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Azione revocatoria: vendita al figlio è inefficace

Un fornitore agisce con azione revocatoria contro un proprio debitore che aveva venduto diversi immobili a una società agricola amministrata dal figlio. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso del figlio e della società. La Suprema Corte ha ribadito che per l’azione revocatoria è sufficiente un credito anche se contestato e che la consapevolezza del danno arrecato al creditore può essere presunta dal legame familiare tra venditore e acquirente.

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Azione Revocatoria: La Cassazione Conferma l’Inefficacia della Vendita tra Padre e Figlio

L’azione revocatoria è uno strumento cruciale per la tutela del credito. Con la recente Ordinanza n. 3625/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui suoi presupposti, in un caso emblematico che coinvolge una vendita immobiliare tra un padre debitore e una società amministrata dal figlio. La decisione chiarisce punti fondamentali sulla natura del credito necessario per agire e sulla prova della consapevolezza di ledere le ragioni creditorie.

I Fatti di Causa

Una società creditrice, fornitrice di merci, vantava un credito di circa 12.800 euro nei confronti di un imprenditore individuale. Nonostante un decreto ingiuntivo e un intervento in una procedura esecutiva, il credito rimaneva insoluto. Nel frattempo, il debitore vendeva diversi fondi rustici a una società agricola amministrata da suo figlio, riducendo così significativamente il proprio patrimonio e la garanzia per il creditore.

Di fronte a questo atto dispositivo, la società creditrice avviava un’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. per far dichiarare l’inefficacia della compravendita nei suoi confronti. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello accoglievano la domanda, ritenendo sussistenti i presupposti dell’azione: l’esistenza del credito, il pregiudizio alle ragioni del creditore (eventus damni) e la consapevolezza di tale pregiudizio (scientia damni) da parte del debitore e del terzo acquirente.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’erede del debitore (il figlio) e la società acquirente proponevano ricorso in Cassazione, basandolo su sette motivi. Tra i principali, lamentavano:
1. Vizi procedurali: presunte irregolarità nella notifica dell’atto di citazione al debitore originario, che avrebbero reso nulla la sua dichiarazione di contumacia e l’intero processo.
2. Mancanza di motivazione: la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente motivato né l’esistenza del credito (ritenuto incerto) né i presupposti soggettivi dell’azione revocatoria.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: i ricorrenti sostenevano che il ricavato della vendita fosse stato utilizzato per estinguere altri debiti preesistenti e scaduti, circostanza che, a loro dire, avrebbe dovuto escludere la revocabilità dell’atto.

L’Analisi della Corte e l’Azione Revocatoria

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la correttezza delle decisioni dei giudici di merito. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire principi consolidati in materia di azione revocatoria.

La Nozione di Credito

I giudici hanno sottolineato che l’art. 2901 c.c. accoglie una nozione molto ampia di “credito”. Non è necessario che il credito sia certo, liquido ed esigibile. È sufficiente una “ragione o aspettativa di credito”, includendo quindi anche un credito litigioso, ovvero contestato in un altro giudizio. L’esistenza di un decreto ingiuntivo, anche se non definitivo, costituisce una ragione di credito più che sufficiente per legittimare l’azione.

La Prova della “Scientia Damni”

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la Corte ha confermato che la scientia damni, ossia la consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori, può essere provata anche tramite presunzioni. Nel caso di specie, diversi elementi convergevano in tal senso:
– Il rapporto di parentela tra il venditore (padre) e l’amministratore della società acquirente (figlio).
– La pluralità di immobili ceduti, che depauperava in modo consistente il patrimonio del debitore.
– Le anomale modalità di pagamento, con una minima parte del prezzo versata contestualmente all’atto.
Questi indizi, valutati complessivamente, rendevano altamente probabile che sia il debitore sia l’acquirente fossero consapevoli delle conseguenze pregiudizievoli della vendita per il creditore.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto infondati o inammissibili tutti i motivi di ricorso. In particolare, ha stabilito che i motivi relativi alla presunta nullità della notifica erano infondati, in quanto la procedura era stata eseguita correttamente. Per quanto concerne i motivi sulla mancanza di motivazione, la Corte ha evidenziato come la sentenza d’appello avesse logicamente e adeguatamente argomentato sia sull’esistenza di una valida ragione di credito, sia sulla sussistenza della scientia damni basata su presunzioni gravi, precise e concordanti. Infine, riguardo all’omesso esame della destinazione del ricavato della vendita, i giudici hanno ribadito che la valutazione delle prove è un’attività riservata al giudice di merito e non può essere oggetto di una nuova analisi in sede di legittimità, a meno di vizi gravi che nel caso di specie non sussistevano. La Corte tarantina, infatti, aveva correttamente ritenuto non provato che il ricavato fosse stato effettivamente utilizzato per estinguere altri debiti. Di conseguenza, il rigetto del ricorso è stato la logica conclusione del giudizio.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che governano l’azione revocatoria. Insegna che i creditori dispongono di uno strumento efficace per proteggersi da atti con cui i debitori cercano di sottrarre i propri beni alla loro garanzia. La decisione ribadisce tre punti chiave: primo, non è necessario attendere l’accertamento definitivo di un credito per agire in revocatoria; secondo, nei rapporti tra familiari, la consapevolezza del danno è facilmente presumibile; terzo, spetta a chi si oppone alla revocatoria fornire prove concrete e inequivocabili, come quelle relative all’utilizzo del prezzo per pagare altri creditori. Questa pronuncia rafforza la tutela dei creditori e serve da monito contro atti dispositivi del patrimonio posti in essere con finalità elusive.

Per esperire un’azione revocatoria è necessario che il credito sia certo, liquido ed esigibile?
No, non è necessario. La Corte di Cassazione ha ribadito che è sufficiente una semplice ‘ragione o aspettativa di credito’, quindi anche un credito contestato o oggetto di un decreto ingiuntivo non ancora definitivo è idoneo a legittimare l’azione.

Come può un creditore dimostrare che il terzo acquirente era a conoscenza del danno arrecato dalla vendita?
La consapevolezza del danno (scientia damni) può essere provata anche tramite presunzioni. Nel caso specifico, il stretto rapporto di parentela tra il venditore (padre) e l’amministratore della società acquirente (figlio), insieme ad altri indizi come la vendita di numerosi immobili e modalità di pagamento anomale, è stato ritenuto sufficiente a presumere tale consapevolezza.

La vendita di un bene può essere giustificata se il ricavato è usato per pagare altri debiti?
Sì, l’art. 2901, terzo comma, c.c. prevede che l’azione revocatoria non si applichi se il ricavato di una vendita viene usato per pagare debiti scaduti. Tuttavia, spetta al debitore e al terzo acquirente fornire la prova rigorosa di tale circostanza, dimostrando che il pagamento è effettivamente avvenuto. In questo caso, tale prova non è stata fornita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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