Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4193 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3   Num. 4193  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7220/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati  in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, INDIRIZZO AVELLINO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME ( -) rappresentato e difeso dagli
avvocati NOME (CODICE_FISCALE), NOME NOME NOMECODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME NOME
-intimato- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 4433/2020 depositata il 21/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 30 settembre 2014, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME evocavano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE esponendo che, unitamente al condominio di INDIRIZZO, in Avellino, di cui essi erano condomini, erano creditori della società RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro titoli giudiziali. Deducevano che, con atto notarile del 16 settembre 2009, la società debitrice aveva attuato la scissione di parte del patrimonio mediante trasferimento dello stesso alla RAGIONE_SOCIALE, società costituita con il medesimo atto, la cui compagine sociale rifletteva quella della società scissa. Gli attori lamentavano che, per effetto della scissione, la RAGIONE_SOCIALE era stata svuotata di gran parte del patrimonio e chiedevano, pertanto, dichiararsi l’inefficacia dell’atto di scissione sensi dell’articolo 2901 c.c.
Le società convenute si costituivano in giudizio e contestavano la pretesa degli attori i quali, per il caso di eventuale rigetto dell’azione revocatoria, proponevano domanda di accertamento della
responsabilità solidale delle società convenute ai sensi dell’articolo 2506 quater, comma terzo c.c.
Il Tribunale di Avellino con sentenza dell’11  dicembre  2015 accoglieva  la  domanda  e  dichiarava  inefficace  nei  confronti  degli attori  l’atto  di  assegnazione  patrimoniale  contenuto  in  quello  di scissione.
Avverso tale decisione proponeva appello RAGIONE_SOCIALE sulla base di otto motivi di gravame. La RAGIONE_SOCIALE aderiva alle censure impugnando anch’essa la decisione del Tribunale di Avellino. Gli appellati resistevano in giudizio.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 21 dicembre 2020  rigettava l’appello condannando  le  società appellanti al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE  e  la  RAGIONE_SOCIALE,  affidandosi  a  12  motivi. Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, in proprio e nell’interesse del condominio di INDIRIZZO e, in Avellino. NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nell’interesse dell’intero Condominio di Volpe, n. 48/50 di Avellino, depositano memoria.
Il Procuratore generale deposita conclusioni scritte.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta la violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c. e la falsa ‘applicazione di norme di diritto’, in relazione all’articolo 360, n.4 c.p.c. e l’omissione di pronunzia. In particolare, la corte di merito ha asseritamente omesso di considerare che i titoli giudiziari non erano stati resi in favore dei richiedenti, ma nell’interesse del condominio e quindi non avrebbe considerato la caducazione dei titoli esecutivi a seguito della riforma della decisione di primo grado.
Inoltre, non ha asseritamente preso in esame il patrimonio residuo della  RAGIONE_SOCIALE,  sufficiente  a  garantire  le
pretese dei creditori e non  avrebbe  giudicato sull’esperibilità dell’azione  revocatoria  nel  caso  di  credito  litigioso.  Infine,  non avrebbe esaminato la questione del pregiudizio quale presupposto dell’azione  e  non  avrebbe  esaminato  il  problema  della  mancat a notifica della citazione nei confronti di taluni soci.
Il motivo è inammissibile.
La censura viene prospettata come omissione di pronunzia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c.
Più correttamente va intesa quale mancata decisione sui motivi di appello  giacché  la  corte  territoriale  non  giudica  sulle  domande proposte con l’atto di citazione. In questi termini il ricorrente che abbia interesse a dedurre l’omesso esame  di un motivo di impugnazione è tenuto a trascriverne il testo, individuare i passaggi della  motivazione  della  sentenza  impugnata  ritenuti  inadeguati  e formulare specifiche censure riguardo alle argomentazioni adottate dalla corte territoriale.
Niente di tutto questo è presente nel primo motivo se non, a pagina 7, l’elencazione di questioni che non sarebbero state esaminate e che neppure si deduce essere state poste a sostegno dell’impugnazione.
Sotto altro profilo la cronologia delle vicende societarie, irritualmente inserita dopo il primo motivo di ricorso, piuttosto che nell’esposizione narrativa dello stesso, appare lacunosa, poiché, per esempio, non consente di comprendere se, nella decisione del Tribunale di Avellino n. 376 del 2011 oltre alla condanna risarcitoria fossero presenti altri capi della sentenza funzionali all’odierno giudizio. Nello stesso modo, non è indicato l’oggetto di quel procedimento e le domande formulate con l’atto di ci tazione.
A pagina 11 si fa riferimento alla sentenza n. 3744 del 2019 della Corte d’appello di Napoli che avrebbe riformato la sentenza n. 75 del 2012  del  Tribunale  di  Avellino,  che  non  compare  tra  le  decisioni
menzionate, sia nella cronologia, che nella esposizione narrativa del ricorso.
Con  il  secondo  motivo  si  deduce,  ai  sensi  dell’articolo  112  c.p.c. l’omessa  motivazione  e  la  violazione  dell’articolo  2699  c.c.  con riferimento  all’articolo  360,  n.3  e  n.5  c.p.c.  e  la  contraddittorietà della decisione.
La censura è infondata, poiché si vuol far dire alla corte territoriale che il  primo  giudice  non  avrebbe  rinvenuto  nel  fascicolo  di  primo grado  i  titoli  di  acquisto  delle  unità  immobiliari  comprese  nel fabbricato condominiale. Al contrario, la c orte d’appello si è limitata a rilevare che ‘sebbene il primo giudice non ne abbia dato atto, gli appellati avevano  replicato all’identica eccezione delle società convenute, producendo i rispettivi titoli di acquisto’.
Il ricorrente se avesse voluto dedurre la mancata produzione della documentazione in esame in primo grado, avrebbe dovuto trascrivere  l’indice  del  fascicolo  specificando,  ad  esempio,  che  in occasione della seconda memoria ex articolo 183, n. 6 c.p.c. non era stato  depositato  alcun  documento  riguardante  la  proprietà  degli immobili.
Con il terzo motivo si deduce l’omessa motivazione e la violazione della legge n. 220 del 2012 in ordine all’articolo 360, n.3 e n.5 e la contraddittorietà della decisione. Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità ciascun condomino ha il potere autonomo di agire solo per la tutela dei propri diritti di comproprietario pro quota e non anche di rappresentare l’interesse del condominio. Conseguentemente gli originari attori avrebbero dovuto quantificare il credito, pro quota e iure proprio, non essendo legittimati ad agire a difesa dei diritti riguardanti l’intero edificio condominiale.
La censura è infondata.
L’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità ritiene che il condominio si configuri come un ente di gestione sfornito di
personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, così che l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale è l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale. Costoro, pertanto, possono, sia intervenire nei giudizi in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore, sia proporre i mezzi d’impugnazione ammissibili per evitare gli effetti, a loro sfavorevoli, di sentenze pronunziate nei confronti del condominio.
Il principio ha trovato conferma nella decisione a SU di questa Corte secondo cui ‘nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ciascun condòmino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente, in mancanza di personalità giuridica del condominio, con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, sicché è ammissibile il ricorso incidentale tardivo del condòmino che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intenda evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio senza risentire dell’analoga difesa già svolta dallo stesso’ (Cass. Sez. U , Sentenza n. 10934 del 18/04/2019).
La giurisprudenza di legittimità ha successivamente chiarito che ‘il singolo condòmino, che intenda tutelare il proprio diritto di comproprietario “pro quota” dei beni comuni, oltre ad avere legittimazione concorrente e aggiuntiva rispetto a quella dell’amministratore nei giudizi in cui questi abbia già assunto legittimamente la difesa, è altrettanto legittimato a promuovere azioni (o a resistere ad azioni proposte da altri), senza che assuma a tal fine rilevanza la volontà degli altri condomini’ ( Cass. Sez. 2 n. 16934 del 14/06/2023, di conferma della sentenza d’appello che, a fronte dell’azione esercitata dal singolo condòmino, onde ottenere lo sgombero delle parti comuni da mobilio e la rimozione della canna
fumaria realizzata sulla sommità del fabbricato, aveva escluso che l’esercizio dell’azione giudiziaria fosse subordinato alla convocazione dell’assemblea  condominiale,  affermata  viceversa  dal  giudice  di primo grado ).
Questa riRAGIONE_SOCIALE dei rapporti fra condominio e condomini implica una  forma  di  rappresentanza  processuale  reciproca,  attributiva  a ciascuno  di  una  legittimazione  sostitutiva,  nascente  dal  fatto  che ogni  compartecipe  non  potrebbe  tutelare  il  proprio  diritto  senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri.
In altri termini il singolo condomino è considerato “parte” del giudizio anche se non è costituito personalmente, ma  rappresentato dall’amministratore condominiale.
Alla  luce  di  quanto  precede  i  singoli  condomini  sono  legittimati  a promuovere l’azione revocatoria ai sensi dell’articolo 2901 c.c. per evitare  gli  effetti  sfavorevoli  di  un  atto  (nel  caso  di  specie,  la scissione  del  patrimonio  della  società  RAGIONE_SOCIALE e il rischio di depauperamento di buona parte del patrimonio del debitore del condominio) ed a tutela di un credito vantato dal condominio nei confronti della società debitrice.
Con il quarto motivo deducono l’omessa motivazione, la falsa applicazione dell’articolo 2903 c.c., in relazione all’articolo 360, n.3 e n.5 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il termine quinquennale di prescrizione iniziasse a decorrere, non già dalla data di stipulazione, ma da quella di trascrizione dell’atto poiché tale incombente sarebbe necessario per rendere pubblico il trasferimento e conoscibile ai terzi. La data di trascrizione nei pubblici registri immobiliari è quella del 2 ottobre 2009, così rendendo tempestiva l’azione, anche facendo riferimento al momento della notifica, riferito alle date del 19 e 29 settembre 2014. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Come dedotto da entrambe le parti e come emerge dal contenuto della  sentenza  impugnata,  l’atto  di  citazione  è  stato  consegnato all’ufficiale giudiziario il 15 settembre 2014.
Alla luce dei principi affermati da questa Corte a Sezioni unite nella sentenza n. 24822 del 2015, la regola della scissione degli effetti della notificazione, per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento agli effetti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali nei casi in cui il diritto debba farsi valere necessariamente con un atto processuale.
Pertanto, la prescrizione è ‘interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica’. Conseguentemente, trattandosi di termini annuali gli stessi scadono lo stesso giorno dell’anno successivo e, nel caso di specie, dei cinque anni successivi. Il computo va riferito alla data di esecuzione della delibera di scissione, intervenuta con atto notarile del 16 settembre 2009, per cui il termine quinquennale scadeva il 16 settembre 2014. Con il quinto motivo si lamenta la violazione di articoli 2658 e 2659 c.c., in relazione all’articolo 360, n.3 c.p.c., l’eccesso di potere e la falsa applicazione di norme di diritto. Dalle risultanze processuali emergerebbe che, al momento della trascrizione della domanda giudiziale, non sarebbero stati riportati i dati personali dei singoli condomini richiedenti, ma quelli del condominio di INDIRIZZO, con ciò violando l’articolo 2658 c.c. Inoltre, l’amministratore del condominio aveva comunicato che la assemblea condominiale non aveva deliberato di agire sensi dell’articolo 2901 c.c. e che non vi era interesse del condominio a tale azione.
Il motivo è inammissibile in quanto nuovo.
Parte ricorrente avrebbe dovuto allegare e trascrivere il contenuto del  corrispondente  motivo  di  appello  che,  al  contrario,  non  è menzionato in alcun modo nella sentenza impugnata.
Posto che nel provvedimento della Corte d’Appello, non vi è traccia della questione, è principio consolidato della Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041).
Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla RAGIONE_SOCIALE di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430). Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere di allegazione.
Con il sesto motivo si lamenta la violazione la falsa applicazione dell’articolo 336 c.p.c., in relazione all’articolo 360, n.3 n.5 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La Corte non avrebbe considerato il dato fattuale, costituito dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 1226 del 2017, che avrebbe riformato la decisione del Tribunale di Avellino del 2011, eliminando le ragioni creditorie del condominio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è inammissibile poiché il mancato esame di un documento processuale è estraneo all’ipotesi prevista all’articolo 360, n.5 c.p.c. Nel  caso  di  specie  la  censura  è  formulata  come  inadeguata valutazione del contenuto reale della sentenza della Corte d’appello
di Napoli n. 1226 del 2017 che avrebbe radicalmente modificato la sentenza del Tribunale di Avellino del 2011 che, secondo la sentenza impugnata, costituirebbe la principale ragione di credito del condominio. La fattispecie richiamata dai ricorrenti (articolo 360, n.5 c.p.c.) si riferisce, invece, all’omesso esame di un fatto storico.
Il motivo è altresì inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere quanto meno il contenuto del dispositivo della citata sentenza e i passaggi essenziali della motivazione della Corte di appello di Napoli n. 1226 del 2017 al fine di dimostrare la tesi posta a sostegno del motivo e cioè l’inesistenza di ‘qualsiasi creditoria del condominio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE. Al contrario le generiche affermazioni contenute nel ricorso non consentono di confermare l’assunto e sono radicalmente contestate dai controricorrenti, che hanno precisato che quella decisione ‘ha lasciato inalterato l’obbligo della RAGIONE_SOCIALE di eseguire tutti i lavori indicati in parte motiva, oltr e alla rifusione delle spese legali’. Si tratterebbe di interventi posti a carico della società scissa per un valore di circa 30.000 o 40.000 euro oltre ulteriori oneri tecnici.
Con il settimo motivo si lamenta la falsa applicazione degli articoli 267 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea, in relazione all’articolo 360, n.5 c.p.c. e la omessa pronunzia o comunque l’insufficiente motivazione. La Corte di Giustizia con la sentenza del 30 gennaio 2020 avrebbe affermato il principio secondo cui i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori alla scissione, possono intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare l’inefficacia della scissione nei loro confronti. Inoltre, la Corte di giustizia avrebbe escluso i crediti eventuali e quelli litigiosi.
Il motivo è inammissibile perché la censura è ricondotta all’articolo 360,  n.5  c.p.c.  che  costituisce  fattispecie  assolutamente  distante rispetto alla violazione dei principi che sarebbero stati affermati dalla Corte di giustizia.
Va d’altro canto posto in rilievo che la Corte d’ Appello di Napoli nell’ambito del medesimo procedimento in esame aveva investito la Corte di Giustizia con ordinanza di rimessione del 20 marzo 2018 per richiedere se ‘dopo che sia stata decisa ed attuata la scissione di una società di capitali, mediante costituzione di una RAGIONE_SOCIALE società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa, senza che creditori di quest’ultima abbiano proposto l’opposizione alla scissione contemplata, nel diritto interno, dall’articolo 2503 c.c. e senza che sia stata proposta alcuna domanda di nullità o invalidità della scissione, sia consentito ai creditori medesimi esperire l’azione prevista dall’articolo 2901 c.c. allo scopo di conseguire che la scissione sia dichiarata inefficace e che, per effetto di questa dichiarazione, i creditori che l’abbiano ottenuta possono agire in via esecutiva sul patrimonio che la società scissa aveva conferito alla società di RAGIONE_SOCIALE‘.
La Corte di G iustizia ha chiarito che l’interpretazione degli articoli 12 e 19 della direttiva del 17 dicembre 1982 n. 891, sostituiti dagli articoli 146 e 153 a seguito della direttiva del 14 giugno 2017, non osta alla introduzione da parte di creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma consenta soltanto di rendere quest’ultima inopponibile ai creditori. Principio in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la revocatoria ordinaria d ell’atto di scissione societaria è sempre esperibile, in quanto mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato e ciò diversamente da quanto avviene nella opposizione dei creditori sociali previst a all’articolo 2503 c.c. che è invece finalizzata a far valere l’invalidità dell’atto (Cass. n. 31654 del 4 dicembre 2019).
La Corte di Giustizia ha precisato che l’azione revocatoria contemplata  nell’art.  2901  c.c.  non  comporta  la  scomparsa  della scissione, e non produce effetti nei confronti di tutti, ma si limita a renderla inopponibile nei confronti dei creditori ed a determinare,
segnatamente, l’inopponibilità del trasferimento dei beni, posto in essere con l’operazione.
Da qui la conclusione in forza della quale il regime della nullità della scissione, contemplata dagli art. 21 e 22 della VI direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non impedisce ai creditori della scissa l’esercizio dell’azione revocatoria, che non intacca la validità della scissione, ma consente solo di renderla inopponibile al creditore revocante (‘l’articolo 19 della sesta direttiva, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa, il quale prevede il regime delle nullità della scissione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione, dopo la realizzazione di una scissione, da parte di creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest’ultima inopponibile a tali creditori’).
La Corte di G iustizia precisa che ‘detto paragrafo non preclude quindi agli  Stati  membri  di  istituire…strumenti  ulteriori  di  tutela  degli interessi  di  tali  creditori’.  Si  afferma  come  l’azione  revocatoria ordinaria non sia affatto preclusa dalla previsione di strumenti tipici di opposizione alla scissione, in assenza di una norma positiva che ne  limiti  o  ne  impedisca  la  proposizione,  non  essendo  consentito alcuna interpretazione preclusiva in subiecta materia.
La disposizione di cui all’art. 2503 c.c., rimedio speciale di natura endosocietaria, può legittimamente coesistere con il rimedio generale di cui all’art. 2901 c.c., volta che l’opposizione alla scissione opera in via cautelativa, sul piano della validità dell’atto, mentre l’azione revocatoria si colloca sul diverso terreno dell’inefficacia negoziale, per di più soltanto relativa (cfr. con riferimento alla giurisprudenza nazionale Cass. 30184/2022; Cass.12047/2021; Cass. 31654/2019).
In  sostanza,  la  CGUE  ha  chiarito  che  non  è  precluso  ai  creditori anteriori (i  soli  che  avrebbero  potuto  optare  per  un  diverso strumento di tutela previsto dal diritto nazionale: l’opposizione ex
art. 2503 c.c.) l’esercizio dell’azione revocatoria per far dichiarare l’inefficacia della scissione nei loro confronti, fermo restando che tale legittimità può essere attribuita dai singoli diritti nazionali a coloro i quali non avrebbero potuto opporsi a ll’atto di scissione.
Ciò in considerazione del chiaro disposto di cui all’art. 2901 c.c., che, nel  definire  le  condizioni  per  l’esperibilità  dell’azione  pauliana  e nell’indicare  quali  atti  legittimano  tale  rimedio  processuale,  si riferisce espressamente anche ad un ‘atto anter iore al sorgere del credito’ o anche a crediti soggetti ‘a condizione o a termine’.
L a corte d’appello ha d’altro canto correttamente motivato sull’anteriorità del credito posto a fondamento dell’azione, cristallizzato dalla sentenza 376/2011 del Tribunale di Avellino, come modificata  dalla  sentenza  n.  2166/2017  della  Corte  d’Appello  di Napoli.
Affermazione in linea con la costante giurisprudenza della Corte secondo cui ‘In tema di azione revocatoria, rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, a nulla rilevando che sia di fonte contrattuale o derivi da fatto illecito e senza che vi sia necessità della preventiva introduzione di un giudizio di accertamento del medesimo credito o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione’ (cfr. ex multis Cass 19/02/2020,n. 4212; Cass. n. 3369/2019).
Ogni  altra  valutazione  esula  dal  quesito  sottoposto  alla  Corte  di giustizia e questo a prescindere dal fatto che la parte più consistente del  credito  vantato  dal  condominio  nei  confronti  della  società RAGIONE_SOCIALE, per quanto si è detto con riferimento ai motivi precedenti, è costituito proprio da titoli anteriori alla scissione
(il  riferimento è alla sentenza del Tribunale di Avellino n. 376 del 2011).
Con l’ottavo motivo si deduce la falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c. in relazione all’articolo 360, n.3 n.5 e l’omessa o contraddittoria motivazione.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alla consistenza del patrimonio della società scissa. Il patrimonio della società RAGIONE_SOCIALE non sarebbe rappresentato solo dai fabbricati in RAGIONE_SOCIALE in Avellino, che risulterebbero sottoposti a sequestro preventivo, come riferito dalla stampa specializzata, ma ammonterebbe a oltre due milioni di euro come emergerebbe dalla certificazione di un architetto depositata in atti. Inoltre, la Corte non avrebbe consider ato che l’area su cui sorgeva l’immobile ha continuato ad essere di proprietà della società scissa, che i controricorrenti non sono debitori diretti della società e che, in definitiva quest’ultima non era impossidente.
Il motivo è inammissibile perché coinvolge profili riguardanti il merito e la valutazione delle prove, chiedendo a questa Corte di assicurare un terzo grado di giudizio senza avere la possibilità di verificare gli elementi probatori posti a sostegno della doglianza.
Peraltro, tali elementi  (certificazione attestante  un  patrimonio superiore ad euro 2 milioni, esistenza di altri cespiti eccetera) sono menzionati  in  maniera  assolutamente  generica,  senza  indicare  la localizzazione processuale dei singoli atti all’interno del fascicolo, con allegazione della tempestività della produzione.
Le  doglianze  non  consentono  invero  di  superare  il  consolidato principio  giurisprudenziale  secondo  cui  ‘il  presupposto  oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria ricorre anche quando l’atto determini una variazione quantitativa o anche solo qualitativa del patrimonio  che  comporti  una  maggiore  incertezza  o  difficoltà  nel soddisfacimento del credito (Cass. n. 19207 del 19 luglio 2018). La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi.
Con il nono motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n.5 c.p.c. la violazione ‘delle norme di diritto’.
La censura riguarda il passaggio della motivazione della sentenza di appello con il quale la Corte ha confermato la valutazione operata dal  giudice  di  primo  grado  riguardo  alla  sussistenza  di  vincoli  di parentela in linea retta tra i referenti delle due società conseguenti alla scissione.
Il motivo è inammissibile poiché è formulato come omesso esame di un  fatto  storico,  ai  sensi  dell’articolo  360,  n.5  c.p.c.,  ma  riferito genericamente alla ‘falsa applicazione delle norme di diritto’. Non viene individuata nessuna disposizione di legge specifica e la censura è assolutamente generica.
Con il decimo motivo si lamenta la violazione l’articolo 2506 c.c., in relazione all’articolo 360, n.5 c.p.c. e l’omessa motivazione.
La scissione operata non ha asseritamente pregiudicato alcun diritto, trattandosi di operazione reale e non configurandosi alcun intento fraudolento, certamente non interessante la società RAGIONE_SOCIALE
Le decisioni di appello hanno altresì asseritamente escluso l’esistenza di posizioni debitorie pure della società RAGIONE_SOCIALE nei confronti del condominio.
Il motivo è inammissibile perché non specifico giacché non individua le argomentazioni della sentenza impugnata censurate.
Viene  prospettato  in  termini  di  omessa  motivazione  riguardo  al requisito dell’intento fraudolento sostenendosi che la procedura di scissione sarebbe una operazione reale e non apparente e che non vi  sarebbero  controinteressati,  giacché  le  diverse  sentenze  che  si sono occupate del contenzioso tra le parti non avrebbero affermato l’esistenza di ‘alcuna debenza della società scissa nei confronti del condominio’.
Si  tratta  di  affermazioni  assolutamente  generiche  e  assiomatiche fondate su presupposti privi di supporto processuale e probatorio.
Con  l’undicesimo  motivo  si  deduce,  ai  sensi  dell’articolo  360,  n.5 c.p.c.,  l’errata  applicazione  l’articolo  2043  c.c.  Le  azioni  proposte dagli  odierni  controricorrenti  avrebbero  determinato  discredito  e sfiducia sul mercato e la volontà di arrecare danno di immagine alle società ricorrenti.
Il  motivo  è  inammissibile,  sia  per  come  formulato  (violazione l’articolo 2043 c.c., richiamando però il mancato esame di un fatto storico rilevante e discusso dalle parti, ai sensi dell’articolo 360, n.5 c.p.c.)  sia  perché  si  risolve  in  una  inammissibile  anticipazione,  in sede  di  legittimità,  di  una  pretesa  risarcitoria  rispetto  alla  quale alcuna forma di censura viene riferita alla sentenza impugnata.
Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n.3 c.p.c., la violazione l’articolo 92 c.p.c. e dell’articolo 1, comma 17,  della  legge  24  dicembre  2012  n.  228,  come  modificata  dalla d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. Le spese sarebbero state liquidate in misura esorbitante e, pertanto, ingiusta.
Il  motivo  è  inammissibile  poiché  ha  ad  oggetto  la  misura  della liquidazione delle spese giudiziali che non può essere sottoposto a sindacato della Corte di legittimità.
Opera al riguardo il principio consolidato secondo cui ‘in tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale o del mancato riconoscimento di spese che si asserisce essere state documentate, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonché le singole spese asseritamente non riconosciute’ (Sez. 3, Sentenza n. 14744 del 26/06/2007, Rv. 597890 – 01).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese  del giudizio di cassazione, che  liquida in complessivi €  5.000,00 ,  di  cui  euro  4.800,00  per  onorari,  oltre  a spese generali e accessori di legge, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte