Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30724 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30724 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25002/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1705/2022 depositata il 02/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
-La società RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto in leasing tre vetture dalla RAGIONE_SOCIALE Precisamente, una prima vettura con contratto del 14.3.2014, poi prorogato, una seconda vettura con contratto del 5.5.2015, ed una terza vettura con contratto del 29.2.2016.
Il pagamento dei canoni di leasing di queste tre vetture è stato garantito da NOME COGNOME e dalla figlia NOME COGNOME
Tuttavia, sin dal mese di aprile del 2016, la società acquirente ha cominciato a non adempiere ai contratti in corso con la finanziaria, omettendo il pagamento delle rate dei leasing.
-A cautela del suo credito, la finanziaria ha agito in giudizio per ottenere la revocatoria di un conferimento immobiliare fatto da NOME COGNOME nel 2014: costui aveva infatti conferito un suo immobile nella società RAGIONE_SOCIALE a liberazione della sua partecipazione.
-In quel giudizio il COGNOME non si è costituito ed il Tribunale di Modena ha accolto la domanda di revocatoria dell’atto di disposizione.
Il COGNOME ha però proposto appello, che è stato rigettato dalla Corte di Appello di Bologna.
-Ricorrono per cassazione sia la RAGIONE_SOCIALE che NOME COGNOME con un motivo di censura illustrato da memoria, cui ha fatto
seguito il controricorso di RAGIONE_SOCIALE illustrato anche esso da memoria.
Inizialmente è stata formulata proposta di definizione anticipata per manifesta inammissibilità della impugnazione, cui hanno fatto opposizione i ricorrenti. Il ricorso viene dunque deciso in camera di consiglio a seguito di tale opposizione.
Ragioni della decisione
1. -Con l’unico motivo di ricorso si prospetta violazione, oltre che dell’articolo 115 c.p.c., altresì degli articoli 2697 e 2727 e 2729 c.c.
La tesi è la seguente.
L’atto di disposizione oggetto di revocatoria è anteriore rispetto al credito: quest’ultimo è sorto nel 2016, quando la società che ha acquistato le vetture ha iniziato a non pagare i canoni, mentre l’atto oggetto di revocatoria, dunque a cautela di quel credito, è del 2014.
Il che significa che, essendo l’atto anteriore al credito, il creditore deve dimostrare che, quando l’atto è stato compiuto, v’era una preordinata volontà di sottrarre il bene al creditore in anticipo.
Nonostante ciò, secondo i ricorrenti, I giudici di appello hanno rigettato l’impugnazione aderendo alla ricostruzione fatta dal giudice di primo grado, il quale ha ravvisato il dolo del debitore ricavandolo dal fatto che costui era amministratore di entrambe le società: quella in cui ha conferito il bene immobile, e quella per la quale ha fatto da garante del pagamento dei canoni. Da questo dato, la corte di appello ha presunto che il fideiussore ha preordinato il conferimento del bene per sottrarlo al futuro creditore, nella previsione che la società non avrebbe pagato i canoni di leasing delle vetture.
Questa ricostruzione è contestata nei termini seguenti.
I ricorrenti ritengono che il criterio che guida il ragionamento presuntivo è stato violato, poiché il fatto ignoto (la dolosa preordinazione in danno al creditore) non è stato indotto da indizi gravi, precisi e concordanti, ma dal solo elemento soggettivo, ossia dalla sola circostanza che il COGNOME era amministratore della società per la quale ha fatto da garante e dunque sapeva delle difficoltà economiche di quest’ultima.
Ma questo solo dato non basta a fondare la presunzione, in quanto, tra l’altro, esso contrasta con altri e significativi elementi di segno contrario, primo fra tutti il fatto che la finanziaria ha dato credito alla società concedendo a quest’ultima in leasing altre vetture dal 2014 (data dell’atto di disposizione qui impugnato) fino al 2016 (data dell’inadempimento), segno che la società concessionaria godeva di buona salute finanziaria.
Il motivo, dunque, censura l’errata applicazione di norme di legge: quelle sul ragionamento presuntivo.
Ma, anche se è da questo punto di vista ammissibile, non è fondato.
Infatti, il ragionamento presuntivo può essere basato anche su di un solo indizio, e non necessariamente su una pluralità di fatti indizianti (Cass. 2482/ 2019; Cass. 23153/ 2018; Cass. 656/ 2014).
Ovviamente, se il fatto ignoto è ricavato per induzione da un solo fatto noto, quest’ultimo deve essere solo preciso e grave , mentre non è necessario che sia concordante con altri, che, per l’appunto, non vi sono.
L’accertamento circa la gravità e precisione del fatto è guidata da criteri giuridici della cui corretta applicazione si può fare questione in sede di legittimità, criteri che però qui sono rispettati: che il fatto sia preciso significa che non deve trattarsi di un fatto vago, ma ben determinato nella sua realtà storica, e qui è stato accertato che il garante era nella amministrazione della società debitrice, oltre che
in quella, qui ricorrente, in cui è stato effettuato il conferimento; che il fatto sia grave significa che deve emergere come probabile dagli atti, e qui il collegamento soggettivo tra il fideiussore che ha compiuto l’atto di disposizione e la società debitrice è emerso senza dubbio, e non è del resto contestato. Ma, quegli elementi significano soprattutto che il fatto deve avere capacità indiziaria, e ce l’ha: è massima di esperienza che il fatto di essere amministratore di una società comporta che si sia altresì artefice delle scelte della società stessa, compresa la scelta di non adempiere.
I ricorrenti ritengono tuttavia che questa capacità indiziaria del fatto è smentita da altro fatto di segno contrario: la finanziaria stessa ha dato credito alla società debitrice fino all’ultimo, e dunque se ciò ha fatto, è perché ha verificato che la situazione economica della stessa società era buona.
Tuttavia, per quanto possa apparire sottile l’argomento, il fatto opposto dai ricorrenti, a smentita di quello indiziario, non è concludente, ossia non contrasta l’efficacia indiziante di quello. Ciò per una semplice ragione: che dal fatto che la finanziaria ha dato credito alla società si può si ricavare che la finanziaria ipotizzasse o sapesse di una certa solidità economica del soggetto cui ha dato credito, ma non della intenzione di quest’ultimo di non adempiere.
In altri termini, il mancato pagamento dei canoni non necessariamente dipende da difficoltà finanziarie ma può ben essere una decisione volontaria, dovuta solamente alla volontà di non pagare. Il fatto che la finanziaria abbia continuato a dare credito non dimostra che la società debitrice aveva intenzione di adempiere, ben potendo un debitore essere inadempiente anche se ha i mezzi per adempiere, ma semplicemente in quanto non intende farlo.
Ciò rende infondata altresì la censura di inversione dell’onere della prova, posto che, è vero che esso grava sul creditore che agisce
(che deve provare la dolosa preordinazione) ,ma è altresì vero che è stato assolto tramite le presunzioni di cui si è detto.
Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e devono tenere conto del fatto che il procedimento perviene da una opposizione a proposta di definizione anticipata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento della somma di 6.000,00 euro per compensi, oltre 200,00 euro per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge, nonché al pagamento, in solido, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., dell’ulteriore importo di euro 3.000,00, e, ai sensi del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., dell’importo di euro 500,00 a favore della Cassa ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P .R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/10/2024.