Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10478 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10478 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16855/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA C.INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Cagliari INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende.
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 174/2021 depositata il 20/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza n. 174/2021, depositata il 20.4.2021, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 1771/2019 del 22.7.2019, con cui il Tribunale di Cagliari ha dichiarato inefficace nei confronti del fallimento RAGIONE_SOCIALE l’assegnazione patrimoniale in
favore della RAGIONE_SOCIALE di cui all’atto di scissione societaria del 27 luglio 2011 a rogito NOME COGNOME Notaio, rep. n. 174741, Racc. n. 36733.
Per quanto ancora rileva, il giudice di secondo grado ha, in primo luogo, richiamato una recente pronuncia di questa Corte (Cass. n. 2153/2021) che, conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 30.1.2020, causa C-394/18, ha enunciato il principio di diritto secondo cui la revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria è sempre esperibile, in quanto mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, che lo rende inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori prevista dall’art. 2503 c.c., che è finalizzata a farne valere l’invalidità.
Inoltre, il giudice d’appello ha confermato l’impostazione del giudice di primo grado in ordine alla sussistenza del requisito del c.d. eventus damni , essendo stato accertato l’evento pregiudizievole in relazione tanto all’entità dei crediti pregiudicati quanto alla inconsistenza della garanzia patrimoniale della società debitrice e dei beni ad essa residuati. D’altra parte, l’appellante aveva confutato in maniera del tutto generica le relazioni di stima prodotte dal fallimento, omettendo di indicare criteri di valutazione alternativi, altrettanto ufficiali e comunemente ritenuti attendibili alla stregua di quello utilizzato dal consulente.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
La curatela del fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Il Presidente Delegato, in data 18.12.2023, ha formulato proposta di decisione anticipata.
L’RAGIONE_SOCIALE con atto del 25.1.2024, ha formulato istanza di decisione ex art. 380 bis comma 2° c.p.c.
Entrambe le parti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2503 e 2506 e ss c.c. e conseguente falsa applicazione degli artt. 2901 c.c. e 66 L.F.
Espone la ricorrente che sulla questione della natura traslativa della scissione non può ritenersi formato un vero e proprio orientamento di legittimità, tenuto conto che la dottrina è contraria a tale tesi sul rilievo che la società ‘trasferente’ nulla riceve in cambio del trasferimento, in quanto le partecipazioni della società beneficiaria non sono attribuite ad essa (come avviene in caso di conferimento) ma ai soci.
Inoltre, la riforma del 2003 ha provveduto consapevolmente a sostituire nell’art. 2506 c.c. il verbo ‘trasferire’ con il verbo ‘assegnare’ per descrivere il meccanismo attraverso il quale la società scissa crea il patrimonio di quella beneficiaria.
Ad avviso della ricorrente il c.d. ‘precedente’ costituito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23255/2016 non ha fatto altro che far riferimento al nuovo art. 2506 c.c. e richiamare Cass. n. 30246/2011 che aveva statuito che ‘ la scissione societaria di cui agli artt. 2506 e ss. c.c. costituisce un’ipotesi di successione a titolo particolare nel processo a norma dell’art. 111 c.p.c.’.
La ricorrente ritiene che dall’esclusione della natura traslativa della scissione discende automaticamente l’inapplicabilità sia dell’art. 2901 c.c. che dall’art. 66 L.F.
Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza ex art. 360. 4 c.p.c. per violazione degli artt. 115 1° e 2° comma, 132 comma 4° c.p.c. in relazione all’art. 2901 c.c.
Espone la ricorrente che la sentenza impugnato ha fondato la valutazione di sussistenza del c.d. eventus damni sulla base di una perizia di parte le cui considerazioni hanno giuridicamente lo stesso
valore probatorio delle dichiarazioni a sé favorevoli rese dal difensore del fallimento (ovvero nessuno se contestate dalla controparte).
In sostanza, afferma la ricorrente che la curatela non ha fornito la prova dell’ eventus damni , rendendo, sul punto, una motivazione meramente apparente, cercando di rimediare invocando in modo non pertinente il principio di non contestazione ed il fatto notorio.
Con proposta di definizione anticipata del 18.12.2023, il Presidente Delegato ha rappresentato la sussistenza di concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità per entrambi i motivi del ricorso, così osservando:
‘ I motivi esprimono, per la loro connessione, profili inammissibili ed altri infondati. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C-394/18), che l’azione revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria, pure se esercitata dal curatore fallimentare ex art. 66 l. fall., è sempre ammissibile, anche in concorso con l’opposizione preventiva dei creditori sociali ex art. 2503 c.c., in quanto la prima mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto per renderlo inopponibile al creditore pregiudicato, mentre la seconda è finalizzata a farne valere l’invalidità (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2153 del 29/01/2021). Nell’accogliere la tesi, questa Corte ha avuto modo di porre in rilievo che trattasi di rimedio effettivamente volto a una declaratoria di inefficacia relativa dell’atto, che lo renderebbe inopponibile al solo creditore pregiudicato, al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 c.c., finalizzata a fare valere invece l’invalidità (per nullità o annullamento) [l’art.15 d.lgs. n. 22 del 1991, introdotto in attuazione delle Direttive 1978/855/CEE (art.22) e 1982/891/CEE (art.19 ), presuppone una fusione o) scissione efficace, superando la distinzione fra nullità e annullabilità, mirando ad evitare la
demolizione dell’operazione di trasformazione e la reviviscenza delle società originarie, e pienamente compatibile con la natura e gli effetti dell’azione revocatoria, strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, che agisce sul diverso piano della mera inopponibilità dell’atto al creditore pregiudicato] e che pertanto costituisce per i creditori un rimedio aggiuntivo, e non già sostitutivo, dell’azione revocatoria ordinaria; la tutela dei creditori a fronte di atti societari altresì si estende «sino a ricomprendervi, sia pure indirettamente e in via mediata, qualsiasi attribuzione patrimoniale a sua volta “indiretta”, in guisa di “contenuto ( i.e., le attribuzioni patrimoniali destinate alle singole società di nuova formazione ) di un più ampio “contenitore” la scissione societaria)» (così Cass., 6/5/2021, n. 12047. V. altresì Cass., 4/12/2019, n. 31654).
Sulla base di tali argomentazioni la Corte di Appello di Cagliari ha fatto buon governo del principio consolidato circa la concorrente ammissibilità dell’opposizione di cui all’art. 2503 c.c. e dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e di quella esperita dal curatore fallimentare di cui all’art. 66 l.f., non ostandovi né il sistema endoprocedimentale (che prevede la possibilità di opposizione preventiva alla efficacia dell’atto pubblico di scissione, a pena di decadenza), né la preclusione alle impugnazioni di invalidità dell’atto di scissione dopo che è stata eseguita l’ultima iscrizione nel registro delle imprese, né la previsione di solidarietà limitata ai valori patrimoniali trasferiti disposta a favore del creditore.
Quanto poi alla censura la quale assume che il giudice di merito non avrebbe potuto disporre di alcuna vera prova dell’eventus damni, e che tale mancanza a sua volta, con una motivazione apparente, sarebbe stata aggirata invocando sia il principio di non contestazione, sia il fatto notorio, il profilo è infondato.
Specificamente ha ritenuto ‘la sussistenza del requisito della dannosità per la massa della sottrazione dell’immobile con la
scissione’, e ‘la qualità di prova è stata riconosciuta ad un atto di parte’ (consulenza di parte, non ritenendo necessario disporre di una Ctu), al punto di ‘indurre la Corte di Appello ad invocare, a supporto, la collocazione dell’immobile nella centralissima INDIRIZZO in Cagliari’, invocando cioè la sussistenza di un fatto notorio a norma dell’art. 115 2 comma c.p.c. (pagina 15 e 16 del ricorso).
Viene poi dedotto che ‘notorio non può essere il valore dell’immobile assegnato che determina il pregiudizio della massa’, con ciò confermando che, ‘sotto ulteriore profilo la Corte non ha potuto disporre di alcuna vera prova dell’eventus damni’ . Anche tale censura è infondata, in quanto gli assunti si risolvono, essenzialmente, nel tentativo di opporre alla ricostruzione della decisione impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017; Cass. n. 7119 del 2020; Cass. n. 32026 del 2021; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 1822 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 3156 del 2022; Cass. n. 13408 del 2022). Risulta invero che la curatela abbia dato prova della sussistenza del requisito dell’eventus damni, non trovando applicazione la regola generale prevista per l’actio pauliana secondo cui, a fronte dell’allegazione, da parte del creditore, delle circostanze che integrano il presupposto in parola, incombe sul debitore l’onere di provare che il patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare le ragioni della
contro
parte (cfr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 28286 del 09/10/2023).
Inoltre, qualora il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, esso fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 115, comma 2, c.p.c. e la Corte di cassazione esercita il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18101 del 31/08/2020. E difatti, la Corte di Appello afferma che ‘l’eventus damni è sostanzialmente consistito, nel caso esaminato, nel trasferimento, in capo alla società beneficiaria, del cespite immobiliare della scissa di più cospicuo valore, essendo rimasto alla scissa un patrimonio immobiliare del tutto trascurabile’, elemento non contestato dal ricorrente (pagina 12 del provvedimento).
Nello specifico il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria è stato provato dal Fallimento con una serie di elementi (la consistenza dei crediti vantati dai creditori ante scissione, ammessi al passivo; l’antecedenza dei crediti rispetto all’atto pregiudizievole; il mutamento qualitativo e quantitativo del patrimonio del debitore per effetto della scissione, rimanendo in capo alla società scissa un patrimonio del tutto incapace a soddisfare l’imponente passivo accumulato). Inoltre, si esplicita nel provvedimento, ‘il ricorrente ha provveduto a confutare in maniera del tutto generica la stima, e ha omesso di indicare i criteri di valutazione alternativi, altrettanto ufficiali e comunemente ritenuti attendibili alla stregua di quello utilizzato dal Consulente del Fallimento, dalla cui relazione emerge, chiaramente, che la stima è stata rapportata alla situazione concreta, tenuto conto della crisi del mercato immobiliare e al contempo della sua ripresa, dell’ubicazione degli immobili e del loro notorio pregio storico (in particolare quelli ubicati nella INDIRIZZO in Cagliari) (pagina 11 del provvedimento)’, e ‘Che
l’elaborato del consulente COGNOME era stato solo genericamente criticato dalla convenuta’, dovendosi al contrario ritenere attendibile ed esaustiva la consulenza di parte ‘ in considerazione della competenza del professionista, della sede giurisdizionale in cui la relazione era stata confezionata, del metodo di stima adottato, secondo i valori delle transazioni commerciali di immobili situati nella medesima zona come elaborati dal Ministero delle Finanze (dati OMI)’. Ciò confligge con qualsiasi postulato di motivazione apparente sul citato elemento essenziale dell’azione’.
Questo Collegio non può che confermare e far proprie le argomentazioni svolte nella proposta di definizione anticipata.
In particolare, con riferimento al primo motivo, va osservato che, come ben evidenziato dalla sentenza impugnata, conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C-394/18), l’azione revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria, pure se esercitata dal curatore fallimentare ex art. 66 l. fall., è sempre ammissibile, in quanto mira ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto per renderlo inopponibile al creditore pregiudicato.
Né persuade la prospettazione di parte ricorrente secondo il legislatore, con la riforma del 2003, avrebbe provveduto consapevolmente a sostituire nell’art. 2506 c.c. il verbo ‘trasferire’ con il verbo ‘assegnare’ per descrivere il meccanismo attraverso il quale la società scissa crea il patrimonio di quella beneficiaria, escludendo la natura traslativa della scissione.
In primo luogo, l’art. 2506 bis c.c. comma 2°, non a caso, nel far riferimento alla società scissa, la denomina come ‘società trasferente’.
Inoltre, la natura traslativa della scissione risulta non solo dal costante orientamento di questa Corte (S.U. 23255/2016, Cass. n. 2152/2021) -cui questo Collegio intende dare continuità – ma anche da quanto affermato dalla Corte di Giustizia, nella sentenza
sopra indicata, che, al punto 75, ha dichiarato che ‘ l’articolo 12 della sesta direttiva 82/891/CEE, in combinato disposto con gli articoli 21 e 22 della stessa, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che, dopo la realizzazione di una scissione, i creditori della società scissa, i cui diritti siano anteriori a tale scissione e che non abbiano fatto uso degli strumenti di tutela dei creditori previsti dalla normativa nazionale in applicazione di detto articolo 12, possano intentare un’azione pauliana al fine di far dichiarare la scissione inefficace nei loro confronti e di proporre azioni esecutive o conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione’.
In conclusione, la natura traslativa della scissione emerge chiaramente anche dall’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia cui il giudice nazionale deve necessariamente conformarsi (vedi S.U. n. 17927/2008; più recentemente, Cass. n. 10414/2020, entrambe in motivazione).
Con riferimento al secondo motivo del ricorso, questo Collegio non ritiene condivisibile l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la perizia di parte avrebbe lo stesso valore probatorio delle deduzioni difensive del legale di una parte.
Sul punto, questa Corte (vedi Cass. n. 25593/2023; conf. 2655/2011) ha già enunciato il principio diritto secondo cui ‘ Il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione, attesa l’esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice ‘.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha reso una motivazione sufficientemente articolata, avendo ritenuto attendibile elaborato del consulente tecnico di parte sia (come evidenziato dal giudice di primo grado) in relazione al metodo di stima adottato – secondo i valori delle transazioni commerciali di immobili situati nella
medesima zona come elaborati dal Ministero delle Finanze (dati OMI) -sia per essere la stima stata rapportata alla situazione concreta, ‘ tenuto conto della crisi del mercato immobiliare e al contempo della sua ripresa, dell’ubicazione degli immobili e del loro (notorio) pregio storico (in particolare quelli ubicati nella INDIRIZZO in Cagliari)’.
Inoltre, la ricorrente ha, inammissibilmente, contestato il fatto notorio.
Sul punto, questa Corte (vedi Cass. n. 4182/2024) ha, recentemente, enunciato il principio di diritto secondo cui’ in tema di prova, il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio (da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo) e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda; peraltro, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero, l’inveridicità può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non già di ricorso per cassazione’ .
Nel caso di specie, la ricorrente ha contestato apoditticamente il fatto notorio ritenuto dal giudice d’appello (ovvero che gli immobili ubicati nella centrale INDIRIZZO di Cagliari siano dotati di pregio storico), non considerando, peraltro, che il giudice di merito ha ritenuto sussistente l’eventus damni (per l’elevato elevato valore degli immobili trasferiti alla società ricorrente a seguito della scissione) alla luce di una pluralità di elementi concorrenti -come sopra indicati – e non solo sulla base del fatto notorio.
In conclusione, la ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione di legge, non ha fatto altro che, inammissibilmente,
sollecitare una diversa ricostruzione del fatto ed una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dai giudici di merito.
Deve quindi confermarsi la valutazione del Presidente delegato di complessiva infondatezza del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Inoltre, poiché il ricorso è stato deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., devono essere applicati come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ. il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente della somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo (che si stima pari a quella quantificata a titolo di spese di lite) nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 e Cass. Sez. U 13-102023 n. 28540, l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata. Peraltro, se è pur vero che di una siffatta ipotesi di abuso, già immanente nel sistema processuale, va esclusa una interpretazione che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, sicché l’applicazione in concreto delle predette sanzioni deve rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Sez. Un. n.36069 del 27.12.2023), nondimeno nell’ipotesi in esame non si rinviene alcuna ragione per discostarsi dalla suddetta previsione legale: è
evidente la complessiva piena «tenuta» del sintetico provvedimento di proposta di definizione anticipata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso. Peraltro, se è pur vero che di una siffatta ipotesi di abuso, già immanente nel sistema processuale, va esclusa una interpretazione che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, sicché l’applicazione in concreto delle predette sanzioni deve rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Sez.Un. n.36069 del 27.12.2023), nondimeno nell’ipotesi in esame non si rinviene alcuna ragione per discostarsi dalla suddetta previsione legale: è evidente la complessiva piena «tenuta» del sintetico provvedimento di proposta di definizione anticipata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Condanna la ricorrente ex art. 96 co.3 e 4 cod. proc. al pagamento di € 6.000,00 a favore del controricorrente e di € 2.500,00 a favore della cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 10.4.2025