Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23056 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23056 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19026/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
dell’avv.
NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4290/2024 del la Corte d’Appello di Roma, depositata il 17.6.2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.7.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE propose azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 66 legge fall., per la dichiarazione di inefficacia de ll’atto di scissione societaria 12.3.2013 (come integrato in data 8.5.2013), in forza del quale la società poi fallita aveva assegnato a due società beneficiarie di nuova costituzione (per quel che qui interessa, a RAGIONE_SOCIALE) determinati asset del suo patrimonio.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Roma rigettò la domanda, ritenendo l’azione revocatoria inapplicabile agli atti di scissione societaria.
La sentenza di primo grado venne impugnata dal curatore fallimentare davanti alla Corte d’Appello di Roma, la quale accolse il gravame e, per l’effetto, dichiarò l’inefficacia dell’atto di scissione nei confronti del fallimento RAGIONE_SOCIALE
Contro la sentenza della corte territoriale RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE si è difeso con controricorso.
Disposta la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c., nei termini di legge rispettivamente fissati, il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso e la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è rubricato «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 66 legge fall. e/o 1292, 2503, 2504 -quater , 2506 -ter , 2506 -quater , 2740 e/o 2901 c.c. e conseguente inammissibilità dell’azione revocatoria di atto di scissione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)».
La ricorrente ripropone la tesi, alla quale aveva aderito il giudice di primo grado, secondo cui l’azione revocatoria non sarebbe data nei confronti di un atto di scissione societaria, essendo tra l’altro impossibile configurare un pregiudizio per i creditori già sul piano astratto delle previsioni normative.
1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, c.p.c., perché la corte territoriale «ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa ».
È stato di recente ribadito che « la giurisprudenza di questa Corte è ferma sul principio per cui, ‘conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C394/18), la revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria è ammissibile, poiché mira ad ottenere l’inefficacia relativa di tale atto, così da renderlo inopponibile al solo creditore pregiudicato (al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 c.c., che è finalizzata a farne vale re l’invalidità), dovendosi ritenere che la tutela dei creditori, a fronte di atti societari, si estende sino a ricomprendervi, sia pure in via mediata, qualsiasi attribuzione patrimoniale, a sua volta, indiretta ivi contenuta ‘ » (Cass. n. 12357/2025, che richiama e riprende Cass. nn. 12047/2021; 2754/2020; 31654/2019).
Inoltre, è del pari assodato che « ciò vale anche per l’analoga azione del curatore ex art. 66 legge fall., che può essere promossa anche in concorso con l ‘ opposizione preventiva dei creditori sociali ex art. 2503 c.c., appunto perché la prima mira alla inefficacia relativa/inopponibilità dell’atto, la seconda
alla sua invalidità » (ancora Cass. n. 12357/2025, che cita a sua volta Cass. n. 2153/2021 e Cass. n. 6384/2023, la quale ultima esclude l’esperibilità dell’azione revocatoria per le delibere di società di capitali aventi efficacia endosocietaria, solo in quanto prive di effetti esterni sulla garanzia patrimoniale generale della società).
Anche le Sezioni unite, risolvendo una questione di competenza tra sezione specializzata in materia di imprese e tribunale fallimentare, ha dato per scontato il presupposto dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria nei confronti delle scissioni societarie (Cass. S.u. n. 5089/2025). Alla base di tale orientamento c’è l’opinione, anch’essa avallata a livello di Sezioni unite (Cass. S.u. n. 23225/2016), secondo cui « la scissione … consistente nel trasferimento del patrimonio a una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l’assegnazione delle azioni o delle quote di queste ultime ai soci della società scissa, si traduce in una fattispecie traslativa » (e non meramente o rganizzativa dell’impresa) , quindi rientra tra gli «atti di disposizione» assoggettabili a revocatoria (conf. Cass. n. 31313/2018).
A tale ormai consolidato orientamento si intende dare continuità anche con la presente decisione.
Il secondo motivo di ricorso denuncia, testualmente, «Omesso esame circa uno o più fatti decisivi per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le Parti ossia (i) che il Fallimento RAGIONE_SOCIALE non è titolare di alcuna concessione ministeriale, così che allo stesso, per legge, non possono essere in alcun modo assegnate le frequenze radio e i diritti connessi alle testate giornalistiche registrate connesse
alle concessioni di cui all’atto di scissione per cui è causa e, anche laddove le medesime dovessero tornare, per assurdo, in capo al Fallimento, le medesime si estinguerebbero per legge e (ii) che l’amministratore unico di scissa e beneficiaria non era comune al momento della scissione (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)».
2.1. Anche questo motivo è inammissibile.
Non è un fatto , ma un apprezzamento che implica valutazioni di carattere giuridico, la negazione della possibilità che al fallimento, in quanto tale, sia consentito dalle norme in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici di sfruttare il valore economico dei cespiti assegnati con la scissione alla controricorrente (cespiti che in sentenza sono così descritti: « l’attività produttiva consistente nella ‘ programmazione e trasmissione di programmi radio televisivi ‘ , … la concessione ministeriale Prot. 901550 del 25.10.1994, l ‘ uso delle frequenze analiticamente elencate nell’atto di scissione ed il materiale tecnico operativo necessario all ‘ attività; … testata giornalistica ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ »).
Già per questo non si può configurare, in proposito, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Ma si deve anche aggiungere, sia che la ricorrente non indica quando e dove il fatto ( rectius : l’apprezzamento) sarebbe «stato oggetto di discussione tra le parti», sia che esso non è decisivo al fine del giudizio, posto che il carattere pregiudizievole dell’atto di disposizione va valutato con riguardo agli effetti prodotti da quell’atto , a prescindere dalla circostanza del successivo fallimento della società disponente.
Evidentemente priva di decisività -questa volta ai fini dell’accertata conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori è poi la contestazione sul fatto, affermato nella sentenza impugnata, che il medesimo soggetto fosse ad un tempo il legale rappresentante sia della società scissa che della società beneficiaria. La valutazione della corte d’appello rimane infatti comunque solidamente fondata sul rilievo della posizione di socio quasi totalitario di entrambe le società in capo al legale rappresentante della società scissa, nonché coniuge della socia di minoranza e (secondo la ricorrente) legale rappresentante della società beneficiaria.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidate in € 10.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del