corte di Appello di Firenze, contrariis reiectis:
in accoglimento dei motivi di impugnazione come articolati in parte narrativa ed in consequenziale riforma dell’impugnata sentenza, dichiarare inammissibile l’intervento di e rigettare integralmente la domanda ex art. 2901 cc proposta da
,
e
nei
sis siti
richiesti per il relativo accoglimento;
condannare gli appellati al pagamento, in favore degli appellanti, delle spese e dei compensi professionali relativi ai due gradi del giudizio, oltre al 15% sul compenso, I.V.A. e C.N.P.A. come per legge.
Per la parte appellata Contro
CONCLUDE affinché l’Ill.ma Corte d’Appello adita voglia respingere l’appello proposto dai signori e contro la Sentenza n.545/2022 del Tribunale di Prato, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio.
Per la parte appellata
CONCLUDE affinché l’Ill.ma Corte d’Appello adita voglia respingere l’appello proposto dai signori e contro la Sentenza n.545/2022 del Tribunale di Prato, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio.
Per la parte appellata
Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, per i motivi di cui in narrativa, contrariis reiectis, respingere in toto l’interposto appello, confermando integralmente la sentenza di Prime cure, emessa dal Tribuna-le di Prato in data 26/9/22 n. 545/22.
Con vittoria di spese e competenze professionali, anche del presente giudizio.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Prato, con sentenza n. 545/2022 pubblicata il 26/09/2022, ha così deciso:
a) dichiara
l’inefficacia nei confronti della società creditrice e della società cessionaria dei crediti, per le causali di cui in motivazione, del
seguente atto: COMPRAVENDITA RAGIONE_SOCIALE -Atto pubblico Notaio Dott. del 26.04.2017, Repertorio n.71.830 – Raccolta n.41.533, trascritto all’Agenzia delle Entrate -Ufficio Provinciale-Territorio di Prato in data 10.05.2017 al n.5345 R.G. -3367
b) condanna,
i convenuti in solido al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 27.851,20 ( compreso aumento del 30 % ai sensi dell’art 4, comma 2, DM 55/2014, per la difesa di pluralità di parti) per compenso professionale, oltre I.V.A. , C.P.A. e spese generali nella misura di legge in favore della parte attrice e di AMCO intervenuta nel processo nonché delle spese per CU e notifica a favore di parte attrice;
c) dichiara
l’inefficacia dell’atto di cui al capo a) anche nei confronti della società intervenuta
d) condanna,
i convenuti, in solido, al pagamento delle spese processuali a favore di intervenuta ai sensi dell’art 105 cpc, liquidate in complessivi Euro 9694,00 per compenso professionale, oltre I.V.A. , C.P.A. e spese generali nella misura di legge;
e) ordina
al Conservatore dei RR.II. di Prato di provvedere alle necessarie trascrizioni e annotazioni a margine dell’atto impugnato.
1.1 La (di qui innanzi anche solo aveva esperito azione revocatoria nei confronti di per far dichiarare inefficace nei suoi confronti il contratto di compravendita del 26.4.2017, col quale aveva trasferito alla moglie i diritti di nuda comproprietà in ragione di ½ a esso spettante, riservando il diritto di usufrutto vitalizio, su di una serie di beni immobili (un fabbricato a uso civile abitazione con giardino di mq 900; un terreno agricolo di mq 4000). Contr
A sostegno della domanda, aveva dedotto d’essere creditrice del in quanto fideiussore di in relazione al finanziamento chirografario n. 741694868 del 27.3.2015 stipulato con la banca, per il quale la mutuataria risultava debi trice morosa per € 291.957,54; nonché in quanto fideiussore di e dichiarate fallite dal Tribunale di P rato con sentenza dell’8.11.2017, ai passivi delle quali ra insinuata, rispettivamente, per € 289.579,81 e per € 363.929,08.
aveva ottenuto contro due decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, Contr
rispettivamente di € 288.143,21 e di € 363.929,08 .
L’atto di alienazione comprometteva le ragioni creditorie ed era stato posto in essere per eludere il credito.
1.2 e si erano costituiti per resistere.
Avevano dedotto che la aveva pagato, per effetto del subentro nel rapporto di mutuo, il prezzo pattuito nel contratto di compravendita immobiliare e tale prezzo era stato destinato al pagamento di debiti scaduti e garantiti in ogni caso mediante iscrizione di ipoteca volontaria sull’immobile .
Inoltre, che pochi mesi dopo il contratto impugnato, il unitamente al fratello aveva sottoscritto un contratto preliminare sospensivamente condizionato di datio in solutum , in forza del quale i promittenti venditori si erano impegnati a cedere alle società concordatarie, nell’interesse del ceto creditorio e al fine di accrescerne l’attivo, alcuni beni immobili di loro titolarità esclusiva o contitolarità.
Di conseguenza,
(-) non era creditore di perché le fideiussioni erano nulle per violazione della legislazione antitrust; Contr
(-) i decreti ingiuntivi erano stati opposti e non potevano essere addotti in questa sede contro la
(-) l’atto impugnato aveva consentito l’estinzione di debiti scaduti, così che ricorreva l’ipotesi dell’art. 2901 co. 3^ c.c.;
(-) non v’era eventus damni , potendo la banca rivalersi sull’usufrutto .
1.3 Era intervenuta ex art. 111 c.p.c., quale cessionaria dei crediti,
(di qui innanzi anche solo , facendo propria la domanda di Contr
1.4 Aveva altresì dispi egato intervento, ai sensi dell’art. 15 c.p.c., (di qui innanzi anche solo , sostenendo d’essere creditrice dei due convenuti per avere essi rilasciato fideiussioni in favore di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, che era debitrice di CRF per una serie di rapporti bancarî; e che i convenuti si erano infine
riconosciuti debitori per la somma di € 188. 629,00.
Quei crediti erano stati trasferiti a Intesa San Paolo spa e poi cedute a che ne era ora titolare.
Aveva dunque chiesto dichiararsi inefficace la compravendita anche nei propri confronti, essendo quell’atto pregiudizievole per le possibilità di recupero del credito.
1.5 Il Tribunale, nell’accogliere le domande revocatorie, ha :
1.5.a riconosciuto l’esistenza di crediti, pur se litigiosi;
1.5.b escluso l’ipotesi dell’art. 2901 co. 3^ c.c., perché la compravendita non costituiva di per s adempimento di un debito scaduto;
1.5.c reputato esistente l’ eventus damni , per la maggiore difficoltà di recupero dei crediti che l’atto impugnato determinava;
1.5.d convalidato l’elemento soggettivo, desumibile da presunzioni;
1.5.e ritenuto che entrambi gli interventi erano ammissibili.
2.
Con atto di citazione, regolarmente notificato, e
(di seguito anche appellanti) hanno convenuto in giudizio, innanzi questa Corte di
Appello,
,
e (di seguito anche appellate), proponendo gravame avverso la suddetta sentenza per i seguenti motivi di appello:
2.1 In primo luogo, hanno lamentato, anche sotto la specie della violazione dell’art. 112 c.p.c., che il giudice non aveva deciso sulla loro eccezione di difetto di legittimazione attiva di per non essere titolare di alcuna posizione creditoria n confronti di RAGIONE_SOCIALE
Invero, essi avevano dedotto sia la nullità delle fideiussioni rilasciate da per violazione della normativa antitrust; sia che i decreti ingiuntivi erano stati opposti e, dunque, non erano stati accertati in via irrevocabile.
2.2 In secondo luogo, si dolgono gli appellanti del mancato accoglimento della eccezione ex art. 2901 co. 3^ c.c., fondata sulla circostanza che la compravendita era destinata all’adempimento di un debito gravante sul nei confronti di derivante dal Contr
contratto di mutuo stipulato con atto a rogito del Notaio i Prato in data 24.4.2013.
Il Tribunale aveva disatteso l’eccezione sul rilievo che l’atto in sé non costituiva adempimento del debito scaduto; ma, così motivando, non aveva tenuto conto che, per giurisprudenza costante, ogni qual volta il corrispettivo derivante dal l’atto impugnato in revocatoria è destinato a saldare un debito scaduto, ricorre l’ipotesi dell’art. 2901 co. 3^ c.c. –
2.3 In terzo luogo, hanno lamentato che il patrimonio residuo del era sufficiente per garantire il debito, come risultava da allegazioni non contestate e come era comunque provato ; fra l’altro, era restato titolare dell’usufrutto, diritto economicamente valutabile in 462mila euro, come da perizia di parte del Geom. .
2.4 In quarto luogo, gli appellanti contestano l’elemento soggettivo della scientia damni .
Il primo giudice lo aveva desunto da indizi relativi alle vicende delle società di cui era garante e socio; dal rapporto di coniugio, dal contenuto della compravendita, e, quanto alla acquirente, dalla sua esperienza professionale quale commercialista.
Tuttavia, lamentano gli appellanti, il Tribunale non aveva tenuto presente, a monte, che era convinto -e lo aveva dimostrato -di disporre di un patrimonio residuo sufficiente per assicurare la garanzia del credito.
Per di più, nulla poteva in qualche modo far pensare che la alla da del 16.4.2017, avesse contezza che le società del sarebbero fallite.
2.5 Il quinto motivo è diretto contro per farne dichiarare inammissibile l’intervento , perché tardivo, ossia avvenuto dopo il compiersi delle preclusioni.
La diversa decisione adottata dal Tribunale aveva violato il diritto di difesa dei convenuti.
Per tali ragioni è stata pertanto formulata dalla parte APPELLANTE richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
3.
Radicatosi il contraddittorio,
e
si sono costituite separatamente, ma con il medesimo procuratore e con analoghe difese, volte al rigetto dell’appello.
Anche , nel costituirsi in giudizio, ha contestato, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale ha chiesto per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.
Con ordinanza del 31.1.2024 la Corte ha disposto mediazione delegata, conclusasi negativamente.
La causa è stata trattenuta in decisione in data 26.11.2024, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta, con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni che seguono, da valere, ove occorra, a integrare la motivazione del primo giudice.
Il primo motivo , che reitera l’eccezione di carente legittimazione attiva di è infondato, dovendosi come segue integrare la motivazione del Tribunale. Contr
6.1 L’eccezione di nullità delle fideiussioni è , in quanto idonea a caducare in radice la fonte del credito (pur nella sua forma eventuale), utilmente sollevabile anche dinanzi al giudice della revocatoria, che ne può e deve conoscere incidentalmente, come questa stessa Corte ha già avuto modo di affermare (App. FI, III civ., sentenza n. 986/2023 del 10.5.2023, in motivazione al § I, con riferimenti alla giurisprudenza di legittimità).
6.1.a La fideiussione rilasciata il 27.3.2015 da in favore di a garanzia delle obbligazioni assunte da per il mutuo n. 741…868 (doc. 4 , in forza del quale la mutuata ria era esposta verso la mutuante per € 291.957,54, risulta, in effetti, rilasciata su modello prestampato che contiene le clausole nn. 2 ( clausola di reviviscenza : obbligo del garante di rimborsare le somme incassate dalla banca e da lei dovute ripetere per qualsiasi motivo), 6 ( clausola di rinuncia ai termini dell’art. 1957 c.c. : rinuncia agli effetti della decadenza in cui incorre il creditore ai sensi della norma citata) e 10 ( clausola di Contr Contr
sopravvivenza : obbligo del garante di restituire le somme erogate dalla banca anche in caso di invalidità della fideiussione).
Tali clausole sono state poi nel 2002 recepite nello schema negoziale tipico stilato dall’ABI, venendo però considerate dalla Banca d’Italia (provvedimento n. 55 del 2.5.2005), su conforme parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, contrastanti con l’art. 2 L. 287/1990, perché, in sostanza, davano vita a un cartello che aggrava la posizione del debitore.
Si sono formati, in conseguenza, tre orientamenti diversi nella giurisprudenza, anche di legittimità, sugli effetti conseguenti, soprattutto per quanto concerne la possibile tutela del debitore: che questi potesse sostenere la nullità della fideiussione, oppure la sola nullità delle clausole viziate o, infine, che non potesse incidere sul titolo, ma chiedere il mero risarcimento.
La S.C., con sentenza delle SSUU 30.12.2021 n. 41994, ha composto il dissidio convalidando il secondo orientamento (nullità parziale), esprimendo il seguente principio di diritto:
« I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. »
Per quanto interessi, la Corte spiega in motivazione che:
(-) la nullità parziale è rilevabile di ufficio, ma se la parte interessata persista e pretenda l’accertamento della nullità totale, non potrebbe il giudice pronunciare la nullità parziale, pena la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. (vds § 2.20.2, in particolare: « il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale. E tuttavia, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo (Cass. Sez. U., 12/12/2014, nn. 26242 e 26243; Cass., 18/06/2018, n. 16501) ») ;
(-) si presume, in difetto di precisa allegazione e rigorosa dimostrazione del contrario, che il fideiussore, tanto più se vicino all’interesse del debitore, e la banca avrebbero stipulato il contratto anche senza le clausole viziate (vds §§ 2.15.2 e 2.15.3).
Nella presente fattispecie:
6.1.a.i l ‘eccezione si rivela prima di tutto inammissibile, perché gli appellanti persistono, anche nell’atto di appello, successivo all’intervento della Corte regolatrice, a dedurre e sostenere la nullità totale del contratto di fideiussione, anziché delle singole clausole;
6.1.a.ii per completezza, essa è infondata, dal momento che la nullità delle clausole non rende nullo l’intero contratto ai sensi dell’art. 1419 co. 2^ c.c., perché, in difetto di allegazione e prova del contrario, si presume che socio della debitrice e comunque imprenditore che tramite le società in concreto operava , avrebbe senz’altro stipulato la fideiussione (che, anzi, nel testo privo di quelle clausole, sarebbe stata anche più favorevole per lui); così come l’avrebbe stipulata che aveva comunque un interesse (preminente rispetto al vantaggio contenuto nelle clausole da eliminare) commerciale forte a ottenere la copertura di garanzia per le obbligazioni per la società mutuataria. Contr
6.1.b Le fideiussioni prestate in favore delle società (doc. 10 e (doc. 11 sono, in sostanza e al di là di alcune clausole diversamente numerate, sovrapponibili a quella già esaminata, così che, richiamati gli argomenti già svolti, non si ritiene di dover ulteriormente approfondire. Contr RAGIONE_SOCIALE
6.2 Il motivo è invece manifestamente infondato nel resto.
L’esistenza di una controversia sul credito a difesa del quale la revocatoria è stata esperita, infatti, qualifica il credito, ai fini dell’art. 2901 c.c., come credito litigioso, categoria che rientra in quella del credito eventuale, sicuramente sufficiente per legittimare all’azione (Cass. SSUU 18.5.2004 n. 9440 e successive).
6.3 Per di più, l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 808/2018 emesso nei confronti del in relazione ai suoi obblighi di garante di risulta essere stata rigettata con sentenza del Tribunale di Prato n. 55/2021 del 16.1.2021 (doc. 23 . Contr
6.4 L’eccezione, poi, secondo la quale , ammesso e non concesso che i decreti ingiuntivi possano valutarsi contro il non sarebbero in ogni caso opponibili alla che non ne è destinataria, è del pari infondata.
6.4.a Il concetto di credito eventuale , che, come s’è già spiegato, è sufficiente , quand’anche assuma la forma del credito litigioso , a legittimare all’azione revocatoria fa sì che, in ipotesi, il creditore possa agire ex art. 2901 c.c. anche in difetto di qualsiasi sua azione giudiziaria per l’accertamento del credito.
Non è, insomma, l’esperimento di una apposita azione giudiziale, men che meno l’ottenimento di un qualche provvedimento giudiziario favorevole , che, ai fini della revocatoria, è indispensabile per valutare l’esistenza del credito eventuale: è sufficiente che non si tratti di una pretesa manifestamente infondata (il che si può certo escludere in questa fattispecie) ovvero di una pretesa che sia stata già esclusa da una sentenza.
Se anche, dunque, si prescindesse dai decreti ingiuntivi, il credito di nella forma eventuale, sarebbe ampiamente provato – sia nei confronti di sia nei confronti della – dalla massa di documentazione relativa ai rapporti con le società debitrici e alle fideiussioni del che escludono certo che si sia dinanzi a una pretesa fantasiosa. Contr
È nel diverso eventuale processo avente a oggetto l’accertamento del credito che sarà valutata l’esistenza di un credito effettivo; con un accertamento che di certo non potrà fare stato contro la che non ha titolo per prendere parte alla causa.
6.4.b Ben si comprende, dunque, che i decreti ingiuntivi, in questa diversa causa revocatoria, non rilevano quale decisione giudiziale in sé, idonea o non idonea a fare stato nei confronti dei convenuti, ma solo quale ulteriore elemento che, assieme agli altri, fornisce e rafforza la prova del credito eventuale.
Se, cioè, è sufficiente, per dimostrare il credito eventuale, la produzione dei documenti che attestano l’esistenza del rapporto con le società debitrici, l’esistenza di loro debiti e l’esistenza della garanzia del i decreti ingiuntivi non fanno altro che corroborare la prova, rendendola più forte, nel senso che stanno a dimostrare che quel compendio documentale è stato addirittura in grado di far conseguire a una ingiunzione di pagamento nei confronti di è, quindi, il fatto storico che i decreti ingiuntivi attestano che rileva e, sotto questo profilo, la loro forza probatoria è eguale nei confronti del e della Contr
7. Il secondo motivo , che reitera l’eccezione ex art. 2901 co. 3^ c.c., va respinto, con le integrazioni di motivazione che seguono.
7.1 Sostengono gli appellanti (appello, pag. 9, comparsa di costituzione di primo grado, pag. 11) che il ricavato della vendita impugnata servì a per estinguere il suo debito verso la stessa per un mutuo da lui (e dalla moglie) stipulato con per atto rogato il 24.4.2013 dal Notaio di Prato. RAGIONE_SOCIALE
In particolare,
(-) in forza di quel mutuo di originari 500mila euro, il debito dei mutuatarî assommava, al momento dell’atto impugnato in revocatoria, a € 456.772,77;
(-) la quota parte del 50% facente carico a era di € 228.386,38;
(-) il prezzo della compravendita del 26.4.2017 (atto revocando) era stato pattuito in € 228.386,38 e il relativo debito era stato estinto dalla compratrice accollandosi la quota parte dell’obbligazione restitutoria incombente sul marito per il mutuo del 2013;
(-) in definitiva, la compravendita del 2017 era servita al debitore per estinguere un debito scaduto.
7.2 L’eccezione è infondata.
7.2.a In primo luogo, per quanto consti, alla data del 26.4.2017, non era decaduto dal beneficio del termine di cui godeva per il mutuo del 2013, sicché manca la prova che l’intero ammontare del suo debito residuo verso la banca mutuante fosse scaduto.
7.2.b Sotto profilo del tutto autonomo e di per sé solo sufficiente al rigetto dell’eccezione, è sì vero che, in linea di principio, si deve valutare in favore del debitore convenuto in revocatoria se il denaro ricavato dall’atto dispositivo sia stato destinato a estinguere un suo debito scaduto e che, dunque, la motivazione del Tribunale, che prescinde e sostanzialmente disconosce questo principio, non può essere esaustiva.
Nondimeno, omette la difesa appellante di considerare che l’art. 2901 co. 3^ c.c. è applicabile solo se « il debitore provi la strumentalità della cessione di quel bene rispetto all’esigenza di estinguere il debito e, cioè, qualora dimostri che essa rappresentava l’unico modo per poter saldare il debito. » (Cass. sez. 3^ civ. ord. 16.11.2023 n. 31941 rv 669581-01).
Nella presente fattispecie, gli appellanti non hanno allegato, men che meno provato, che l’alienazione dal marito alla moglie costituisse l’unico modo per estinguere l’altro debito, sicché il mezzo non può che essere disatteso.
8. Il terzo motivo , che riguarda l’ eventus damni , è infondato.
Gli appellanti, non disconoscono, né si sottraggono all’onere su di loro incombente di dimostrare -in presenza d’un atto dispositivo che ha oggettivamente ridotto il patrimonio immobiliare del debitore in cambio di denaro liquido -che il patrimonio residuo era capiente.
Essi, però, ritengono d’avere adempiuto l’onere, sia perché l’usufrutto che si è riservato in seno all’atto impugnato, è di per sé solo sufficiente a coprire il debito verso la banca, sia perché esistevano altri immobili utilmente aggredibili.
8.1 Il valore dell’usufrutto sui beni alienati alla moglie vale, secondo gli appellanti, 462mila euro, come tale idoneo a garantire la banca secondo questo ragionamento, che riproduce il contenuto di una perizia di parte: « il valore del compendio immobiliare all’epoca del trasferimento era pari ad euro 1.246.195 di guisa che la quota del sig. era pari ad euro 623.097,50. Considerato che il coefficiente da applicare per calcolare l’usufrutto di una persona di età compresa tra i 46 e 50 anni come era il sig al momento del perfezionamento dell’atto impugnato è pari al 74,25% e il valore della nuda proprietà è pari al 25,75%, si ha che il valore dell’usufrutto era pari appunto circa euro 462.000. Ponendo poi come base di vendita, in sede espropriativa, l’importo di euro 1.040.000 (corrispondente al valore dell’immobile periziato, al netto del ribasso del 20% usualmente disposto nelle espropriazioni immobiliari) il valore della quota aggredibile del sig. è pari ad euro 390.000 (id est il 74.5 % della quota lui spettante in piena proprietà), importo comunque superiore rispetto al credito di » (appello, pag. 12). Contr
Si dissente.
La vendita forzata potrebbe avere a oggetto, proprio per via dell’alienazione impugnata in revocatoria, il solo diritto di usufrutto, il che, come ha notato giustamente si ripercuoterebbe sull’appetibilità del bene, non potendosi quindi recepire acriticamente le stime ipotizzate dal perito di parte , che sottopone il valore dell’usufrutto a una falcidia assolutamente irrealistica rispetto a quanto la pratica giudiziaria attesta, soprattutto in relazione a un mero diritto parziario, in capo, per di più, a persona con davanti una vita media ancora lunga, ciò che, a esempio, scoraggerebbe acquirenti interessati a comprare una casa per abitarci. Contr
Peraltro, per quanto consti, il credito litigioso dedotto da è di € 291.957,54 per il finanziamento 741…868 di di € 289.579,81 per la garanzia dovuta a e di € 363.929,08 per in tutto circa 943mila euro. Ai Contr
presenti fini, il carattere eventuale del credito, come si è già in precedenza chiarito, non rileva, sicché può escludersi che la permanenza dell ‘usufrutto in capo al dia la prova della sua residua capienza.
8.2 Si deduce poi l’esistenza di altri immobili del un bene immobile sito in Prato, INDIRIZZO del valore di euro 170.000,00 e un bene immobile sito in Massa, INDIRIZZO del valore di euro 250.000,00.
Questo compendio immobiliare, fa notare la parte appellante, non solo è oggetto di perizie di parte non contestate, ma è stato anche reputato sufficiente a escludere l’ eventus damni dal medesimo Tribunale di Prato, che, con sentenza n. 526/2021 (in produzione appellanti), ha rigettato l ‘ azione revocatoria del creditore .
Tuttavia,
8.2.a da un lato, il credito di era sensibilmente inferiore a quello di come si legge nella sentenza; Contr
8.2.b la sentenza dimostra, al contempo, l’esistenza , quanto meno, di un altro creditore ( che dovrebbe soddisfare col suo patrimonio residuo, il che oggettivamente restringe ulteriormente la valenza di questi cespiti.
Può dunque escludersi senz’altro che le ulteriori proprietà immobiliari di fossero tali da assicurare a la garanzia del suo complessivo credito. Contr
9. Il quarto motivo , che attiene alla scientia damni , è infondato.
9.1 Esso, a ben vedere, si regge, prima di tutto, sulla circostanza che il patrimonio residuo del dato dall’usufrutto mantenuto sui beni ceduti alla moglie e dagli altri due immobili fossero in grado di garantire da questo presupposto, infatti, si evincerebbe che e, a fortiori , la non potevano rendersi conto della lesione del credito. Contr
Tuttavia, la pretesa esaustività del patrimonio residuo è stata smentita, sulla base di fatti, quali la misura del credito di o la esistenza di altri creditori interessati come , dei quali aveva per forza di cose piena consapevolezza, il che esclude che egli possa essere stato ignaro come pretende. Contr
9.2 Più in generale, ritiene il collegio che l’appello non tenga nel debito conto che la scientia damni consiste nella mera consapevolezza che l’atto dispositivo arreca al ceto
creditorio -e non necessariamente al creditore poi attore ex art. 2901 c.c. -uno svantaggio, anche solo potenziale (Cass. sez. 3^ civ. ord. 15.10.2021 n. 28423 rv 662502-01: « Ai fini dell’azione revocatoria ordinaria è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione, invece richiesta qualora quest’ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito. »; in precedenza, conforme: Cass. sez. 1^ civ. 5.7.2013 n. 16825).
tanto più nel quadro di una generale congiuntura molto negativa delle proprie imprese, col fallimento di numerose sue società, era pienamente consapevole che, alienando la nuda proprietà dei beni immobili de quibus , operava una variazione qualitativa del suo patrimonio in senso deteriore per il ceto creditorio, sia per la dismissione di cespiti imm0biliari, sia per la maggior difficoltà di una espropriazione del diritto parziario rispetto a quello dominicale pieno.
9.3 A non diversa soluzione deve pervenirsi per la
Fra i vari elementi presuntivi condivisibilmente messi in luce dal Tribunale, la critica degli appellanti tralascia quello più importante, ossia il rapporto di coniugio, il quale, in difetto di elementi contrari, fonda la presunzione di una adeguata circolazione all’interno della famiglia delle vicende imprenditoriali del marito, soprattutto nel momento in cui esse volgevano al peggio.
Quando la difesa appellante afferma che « tutto si può dire meno che la Dott.ssa potesse sapere, il 16.4.2017, che le società del sarebbero fallite » (appello, pag. 17, enfasi della parte) non si può essere d’accordo per almeno due ragioni: perché ciò che rileva non è se la prevedesse il fallimento delle società del gruppo imprenditoriale del marito, ma, più limitatamente, se si rendesse conto che il marito, con la vendita, stava restringendo, nei termini in precedenza meglio delineati, la garanzia dovuta al ceto creditorio; e perché, francamente, si può invece senz’altro agevolmente affermare sulla base del rapporto di coniugio, che la fosse al corrente delle difficoltà del marito, tanto più perché ella è una commercialista, circostanza che il Tribunale ha giustamente valorizzato non certo per instaurare, come si duole l’appellante, un indebito automatismo fra professione e conoscenze, ma per avvalorare la presunzione, che è condivisa dalla Corte, che una moglie
commercialista sia tenuta dal marito al corrente delle sue vicende di imprenditore, essendo una interlocutrice privilegiata sotto il duplice profilo personale e professionale.
9.4 Per il resto, il motivo si concentra su elementi, quali la congruità del prezzo di vendita e la destinazione del ricavato a estinguere un debito di che, quand’anche acriticamente recepiti, varerebbero a escludere un intento di danneggiare il creditore, ossia il consilium fraudis ; tema irrilevante in questa causa dove, pacificamente, l’elemento soggettivo si concretizza nella scientia damni .
Il quinto motivo , inteso a sostenere la tardività dell’intervento di è infondato.
Si premette che il mezzo è esclusivamente inteso a sostenere la inammissibilità dell’intervento di ossia, in sostanza, l’insussistenza di un diritto processuale di proporre domande in un momento in cui tutte le altre parti non l’avrebbero potuto fare.
In questi termini -che segnano il perimetro della cognizione del giudice d’appello il mezzo è manifestamente infondato, perché smentito dalla costante giurisprudenza di legittimità, l a quale, sulla base del chiaro tenore dell’art. 268 c.p.c., esclude qualsiasi preclusione assertiva per l’interveniente che si costituisca prima della precisazione delle conclusioni, dovendo egli sottostare solo alle preclusioni istruttorie (cr, fra molte, Cass. sez. 3^ civ. 26.5.2014 n. 11681 rv 630954; Cass. sez. 3^ civ. 14.12.2016 n. 25620).
L’obiezione che muovono gli appellanti a questo principio, ossia che verrebbe leso il diritto di difesa delle parti destinatarie dell’intervento, non ha ragion d’essere, perché è del tutto ovvio che, a bilanciare la possibilità di un intervento successivo alle preclusioni, sta la facoltà della controparte di svolgere, nella prima occasione processuale utile dopo l’intervento (o, a seconda dei casi, in un termine a difesa che venga chiesto), ogni attività difensiva, sia assertiva (sollevando eccezioni e, se del caso, proponendo domande riconvenzionali), sia probatoria resasi necessaria (in tal senso, Cass. sez. 3^ civ. ord. 5.2.2024 n. 3238 rv 670008601).
Al rigetto dell’appello consegue, per soccombenza, l’onere solidale delle spese .
11.1 Gli oneri sostenuti da e trattandosi della stessa parte sostanziale (essendo la seconda intervenuta ex art. 111 c.p.c.), rappresentata dal medesimo difensore, si liquidano unitariamente. Contr
Si applica il D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 147/2022, §§ 12 e 25 bis , parametri medi, ove non diversamente indicato, valore di causa pari all’ammontare del credito per il quale è stata esperita l’azione revocatoria ( scaglione sino a 1milione di euro).
Pertanto: € 5.706,00 fase 1, € 3.318,00 fase 2, € 3.822,00 fase 3 (così ridotto il parametro medio per la modesta attività di trattazione in concreto svolta), € 9.487,00 fase 4 ed € 1.507,00 fase di negoziazione (così ridotto il parametro medio per il minimo impegno risultante dal verbale negativo del 5.4.2024), in tutto € 23.840,00, oltre accessori di legge.
11.2 La liquidazione in favore di si opera sugli stessi criteri, avuto riguardo al diverso valore della causa, dipendente dal diverso importo del credito vantato (188mila euro).
Pertanto: € 2.977,00 fase 1, € 1.911,00 fase 2, € 2.163,00 fase 3 (ridotto), € 5.103,00 fase 4 ed € 1.008,00 fase di negoziazione (ridotto), in tutto € 13.162,00, oltre accessori di legge.
11.3 Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Firenze, sezione terza civile, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa, così provvede:
1. rigetta l’appello proposto da
e
nei confronti
di
,
, rappresentata da
, e
, rappresentata da
, avverso la sentenza n. 545/2022 emessa dal Tribunale di Prato e pubblicata il
26/09/2022;
2. condanna
e
in solido, a rimborsare a
e
, rappresentata da , le spese processuali del presente grado che liquida in complessivi € 23.840,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% sui compensi per rimborso forfettario di spese generali, nonché oltre cap e iva secondo legge;
3. condanna
e
in solido, a rimborsare a
, rappresentata da , le spese processuali del presente grado che liquida in complessivi € 13.162,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% sui compensi per rimborso forfettario di spese generali, nonché oltre cap e iva secondo legge;
dà atto che ricorrono nei confronti degli appellanti le condizioni per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. 115/02.
Firenze, camera di consiglio del 23 settembre 2025.
Il Presidente est. NOME COGNOME
Nota
La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.