Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13401 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13401 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22526/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
GENERAL
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3910/2022 depositata il 08/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1. -La società RAGIONE_SOCIALE ha ceduto prodotti software alla società RAGIONE_SOCIALE diventandone dunque creditrice del corrispettivo, mai versato tuttavia dalla acquirente.
La RAGIONE_SOCIALE però, dopo che il credito era sorto, ha alienato alla società RAGIONE_SOCIALE un ramo di azienda per 28 mila euro circa.
-La RAGIONE_SOCIALE, sul presupposto che tale cessione rendeva meno capiente il patrimonio della debitrice, ha agito per la revocatoria dell’atto, cui ha resistito la RAGIONE_SOCIALE, mentre la cedente RAGIONE_SOCIALE è rimasta contumace.
Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda, con decisione confermata dalla Corte di Appello di Roma, la quale ha ritenuto che la cessione ha reso più difficile l’esecuzione forzata, tanto è vero che i tentativi di pignoramento sono risultati infruttuosi, e che la società RAGIONE_SOCIALE al momento del pignoramento, non risultava neanche reperibile in sede.
-Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con due motivi, di cui ha chiesto il rigetto la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Ragioni della decisione
1. -Il primo motivo prospetta violazione dell’articolo 2901 c.c.
La tesi della ricorrente è la seguente.
La corte di merito ha ritenuto pregiudizievole l’atto, ossia la cessione del ramo di azienda, sulla base di due circostanze di fatto, successive al compimento dell’atto stesso: la difficoltà di pignorare beni della debitrice e l’irreperibilità di quest’ultima.
Tuttavia, osserva la ricorrente che, in base ad un orientamento di questa Corte (Cass. 23743/ 2011), i presupposti dell’azione revocatoria, e con essi il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, vanno valutati al momento in cui l’atto è posto in essere, e non in base ad eventi successivi.
Il motivo è inammissibile.
Esso contrasta con un accertamento in fatto, secondo il quale è stata la cessione a rendere impossibile il pignoramento: ‘ La cessione oggetto di causa, quindi, ha impedito alla SAI di pignorare, ai fini del soddisfacimento del proprio credito, i crediti ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE ‘ (p. 8 della sentenza), con la conseguenza che la valutazione circa la portata pregiudizievole dell’atto è stata compiuta correttamente valutando le circostanze esistenti al momento del compimento dell’atto e non quelle successive ad esso.
Stessa considerazione può farsi per l’altro elemento indicativo del pregiudizio arrecato, in quanto l’irreperibilità è stata riscontrata al momento del pignoramento.
Dunque, il motivo di ricorso denuncia, si, una violazione di legge, che lo renderebbe in astratto ammissibile, ma lo fa presupponendo un accertamento in fatto diverso da quello effettivamente avutosi in appello, e dunque, in tali termini, è inammissibile.
-Con il secondo motivo si prospetta violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c.
La decisione impugnata ha tratto prova della consapevolezza della acquirente (GSM), del pregiudizio che con la cessione a suo favore
la cedente arrecava al proprio creditore, da elementi presuntivi, ed, in primo luogo, dalla circostanza che le due società, cedente e cessionaria, al momento della cessione, avevano il medesimo rappresentante legale.
La ricorrente censura questo accertamento sostenendo violazione dei criteri in tema di prova presuntiva.
Sostiene in altri termini che: ‘ la circostanza che all’epoca dell’atto dispositivo in questione la stessa persona fisica avesse cumulato la carica di amministratore di entrambe le società parti contraenti di tale atto, in realtà, non può affatto essere valorizzata come elemento di per sé idoneo a far presumere da solo la sussistenza del requisito del consilium fraudis da parte di GMS e, pertanto, risulta evidente come anche il giudice di secondo grado sia incorso in un’illegittima applicazione del meccanismo presuntivo ex artt. 2727 e 2729 c.c .’
La violazione del procedimento presuntivo starebbe in questo, che ‘ i giudici del merito hanno inequivocabilmente presunto l’elemento soggettivo in esame da un unico elemento ‘ e che essi stessi definiscono semplicemente un indizio, e dunque un elemento non sufficiente a far avere certezza del fatto ignoto.
Il motivo è infondato.
La censura contesta al ragionamento presuntivo utilizzato dai giudici di merito di aver commesso un errore giuridico, ossia di avere ricavato la conoscenza del fatto ignoto da un solo elemento noto, di per sé insufficiente al ragionamento presuntivo. Come dire, che gli indizi, per essere sufficienti, devono essere plurimi.
In quanto tale la censura è infondata, posto che la conoscenza del fatto ignoto può ben essere fondata su un solo indizio (fatto noto) purché sia grave e preciso (Cass. 23153/ 2018; Cass. 11162/ 2021).
Per il resto la censura non dice alcunché sulla previsione e gravità di tale elemento (il fatto che le due società, cedente e cessionaria
avessero medesimo rappresentante legale), che peraltro ben può costituire indizio di presunzione di scientia damni (Cass. 25016/ 2008).
Il ricorso va dunque rigettato, e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 2300,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, ed oltre spese generali come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 17/03/2025.