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Azione revocatoria: vendita immobile e prova del danno

La Corte d’Appello conferma l’inefficacia di una vendita immobiliare tramite azione revocatoria. La venditrice, garante di un debito, aveva alienato il suo unico bene. La Corte ha ritenuto provata la consapevolezza del danno sia della venditrice che dell’acquirente, basandosi su presunzioni come il mancato incasso del prezzo e la permanenza della venditrice nell’immobile.

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Azione Revocatoria: La Vendita Sospetta e la Prova per Presunzioni

L’azione revocatoria è uno strumento fondamentale di tutela per i creditori. Permette di rendere inefficaci le vendite o altri atti con cui un debitore si spoglia dei propri beni per sottrarli alla garanzia del credito. Una recente sentenza della Corte di Appello di Napoli ci offre un’analisi dettagliata su come la consapevolezza del danno (la cosiddetta scientia damni), soprattutto da parte del terzo acquirente, possa essere provata attraverso una serie di indizi gravi, precisi e concordanti.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda una signora che aveva prestato una fideiussione a garanzia dei debiti di una società. A fronte di un’esposizione debitoria di quasi 140.000 euro, la signora decideva di vendere l’unico immobile di sua proprietà. L’istituto di credito, vedendo svanire la principale garanzia patrimoniale, avviava un’azione revocatoria per far dichiarare l’inefficacia della vendita nei suoi confronti.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, ritenendo che sussistessero sia il danno per il creditore (eventus damni) sia la consapevolezza di tale danno da parte della venditrice e dell’acquirente. La venditrice, tuttavia, proponeva appello, sostenendo che la prova della ‘complicità’ dell’acquirente non fosse stata adeguatamente fornita.

La Decisione della Corte di Appello

La Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado. La vendita dell’immobile è stata quindi dichiarata inefficace nei confronti della banca creditrice, che potrà così agire esecutivamente sul bene come se non fosse mai uscito dal patrimonio della sua debitrice.

L’Azione Revocatoria e la Consapevolezza del Terzo Acquirente

Il cuore della decisione ruota attorno alla prova della scientia damni dell’acquirente. L’articolo 2901 del Codice Civile richiede, per gli atti a titolo oneroso (come una vendita) successivi al sorgere del credito, che anche il terzo fosse consapevole del pregiudizio arrecato al creditore. Provare direttamente questa consapevolezza è spesso impossibile. Per questo, la giurisprudenza ammette il ricorso alle presunzioni.

Nel caso specifico, i giudici hanno individuato diversi elementi che, letti insieme, creavano un quadro probatorio solido:

1. Mancata Prova dell’Incasso del Prezzo: Sebbene fossero stati prodotti degli assegni, la difesa della venditrice non è riuscita a dimostrare l’effettivo incasso delle somme. La Corte ha sottolineato che non basta emettere un assegno; l’effetto liberatorio per il debitore si ha solo con la riscossione della somma. L’assenza di questa prova ha reso la transazione sospetta.
2. Permanenza della Venditrice nell’Immobile: Un altro indizio significativo è stato il fatto che la venditrice avesse mantenuto la residenza nell’immobile per diversi mesi dopo la vendita. Questo comportamento è apparso anomalo e in contrasto con un’effettiva e immediata presa di possesso da parte dell’acquirente.
3. Prezzo Inferiore al Valore di Mercato: La vendita era avvenuta a un prezzo notevolmente inferiore rispetto al valore di mercato stimato in un’altra perizia, suggerendo una possibile anomalia nella transazione.

Il Ruolo delle Presunzioni nell’Azione Revocatoria

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: in tema di azione revocatoria, l’onere della prova grava sul creditore, ma tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni. Quando più indizi sono gravi, precisi e concordanti, essi assumono valore di prova piena. La difesa della venditrice, concentrandosi su singoli aspetti e non offrendo una visione d’insieme convincente, non è riuscita a smontare il castello accusatorio basato sulle presunzioni costruite dal giudice di primo grado.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla coerenza logica degli elementi presuntivi. La consapevolezza della venditrice nel danneggiare le ragioni del creditore era palese, data la stretta connessione temporale tra la cristallizzazione del debito e la vendita del suo unico bene di valore. Per quanto riguarda l’acquirente, la Corte ha ritenuto che la combinazione di un prezzo basso, la mancata prova dell’effettivo pagamento e la permanenza della venditrice nell’immobile fossero più che sufficienti per presumere la sua consapevolezza. I giudici hanno specificato che la difesa basata sulla mera emissione di assegni, senza dimostrarne l’incasso, finisce per ammettere implicitamente la debolezza della propria posizione, rafforzando così le ragioni del creditore.

le conclusioni

Questa sentenza è un importante monito per chi si appresta a compiere operazioni immobiliari. Per i debitori, dimostra l’inefficacia di tentativi frettolosi di spogliarsi del patrimonio per sfuggire ai creditori. Per gli acquirenti, evidenzia la necessità di agire con la massima trasparenza e cautela, specialmente in presenza di ‘campanelli d’allarme’ come un prezzo troppo vantaggioso o modalità di pagamento poco chiare. In assenza di prove certe e documentate, anche un acquirente in apparente buona fede rischia di vedere il proprio acquisto ‘revocato’ e di essere coinvolto in lunghe e complesse vicende giudiziarie.

Quando un creditore può chiedere l’inefficacia di una vendita immobiliare?
Un creditore può agire con un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace una vendita quando questa pregiudica la sua capacità di recuperare il credito. È necessario dimostrare che il debitore fosse consapevole del danno arrecato e, nel caso di vendita a titolo oneroso, che anche il terzo acquirente fosse a conoscenza di tale pregiudizio.

Come si prova che l’acquirente di un immobile era a conoscenza del danno al creditore?
La sentenza chiarisce che la consapevolezza del terzo acquirente (scientia damni) può essere provata attraverso presunzioni, ossia indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso esaminato, elementi come un prezzo di vendita significativamente inferiore al valore di mercato, la mancata dimostrazione dell’effettivo incasso del prezzo e la permanenza del venditore nell’immobile dopo la vendita sono stati considerati prove sufficienti.

Il pagamento del prezzo con assegni è sufficiente a proteggere l’acquirente da un’azione revocatoria?
No. La Corte ha specificato che la semplice emissione di assegni non costituisce prova definitiva del pagamento. È necessario dimostrare l’effettivo incasso delle somme da parte del venditore. L’assenza di tale prova, unita ad altri elementi sospetti, può essere interpretata come un indizio a favore della tesi del creditore che agisce in revocatoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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