Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4193 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 4193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7220/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME, CONDOMINIO DI COGNOME INDIRIZZO/50 AVELLINO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME -) rappresentato e difeso dagli
NOME (CCRNTN38C29G990F), NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME
-intimato- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 4433/2020 depositata il 21/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 30 settembre 2014, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME evocavano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE esponendo che, unitamente al condominio di INDIRIZZO in Avellino, di cui essi erano condomini, erano creditori della società RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro titoli giudiziali. Deducevano che, con atto notarile del 16 settembre 2009, la società debitrice aveva attuato la scissione di parte del patrimonio mediante trasferimento dello stesso alla RAGIONE_SOCIALE, società costituita con il medesimo atto, la cui compagine sociale rifletteva quella della società scissa. Gli attori lamentavano che, per effetto della scissione, la RAGIONE_SOCIALE era stata svuotata di gran parte del patrimonio e chiedevano, pertanto, dichiararsi l’inefficacia dell’atto di scissione sensi dell’articolo 2901 c.c.
Le società convenute si costituivano in giudizio e contestavano la pretesa degli attori i quali, per il caso di eventuale rigetto dell’azione revocatoria, proponevano domanda di accertamento della
responsabilità solidale delle società convenute ai sensi dell’articolo 2506 quater, comma terzo c.c.
Il Tribunale di Avellino con sentenza dell’11 dicembre 2015 accoglieva la domanda e dichiarava inefficace nei confronti degli attori l’atto di assegnazione patrimoniale contenuto in quello di scissione.
Avverso tale decisione proponeva appello RAGIONE_SOCIALE sulla base di otto motivi di gravame. La RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE aderiva alle censure impugnando anch’essa la decisione del Tribunale di Avellino. Gli appellati resistevano in giudizio.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza pubblicata il 21 dicembre 2020 rigettava l’appello condannando le società appellanti al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Ing. NOME. COGNOME affidandosi a 12 motivi. Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, in proprio e nell’interesse del condominio di INDIRIZZO, in Avellino. NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nell’interesse dell’intero Condominio di Volpe, n. 48/50 di Avellino, depositano memoria.
Il Procuratore generale deposita conclusioni scritte.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta la violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c. e la falsa ‘applicazione di norme di diritto’, in relazione all’articolo 360, n.4 c.p.c. e l’omissione di pronunzia. In particolare, la corte di merito ha asseritamente omesso di considerare che i titoli giudiziari non erano stati resi in favore dei richiedenti, ma nell’interesse del condominio e quindi non avrebbe considerato la caducazione dei titoli esecutivi a seguito della riforma della decisione di primo grado.
Inoltre, non ha asseritamente preso in esame il patrimonio residuo della RAGIONE_SOCIALE, sufficiente a garantire le
pretese dei creditori e non avrebbe giudicato sull’esperibilità dell’azione revocatoria nel caso di credito litigioso. Infine, non avrebbe esaminato la questione del pregiudizio quale presupposto dell’azione e non avrebbe esaminato il problema della mancat a notifica della citazione nei confronti di taluni soci.
Il motivo è inammissibile.
La censura viene prospettata come omissione di pronunzia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c.
Più correttamente va intesa quale mancata decisione sui motivi di appello giacché la corte territoriale non giudica sulle domande proposte con l’atto di citazione. In questi termini il ricorrente che abbia interesse a dedurre l’omesso esame di un motivo di impugnazione è tenuto a trascriverne il testo, individuare i passaggi della motivazione della sentenza impugnata ritenuti inadeguati e formulare specifiche censure riguardo alle argomentazioni adottate dalla corte territoriale.
Niente di tutto questo è presente nel primo motivo se non, a pagina 7, l’elencazione di questioni che non sarebbero state esaminate e che neppure si deduce essere state poste a sostegno dell’impugnazione.
Sotto altro profilo la cronologia delle vicende societarie, irritualmente inserita dopo il primo motivo di ricorso, piuttosto che nell’esposizione narrativa dello stesso, appare lacunosa, poiché, per esempio, non consente di comprendere se, nella decisione del Tribunale di Avellino n. 376 del 2011 oltre alla condanna risarcitoria fossero presenti altri capi della sentenza funzionali all’odierno giudizio. Nello stesso modo, non è indicato l’oggetto di quel procedimento e le domande formulate con l’atto di ci tazione.
A pagina 11 si fa riferimento alla sentenza n. 3744 del 2019 della Corte d’appello di Napoli che avrebbe riformato la sentenza n. 75 del 2012 del Tribunale di Avellino, che non compare tra le decisioni
menzionate, sia nella cronologia, che nella esposizione narrativa del ricorso.
Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 112 c.p.c. l’omessa motivazione e la violazione dell’articolo 2699 c.c. con riferimento all’articolo 360, n.3 e n.5 c.p.c. e la contraddittorietà della decisione.
La censura è infondata, poiché si vuol far dire alla corte territoriale che il primo giudice non avrebbe rinvenuto nel fascicolo di primo grado i titoli di acquisto delle unità immobiliari comprese nel fabbricato condominiale. Al contrario, la c orte d’appello si è limitata a rilevare che ‘sebbene il primo giudice non ne abbia dato atto, gli appellati avevano replicato all’identica eccezione delle società convenute, producendo i rispettivi titoli di acquisto’.
Il ricorrente se avesse voluto dedurre la mancata produzione della documentazione in esame in primo grado, avrebbe dovuto trascrivere l’indice del fascicolo specificando, ad esempio, che in occasione della seconda memoria ex articolo 183, n. 6 c.p.c. non era stato depositato alcun documento riguardante la proprietà degli immobili.
Con il terzo motivo si deduce l’omessa motivazione e la violazione della legge n. 220 del 2012 in ordine all’articolo 360, n.3 e n.5 e la contraddittorietà della decisione. Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità ciascun condomino ha il potere autonomo di agire solo per la tutela dei propri diritti di comproprietario pro quota e non anche di rappresentare l’interesse del condominio. Conseguentemente gli originari attori avrebbero dovuto quantificare il credito, pro quota e iure proprio, non essendo legittimati ad agire a difesa dei diritti riguardanti l’intero edificio condominiale.
La censura è infondata.
L’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità ritiene che il condominio si configuri come un ente di gestione sfornito di
personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, così che l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale è l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale. Costoro, pertanto, possono, sia intervenire nei giudizi in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore, sia proporre i mezzi d’impugnazione ammissibili per evitare gli effetti, a loro sfavorevoli, di sentenze pronunziate nei confronti del condominio.
Il principio ha trovato conferma nella decisione a SU di questa Corte secondo cui ‘nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ciascun condòmino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente, in mancanza di personalità giuridica del condominio, con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, sicché è ammissibile il ricorso incidentale tardivo del condòmino che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intenda evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio senza risentire dell’analoga difesa già svolta dallo stesso’ (Cass. Sez. U , Sentenza n. 10934 del 18/04/2019).
La giurisprudenza di legittimità ha successivamente chiarito che ‘il singolo condòmino, che intenda tutelare il proprio diritto di comproprietario “pro quota” dei beni comuni, oltre ad avere legittimazione concorrente e aggiuntiva rispetto a quella dell’amministratore nei giudizi in cui questi abbia già assunto legittimamente la difesa, è altrettanto legittimato a promuovere azioni (o a resistere ad azioni proposte da altri), senza che assuma a tal fine rilevanza la volontà degli altri condomini’ ( Cass. Sez. 2 n. 16934 del 14/06/2023, di conferma della sentenza d’appello che, a fronte dell’azione esercitata dal singolo condòmino, onde ottenere lo sgombero delle parti comuni da mobilio e la rimozione della canna
fumaria realizzata sulla sommità del fabbricato, aveva escluso che l’esercizio dell’azione giudiziaria fosse subordinato alla convocazione dell’assemblea condominiale, affermata viceversa dal giudice di primo grado ).
Questa ricostruzione dei rapporti fra condominio e condomini implica una forma di rappresentanza processuale reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri.
In altri termini il singolo condomino è considerato “parte” del giudizio anche se non è costituito personalmente, ma rappresentato dall’amministratore condominiale.
Alla luce di quanto precede i singoli condomini sono legittimati a promuovere l’azione revocatoria ai sensi dell’articolo 2901 c.c. per evitare gli effetti sfavorevoli di un atto (nel caso di specie, la scissione del patrimonio della società RAGIONE_SOCIALE e il rischio di depauperamento di buona parte del patrimonio del debitore del condominio) ed a tutela di un credito vantato dal condominio nei confronti della società debitrice.
Con il quarto motivo deducono l’omessa motivazione, la falsa applicazione dell’articolo 2903 c.c., in relazione all’articolo 360, n.3 e n.5 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il termine quinquennale di prescrizione iniziasse a decorrere, non già dalla data di stipulazione, ma da quella di trascrizione dell’atto poiché tale incombente sarebbe necessario per rendere pubblico il trasferimento e conoscibile ai terzi. La data di trascrizione nei pubblici registri immobiliari è quella del 2 ottobre 2009, così rendendo tempestiva l’azione, anche facendo riferimento al momento della notifica, riferito alle date del 19 e 29 settembre 2014. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Come dedotto da entrambe le parti e come emerge dal contenuto della sentenza impugnata, l’atto di citazione è stato consegnato all’ufficiale giudiziario il 15 settembre 2014.
Alla luce dei principi affermati da questa Corte a Sezioni unite nella sentenza n. 24822 del 2015, la regola della scissione degli effetti della notificazione, per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento agli effetti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali nei casi in cui il diritto debba farsi valere necessariamente con un atto processuale.
Pertanto, la prescrizione è ‘interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica’. Conseguentemente, trattandosi di termini annuali gli stessi scadono lo stesso giorno dell’anno successivo e, nel caso di specie, dei cinque anni successivi. Il computo va riferito alla data di esecuzione della delibera di scissione, intervenuta con atto notarile del 16 settembre 2009, per cui il termine quinquennale scadeva il 16 settembre 2014. Con il quinto motivo si lamenta la violazione di articoli 2658 e 2659 c.c., in relazione all’articolo 360, n.3 c.p.c., l’eccesso di potere e la falsa applicazione di norme di diritto. Dalle risultanze processuali emergerebbe che, al momento della trascrizione della domanda giudiziale, non sarebbero stati riportati i dati personali dei singoli condomini richiedenti, ma quelli del condominio di INDIRIZZO, con ciò violando l’articolo 2658 c.c. Inoltre, l’amministratore del condominio aveva comunicato che la assemblea condominiale non aveva deliberato di agire sensi dell’articolo 2901 c.c. e che non vi era interesse del condominio a tale azione.
Il motivo è inammissibile in quanto nuovo.
Parte ricorrente avrebbe dovuto allegare e trascrivere il contenuto del corrispondente motivo di appello che, al contrario, non è menzionato in alcun modo nella sentenza impugnata.
Posto che nel provvedimento della Corte d’Appello, non vi è traccia della questione, è principio consolidato della Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041).
Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430). Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere di allegazione.
Con il sesto motivo si lamenta la violazione la falsa applicazione dell’articolo 336 c.p.c., in relazione all’articolo 360, n.3 n.5 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La Corte non avrebbe considerato il dato fattuale, costituito dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 1226 del 2017, che avrebbe riformato la decisione del Tribunale di Avellino del 2011, eliminando le ragioni creditorie del condominio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE IandoloRAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile poiché il mancato esame di un documento processuale è estraneo all’ipotesi prevista all’articolo 360, n.5 c.p.c. Nel caso di specie la censura è formulata come inadeguata valutazione del contenuto reale della sentenza della Corte d’appello
di Napoli n. 1226 del 2017 che avrebbe radicalmente modificato la sentenza del Tribunale di Avellino del 2011 che, secondo la sentenza impugnata, costituirebbe la principale ragione di credito del condominio. La fattispecie richiamata dai ricorrenti (articolo 360, n.5 c.p.c.) si riferisce, invece, all’omesso esame di un fatto storico.
Il motivo è altresì inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere quanto meno il contenuto del dispositivo della citata sentenza e i passaggi essenziali della motivazione della Corte di appello di Napoli n. 1226 del 2017 al fine di dimostrare la tesi posta a sostegno del motivo e cioè l’inesistenza di ‘qualsiasi creditoria del condominio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE. Al contrario le generiche affermazioni contenute nel ricorso non consentono di confermare l’assunto e sono radicalmente contestate dai controricorrenti, che hanno precisato che quella decisione ‘ha lasciato inalterato l’obbligo della Costruzioni Ing. G. COGNOME di eseguire tutti i lavori indicati in parte motiva, oltr e alla rifusione delle spese legali’. Si tratterebbe di interventi posti a carico della società scissa per un valore di circa 30.000 o 40.000 euro oltre ulteriori oneri tecnici.
Con il settimo motivo si lamenta la falsa applicazione degli articoli 267 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea, in relazione all’articolo 360, n.5 c.p.c. e la omessa pronunzia o comunque l’insufficiente motivazione. La Corte di Giustizia con la sentenza del 30 gennaio 2020 avrebbe affermato il principio secondo cui i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori alla scissione, possono intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare l’inefficacia della scissione nei loro confronti. Inoltre, la Corte di giustizia avrebbe escluso i crediti eventuali e quelli litigiosi.
Il motivo è inammissibile perché la censura è ricondotta all’articolo 360, n.5 c.p.c. che costituisce fattispecie assolutamente distante rispetto alla violazione dei principi che sarebbero stati affermati dalla Corte di giustizia.
Va d’altro canto posto in rilievo che la Corte d’ Appello di Napoli nell’ambito del medesimo procedimento in esame aveva investito la Corte di Giustizia con ordinanza di rimessione del 20 marzo 2018 per richiedere se ‘dopo che sia stata decisa ed attuata la scissione di una società di capitali, mediante costituzione di una nuova società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa, senza che creditori di quest’ultima abbiano proposto l’opposizione alla scissione contemplata, nel diritto interno, dall’articolo 2503 c.c. e senza che sia stata proposta alcuna domanda di nullità o invalidità della scissione, sia consentito ai creditori medesimi esperire l’azione prevista dall’articolo 2901 c.c. allo scopo di conseguire che la scissione sia dichiarata inefficace e che, per effetto di questa dichiarazione, i creditori che l’abbiano ottenuta possono agire in via esecutiva sul patrimonio che la società scissa aveva conferito alla società di nuova costruzione’.
La Corte di G iustizia ha chiarito che l’interpretazione degli articoli 12 e 19 della direttiva del 17 dicembre 1982 n. 891, sostituiti dagli articoli 146 e 153 a seguito della direttiva del 14 giugno 2017, non osta alla introduzione da parte di creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma consenta soltanto di rendere quest’ultima inopponibile ai creditori. Principio in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la revocatoria ordinaria d ell’atto di scissione societaria è sempre esperibile, in quanto mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato e ciò diversamente da quanto avviene nella opposizione dei creditori sociali previst a all’articolo 2503 c.c. che è invece finalizzata a far valere l’invalidità dell’atto (Cass. n. 31654 del 4 dicembre 2019).
La Corte di Giustizia ha precisato che l’azione revocatoria contemplata nell’art. 2901 c.c. non comporta la scomparsa della scissione, e non produce effetti nei confronti di tutti, ma si limita a renderla inopponibile nei confronti dei creditori ed a determinare,
segnatamente, l’inopponibilità del trasferimento dei beni, posto in essere con l’operazione.
Da qui la conclusione in forza della quale il regime della nullità della scissione, contemplata dagli art. 21 e 22 della VI direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non impedisce ai creditori della scissa l’esercizio dell’azione revocatoria, che non intacca la validità della scissione, ma consente solo di renderla inopponibile al creditore revocante (‘l’articolo 19 della sesta direttiva, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa, il quale prevede il regime delle nullità della scissione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta all’introduzione, dopo la realizzazione di una scissione, da parte di creditori della società scissa, di un’azione pauliana che non intacchi la validità della scissione, ma soltanto consenta di rendere quest’ultima inopponibile a tali creditori’).
La Corte di G iustizia precisa che ‘detto paragrafo non preclude quindi agli Stati membri di istituire…strumenti ulteriori di tutela degli interessi di tali creditori’. Si afferma come l’azione revocatoria ordinaria non sia affatto preclusa dalla previsione di strumenti tipici di opposizione alla scissione, in assenza di una norma positiva che ne limiti o ne impedisca la proposizione, non essendo consentito alcuna interpretazione preclusiva in subiecta materia.
La disposizione di cui all’art. 2503 c.c., rimedio speciale di natura endosocietaria, può legittimamente coesistere con il rimedio generale di cui all’art. 2901 c.c., volta che l’opposizione alla scissione opera in via cautelativa, sul piano della validità dell’atto, mentre l’azione revocatoria si colloca sul diverso terreno dell’inefficacia negoziale, per di più soltanto relativa (cfr. con riferimento alla giurisprudenza nazionale Cass. 30184/2022; Cass.12047/2021; Cass. 31654/2019).
In sostanza, la CGUE ha chiarito che non è precluso ai creditori anteriori (i soli che avrebbero potuto optare per un diverso strumento di tutela previsto dal diritto nazionale: l’opposizione ex
art. 2503 c.c.) l’esercizio dell’azione revocatoria per far dichiarare l’inefficacia della scissione nei loro confronti, fermo restando che tale legittimità può essere attribuita dai singoli diritti nazionali a coloro i quali non avrebbero potuto opporsi a ll’atto di scissione.
Ciò in considerazione del chiaro disposto di cui all’art. 2901 c.c., che, nel definire le condizioni per l’esperibilità dell’azione pauliana e nell’indicare quali atti legittimano tale rimedio processuale, si riferisce espressamente anche ad un ‘atto anter iore al sorgere del credito’ o anche a crediti soggetti ‘a condizione o a termine’.
L a corte d’appello ha d’altro canto correttamente motivato sull’anteriorità del credito posto a fondamento dell’azione, cristallizzato dalla sentenza 376/2011 del Tribunale di Avellino, come modificata dalla sentenza n. 2166/2017 della Corte d’Appello di Napoli.
Affermazione in linea con la costante giurisprudenza della Corte secondo cui ‘In tema di azione revocatoria, rileva una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con la conseguenza che anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, a nulla rilevando che sia di fonte contrattuale o derivi da fatto illecito e senza che vi sia necessità della preventiva introduzione di un giudizio di accertamento del medesimo credito o della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, in coerenza con la funzione di tale azione’ (cfr. ex multis Cass 19/02/2020,n. 4212; Cass. n. 3369/2019).
Ogni altra valutazione esula dal quesito sottoposto alla Corte di giustizia e questo a prescindere dal fatto che la parte più consistente del credito vantato dal condominio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE COGNOME per quanto si è detto con riferimento ai motivi precedenti, è costituito proprio da titoli anteriori alla scissione
(il riferimento è alla sentenza del Tribunale di Avellino n. 376 del 2011).
Con l’ottavo motivo si deduce la falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c. in relazione all’articolo 360, n.3 n.5 e l’omessa o contraddittoria motivazione.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alla consistenza del patrimonio della società scissa. Il patrimonio della società RAGIONE_SOCIALE COGNOME non sarebbe rappresentato solo dai fabbricati in costruzione in Avellino, che risulterebbero sottoposti a sequestro preventivo, come riferito dalla stampa specializzata, ma ammonterebbe a oltre due milioni di euro come emergerebbe dalla certificazione di un architetto depositata in atti. Inoltre, la Corte non avrebbe consider ato che l’area su cui sorgeva l’immobile ha continuato ad essere di proprietà della società scissa, che i controricorrenti non sono debitori diretti della società e che, in definitiva quest’ultima non era impossidente.
Il motivo è inammissibile perché coinvolge profili riguardanti il merito e la valutazione delle prove, chiedendo a questa Corte di assicurare un terzo grado di giudizio senza avere la possibilità di verificare gli elementi probatori posti a sostegno della doglianza.
Peraltro, tali elementi (certificazione attestante un patrimonio superiore ad euro 2 milioni, esistenza di altri cespiti eccetera) sono menzionati in maniera assolutamente generica, senza indicare la localizzazione processuale dei singoli atti all’interno del fascicolo, con allegazione della tempestività della produzione.
Le doglianze non consentono invero di superare il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui ‘il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria ricorre anche quando l’atto determini una variazione quantitativa o anche solo qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito (Cass. n. 19207 del 19 luglio 2018). La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi.
Con il nono motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n.5 c.p.c. la violazione ‘delle norme di diritto’.
La censura riguarda il passaggio della motivazione della sentenza di appello con il quale la Corte ha confermato la valutazione operata dal giudice di primo grado riguardo alla sussistenza di vincoli di parentela in linea retta tra i referenti delle due società conseguenti alla scissione.
Il motivo è inammissibile poiché è formulato come omesso esame di un fatto storico, ai sensi dell’articolo 360, n.5 c.p.c., ma riferito genericamente alla ‘falsa applicazione delle norme di diritto’. Non viene individuata nessuna disposizione di legge specifica e la censura è assolutamente generica.
Con il decimo motivo si lamenta la violazione l’articolo 2506 c.c., in relazione all’articolo 360, n.5 c.p.c. e l’omessa motivazione.
La scissione operata non ha asseritamente pregiudicato alcun diritto, trattandosi di operazione reale e non configurandosi alcun intento fraudolento, certamente non interessante la società RAGIONE_SOCIALE
Le decisioni di appello hanno altresì asseritamente escluso l’esistenza di posizioni debitorie pure della società RAGIONE_SOCIALE COGNOME nei confronti del condominio.
Il motivo è inammissibile perché non specifico giacché non individua le argomentazioni della sentenza impugnata censurate.
Viene prospettato in termini di omessa motivazione riguardo al requisito dell’intento fraudolento sostenendosi che la procedura di scissione sarebbe una operazione reale e non apparente e che non vi sarebbero controinteressati, giacché le diverse sentenze che si sono occupate del contenzioso tra le parti non avrebbero affermato l’esistenza di ‘alcuna debenza della società scissa nei confronti del condominio’.
Si tratta di affermazioni assolutamente generiche e assiomatiche fondate su presupposti privi di supporto processuale e probatorio.
Con l’undicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360, n.5 c.p.c., l’errata applicazione l’articolo 2043 c.c. Le azioni proposte dagli odierni controricorrenti avrebbero determinato discredito e sfiducia sul mercato e la volontà di arrecare danno di immagine alle società ricorrenti.
Il motivo è inammissibile, sia per come formulato (violazione l’articolo 2043 c.c., richiamando però il mancato esame di un fatto storico rilevante e discusso dalle parti, ai sensi dell’articolo 360, n.5 c.p.c.) sia perché si risolve in una inammissibile anticipazione, in sede di legittimità, di una pretesa risarcitoria rispetto alla quale alcuna forma di censura viene riferita alla sentenza impugnata.
Con l’ultimo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n.3 c.p.c., la violazione l’articolo 92 c.p.c. e dell’articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, come modificata dalla d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. Le spese sarebbero state liquidate in misura esorbitante e, pertanto, ingiusta.
Il motivo è inammissibile poiché ha ad oggetto la misura della liquidazione delle spese giudiziali che non può essere sottoposto a sindacato della Corte di legittimità.
Opera al riguardo il principio consolidato secondo cui ‘in tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale o del mancato riconoscimento di spese che si asserisce essere state documentate, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonché le singole spese asseritamente non riconosciute’ (Sez. 3, Sentenza n. 14744 del 26/06/2007, Rv. 597890 – 01).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 5.000,00 , di cui euro 4.800,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, d à atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte