Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16154 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16154 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4831 R.G. anno 2023 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
contro
ricorrente avverso la SENTENZA n. 1433/2022 emessa da CORTE D’APPELLO PALERMO.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. ─ L a Corte d’appello di Palermo, confermando la decisione di primo grado, che aveva accolto la domanda di declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. della compravendita immobiliare conclusa tra COGNOME NOME, e la figlia NOME – domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE -ha ritenuto: che non ricorrevano le condizioni per sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa si definizione della controversia vertente sull’accertamento del debito (per il quale era stata pronunciata una ingiunzione che risultava opposta); che l’ampliamento della garanzia era stato «regolarmente controfirmato dai debitori» e non rilevava la sproporzione tra la capacità economica del fideiussore e l’obbligazione garantita ; che sussisteva la prova presuntiva della scientia damni , in ragione dello stretto rapporto di parentela tra le parti dell’operazione oggetto della revocatoria , oltre che dell’ eventus damni .
2 . ─ Ricorrono per cassazione, con tre motivi, i COGNOME. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di procuratrice di RAGIONE_SOCIALE.
E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La proposta ha il tenore che segue:
«l primo motivo -che deduce ‘omessa pronuncia ex art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.’, per non avere la sentenza impugnata pronunciato sulla violazione dell’art. 1956 c.c., quando la banca avrebbe potuto ricavare dal bilancio la conoscenza delle condizioni economiche della debitrice principale -è inammissibile, sotto plurimi profili, posto che: in primo luogo, il vizio ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non è idoneo a veicolare la pretesa omessa pronuncia, onde la norma è stata impropriamente evocata, in particolare avendo questa Corte da tempo chiarito che
l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, 1º comma, n. 5, c.p.c., nel testo riformulato dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni in l. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile ( e multis , Cass. 25 gennaio 2021, n. 1468; Cass. 21 gennaio 2021, n. 1259; Cass. 21 gennaio 2021, n. 1187; Cass. 23 ottobre 2020, n. 23194; Cass. 14 agosto 2020, n. 17175; Cass. 9 luglio 2020, n. 14599; Cass. 15 giugno 2020, n. 11588; Cass. 22 gennaio 2018, n. 1539; Cass. 16 marzo RAGIONE_SOCIALE, n. 6835; Cass. 12 ottobre RAGIONE_SOCIALE, n. 23930; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257); in secondo luogo, il motivo non è autosufficiente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., non riportando in modo integrale i punti da cui sarebbe desumibile una omessa pronuncia; in terzo luogo, come risulta dalle parti dell’atto di appello indicate nel ricorso, nessun motivo sufficientemente specifico esisteva circa la pretesa omessa pronuncia, con riguardo alla violazione de ll’art. 1956 c.c., da parte del primo giudice, posto che non il ricorso menziona soltanto una doglianza di ‘ omessa motivazione ‘ e che, inoltre, è inidonea a tali fini la mera riproduzione del numero di un articolo, oltretutto insieme ad altri della intera disciplina fideiussoria, ivi evocati; inoltre, l’ultima parte del motivo impinge, inammissibilmente, sul giudizio di fatto;
«il secondo motivo -che censura la mancata sospensione del giudizio ex art. 337 c.p.c. -è inammissibile, perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che, in conformità a principio consolidato della RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto sufficiente a fondare l’azione revocatoria il credito ancora sub iudice ;
«il terzo motivo -che deduce violazione degli artt. 1147 e 2901 c.c., perché la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere provato
il consilium fraudis -è inammissibile, riproponendo un giudizio sul fatto, insindacabile in sede di legittimità, oltretutto pretendendo di applicare alla vicenda una disposizione dettata in tema di possesso ad essa completamente estranea;
«il quarto motivo -che deduce la nullità delle fideiussioni in quanto redatte su schema ABI -è inammissibile, perché, come questa Corte ha avuto occasione più volte di precisare con riferimento alla questione posta dal motivo (Cass. 13/12/2022, n. 36421; Cass. 13/12/2022, n. 36348; Cass. 30/11/2022, n. 35190; Cass. 17/11/2021, n. 34799; cfr. anche Cass. 30/09/2021, n. 26530), la valutazione della eccezione di nullità del contratto in sede di legittimità presuppone che in sede di giudizio di merito siano stati accertati i relativi presupposti di fatto, posto che la nullità può, infatti, essere bensì rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma solo laddove siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza (ex aliis , Cass. n. 4175 del 19/02/2020; n. 3556 del 13/02/2020; n. 25273 del 10/11/2020): ma, nella specie, in ordine alla ricavabilità di un tale accertamento dal giudizio di merito non vi è da parte del ricorrente assolvimento dell’onere di cui all’art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c., posto non si indica dove e come i fatti integratori della pretesa nullità fossero stati introdotti nel processo e sarebbero stati rilevabili;
« inoltre, il motivo è inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, c.p.c., posto che la sentenza Cass., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994 ha sancito il principio di diritto secondo cui ‘ I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive,
in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti »: dunque, le Sezioni Unite hanno escluso che operi la nullità integrale della fideiussione, limitando tale vizio alle mere clausole interessate e la nullità denunciata avrebbe carattere solo parziale (v. anche Cass. n. 36183/2022), dunque irrilevante al fine di escludere la debenza del credito vantato».
Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, che del resto non sono state confutate dalla parte ricorrente .
– Il ricorso va dichiarato inammissibile.
– L e spese di giudizio seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c..
Vale rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 6.000,00 , oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 6.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione