Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5193 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11608/2023 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 725/2023 depositata il 28/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 26 maggio 2023 COGNOME NOME insta per la cassazione della sentenza n. 725/2023, pubblicata il 28.03.2023, mediante la quale la Corte d’Appello di Venezia, avendo accertato la sussistenza di tutti i presupposti propri dell’azione revocatoria promossa dalla sorella COGNOME NOME per la vendita di tre immobili a una società di cui il figlio del fratello era legale rappresentante, rigettava l’appello dal medesimo promosso e confermava la pronuncia revocatoria di primo grado per i medesimi fatti e ragioni di diritto. La intimata COGNOME NOME ha notificato controricorso.
Ricevuta la proposta di definizione accelerata del procedimento per cassazione, parte ricorrente ha depositato istanza di fissazione dell’udienza.
Il ricorso è affidato a tre motivi.
Motivi della decisione
Con il primo motivo ex articolo 360 1 comma, n. 3 cod. proc. civ. il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 cod,civ. 1° comma, numero 2), art. 2729 c.c., 1° comma, deducendo la illegittima presunzione di conoscenza del pregiudizio in capo al terzo, perché tratta dal solo fatto di essere
parente del debitore, applicando però in modo errato il disposto dell’art. 2729 c.c., con l’individuazione del ‘rapporto di parentela quale unico elemento’. Assume che la corte di merito avrebbe dovuto correlare il rapporto di filiazione con altri presupposti quali la convivenza, l’assidua frequentazione, l’esercizio della professione nella medesima sede, etc. Il fatto che nessun presupposto ulteriore sia stato neppure menzionato, renderebbe -in tesi – censurabile il vizio in questa sede.
1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 cod,proc.civ. in quanto, pur indicando i passi della sentenza oggetto di censura, non offre argomentazioni idonee a mettere in discussione la validità del ragionamento presuntivo riposto sul rapporto di parentela (di filiazione) ai fini della ricostruzione della partecipatio fraudis del terzo ‘ quando tale vincolo -ritenuto elemento “ex se” sufficiente a fondare la prova presuntiva finanche della “partecipatio fraudis”, renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente’ (citando Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 10928 del 9/06/2020, Rv. 658216 – 01, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 1286 del 18/01/2019, Rv. 652471 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13447 del 29/05/2013, Rv, 626640 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5359 del 05/03/2009, Rv. 607194 – 01; Sez. 2, Sentenza n, 2748 del 11/02/2005, Rv. 579523 -01). Il ricorrente, inoltre, omette ogni considerazione in merito alle ulteriori circostanze che hanno indotto il giudice ad assumere che il figlio del disponente avesse piena cognizione della situazione in cui versava il padre, sul rilievo che ‘ il deterioramento dei rapporti familiari non è in alcun modo comprovato, e la mera diversa residenza indicata nell’atto di compravendita nulla prova circa il venir meno della frequentazione tra padre e figlio e dell’ordinario svolgimento dei rapporti familiari;
quanto ai problemi di salute del figlio, questi non sono documentati, poiché l’invocato doc. 11 del fascicolo dell’appellante riguarda la moglie NOME COGNOME mentre il doc. 11 di controparte è solo un atto difensivo… ‘.
1.2. Va osservato che la censura in ordine al non corretto utilizzo del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, avendo ad oggetto un apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato come nel caso in questione, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8023 del 02/04/2009; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 101 del 08/01/2015).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ex articolo 360 n. 3 cod. proc.civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. 1° comma, numero 1), art. 2729, 1° comma, c.c. deducendo la illegittima presunzione di conoscenza del pregiudizio in capo al debitore ( scientia damni ), per il solo fatto di essere stato a conoscenza del proprio debito. Deduce che la scientia damni verrebbe ‘declassificata’ ad una ‘ scientia debiti ‘, con conseguente violazione dell’art. 2901, 1° comma numero 1 (‘pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore’), considerato che l’eventus damni risulta requisito autonomo e antecedente logico allo stesso esame dell’elemento soggettivo.
2.1. Anche in questo caso il motivo è inammissibile ex art. 366 nn. 4 e 6 cod,proc.civ. in quanto omette di confrontarsi adeguatamente con la ratio decidendi. Va al proposito osservato che la Corte d’Appello ha non solo enunciato, ma anche scrutinato i presupposti per l’azione revocatoria, quali la necessità, da parte del debitore, di avere la mera conoscenza del pregiudizio (‘dolo generico’), senza che rilevi la volontà di ledere la garanzia patrimoniale generica del
creditore (‘dolo specifico’), nonché la possibilità di dimostrare detta consapevolezza per mezzo di presunzioni, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni. La applicazione pratica dei suddetti principi, tuttavia, non è stata circoscritta alla constatazione della conoscenza dell’esistenza del debito nei confronti della sorella, ma al pregiudizio che le avrebbe cagionato l’atto dispositivo, in relazione alla circostanza che ‘ In particolare, con l’alienazione oggetto di causa, il Formigari, che negli anni aveva già ceduto altri beni immobili alla moglie e alla figlia NOME COGNOME, ha trasferito alla società da egli amministrata la parte più consistente del proprio rimanente patrimonio, residuando all’esito esclusivamente la proprietà della quota dì 2/27 di un terreno edificabile e l’intera proprietà di un terreno agricolo, insufficienti a far fronte alle pretese creditorie ‘.
2.2. Il motivo, invece, si incentra su una locuzione ( ‘ Non vi è alcun dubbio che nel caso concreto il Formigari, al momento della stipula dell’atto, fosse consapevole delle ragioni di credito vantate nei suoi confronti e, conseguentemente, del pregiudizio derivante dalla vendita di una pluralità di beni ‘) che tuttavia rappresenta solo la conclusione dell’ ampio ragionamento che ha condotto il giudice del merito a ritenere sussistente la consapevolezza del danno in capo al disponente.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.. 1° comma, numero 1) e art. 2740 c.c., in relazione a ll’art. 360 1° comma numero 3 cod,proc.civ. per illegittima individuazione dell’elemento oggettivo ( eventus damni ), in difetto di raffronto della garanzia patrimoniale esistente anteriormente e successivamente all’atto dispositivo impugnato. All’uopo deduce che prima del
perfezionamento dell’atto dispositivo impugnato, la garanzia di cui all’art. 2740 c.c. era già pregiudicata dall’esistenza di ipoteche gravanti su due degli immobili compravenduti e dal valore di soli € 20.370 del terzo immobile, circostanze che non rendevano utilmente pignorabile per la sorella il compendio immobiliare stimato complessivamente in € 183.000. La mancata utile esperibilità dell’azione esecutiva immobiliare veniva rapportata alla esigibilità differita di parte del prezzo della compravendita che, al contrario, avrebbe reso facilmente esperibile l’azione esecutiva mobiliare sul credito di € 71.414,90 vantato dal sig. COGNOME nei confronti del terzo acquirente. Sostiene il ricorrente, in breve, che la revocatoria è andata a colpire due immobili garantiti da ipoteca a favore di terzi, oltre che un ‘rudere’ di valore particolarmente esiguo, per la vendita dei quali il ricavo ottenuto è stato sicuramente più vantaggioso anche per il creditore.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto oltre a non essere in grado di attingere la ratio decidendi, espressasi conformemente a principi sanciti dalla giurisprudenza, tende a confutare l’esito di una valutazione fattuale del tutto incensurabile in tale sede, in quanto priva del carattere di illogicità manifesta e incongruenza coi fatti osservati. La Corte di merito, con riferimento al fatto che due degli immobili erano gravati da ipoteca, ha correttamente applicato il principio secondo cui, laddove l’azione esecutiva non sia stata introdotta ‘ è sufficiente una prognosi futura sul rischio di riduzione della garanzia patrimoniale del medesimo creditore chirografario, legato all’eventualità della cessazione o del ridimensionamento dell’ipoteca ‘ (citando Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 30736 del 26/11/2019 (Rv. 655974 – 01). Sotto questo profilo ha valutato che l’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di
entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore, non esclude la connotazione di quell’atto come ” eventus damni ” (presupposto per l’esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (Cass. Civ., Sez. rv, n. 27278 del 16.09.2022, conformi Cass. Civ. Sez. 6, ord. 8 agosto 2018, n. 20671, nonché Cass. Sez. 6, ord. 12 marzo 2018, n. 5860, Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 , Rv. 640191 01)’. Ha ritenuto poi che, in ogni caso, dalla c.t.u. espletata nel giudizio di primo grado si evince un valore dei beni ipotecati pari a € 183.105,00, somma superiore al debito residuo del RAGIONE_SOCIALE verso le banche titolari di ipoteca sui beni, all’epoca pari a € 106.585,10, fatto da cui desumere l’ eventus damni . Quanto alla difesa della parte appellante secondo cui la compravendita avrebbe determinato un incremento del patrimonio del debitore che lo avrebbe reso più liquido e più facilmente esigibile, ha rilevato che nell’atto impugnato è stato pattuito il pagamento in denaro della sola somma di € 96.414,90, e che in ogni caso il denaro è notoriamente più volatile e occultabile e offre minori garanzie di realizzazione del credito.
3.2. La differente valutazione dei medesimi fatti offerta dal ricorrente circa la possibilità di meglio soddisfare il credito della sorella con la liquidità conseguita dalla vendita dei tre cespiti, pertanto, non è in grado di mettere in crisi il giudizio
prognostico effettuato dalla Corte di merito sulla base di corretti criteri.
3.3. Le censure, pertanto, sono inammissibili sotto il profilo dell’articolo 366 numer i 4 e 6 cod.proc.civ. poiché la lettura dei tre motivi, al lume della motivazione, evidenzia come la loro illustrazione non si correli alla motivazione amplissima enunciata dalla Corte territoriale. Sicché, non apparendo i motivi correlati ad essa impingono nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017 e da Cass, SU 23745 del 28/10/2020, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
Va altresì disposta la condanna del ricorrente al pagamento di somme, liquidate come in dispositivo, ex art 96, 3° e 4° co. c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6.200,00 , di cui € 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di € 6.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c. Condanna il ricorrente al pagamento di € 1.000,00 ex art. 96, 4° co., cod,proc.civ. in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del/la ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10/1/2025