Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25900 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1893/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME domiciliato ex lege all’indirizzo Pec in atti. – ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME domiciliati ex lege all’indirizzo Pec in atti.
–
contro
ricorrenti –
nonchè contro
COGNOME
–
intimato –
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25900 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 356/2022 depositata il 10/06/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME proponeva appello, nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME, avverso la sentenza n. n. 807/2018 con cui il Tribunale di Messina aveva: -) dichiarato l’inefficacia ex art. 2901 cod. civ. nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME dell’atto pubblico, con cui NOME COGNOME aveva venduto a COGNOME NOME la proprietà di un immobile, sito in Taormina, adibito a locale commerciale; -) condannato NOME COGNOME al pagamento, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, della somma di € 75.000,00 oltre interessi legali dal 5 dicembre 2012 al soddisfo, dopo avere ritenuto l’inadempimento, da parte del Costa, degli obblighi derivanti dalla transazione conclusa il 17 luglio 2007; -) condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME all’immediato rilascio, in favore del legittimo proprietario, dell’immobile sito in Taormina, sopra specificato, libero e sgombro da cose o persone; -) rigettato tutte le altre domande.
Si costituivano i coniugi COGNOME, mentre COGNOME, benché ritualmente citato, rimaneva intimato.
Con sentenza n. 832 del 10 giugno 2022 la Corte d’Appello di Messina rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Resta intimato NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il ricorrente ed i controricorrenti hanno depositato rispettive memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia ‘omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione inter partes nel giudizio di appello, essendo del tutto mancato l’esame della situazione emergente dalle procedure esecutive n. 214/1994 e 445/1994 R.G.E., allora in corso dinanzi al Giudice delle Esecuzioni del Tribunale di Messina, e la cui valutazione prognostica (sulla base dei principi affermati nelle sentenze della III Sezione Civile della Cassazione, a partire dalla sentenza n. 14464/2009 e poi, più volte riaffermati con le sentenze n. 25733/2015, 21783/2019, 30736/2019) avrebbe dovuto fare concludere per l’inesistenza dell’elemento oggettivo (eventus damni) dell’azione revocatoria, posto che il credito chirografario dei coniugi COGNOMECOGNOME mai avrebbe potuto essere utilmente soddisfatto, neppure in parte, nella distribuzione del ricavato, ove mai l’immobile, anziché essere venduto dal Costa al COGNOME con l’atto in Not. Tierno del 27.10.2009, fosse stato subastato nelle predette esecuzioni immobiliari, e avendo così la Corte di Appello anche violato gli artt. 2901 e 2697 c.c. e gli artt. 112 e 115 c.p.c. (art. 360, comma 1, e, rispettivamente, il n. 5 e il n. 3 c.p.c.)’.
1.1. Il motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
Il ricorrente denunzia il vizio ex art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., in presenza di cd. doppia conforme, dato che entrambi i giudici di merito hanno affermato la sussistenza del requisito oggettivo dell’ eventus damni con la medesima motivazione, e dunque in violazione dell’art. 348 -ter cod. proc. civ. ora art. 360, comma 4, cod. proc. civ., a norma del quale ‘Quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a
base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4)’.
Fa riferimento ad una questione, prospettandone l’omesso esame, di cui l’impugnata sentenza non fa menzione alcuna, ma senza specificare, riportare, localizzare se, dove e quando tale questione sia stata trattata nel precedente contesto processuale, dunque incorrendo in manifesta violazione dell’art. 366, n. 4 e n. 6, cod. proc. civ., di talchè la questione è nuova in quanto proposta, per la prima volta ed inammissibilmente, in sede di legittimità.
Va ribadito, invero, il principio secondo cui, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., n. 32804 del 13/12/2019; Cass., 24/01/2019, n. 2038; Cass., 13/06/2018, n. 15430).
Invoca il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. cumulativamente con il vizio di omessa motivazione e di omesso esame, senza tenere conto che, secondo costante orientamento di legittimità, ‘In tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto,
sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ (v. Cass., 23/10/2024, n. 27551; Cass., n. 6150/2021; Cass., 29552/2022).
Invoca, infine, la violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in maniera difforme dagli insegnamenti di questa Suprema Corte secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (v. di recente Cass., 15/10/2024, n. 26739; Cass., 26769/2018) – e, pertanto, al sostanziale fine di sollecitare il riesame del fatto e della prova mediante un sindacato che risulta, invece, estraneo al giudizio di legittimità.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione da parte
della corte territoriale degli ‘artt. 832, 2043, 2056, 1223 e 1226 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., non avendo ritenuto e riconosciuto l’esistenza del danno presunto (sulla base dei principi affermati dalle SS. UU della Cassazione nella sentenza n. 33645/2022) subìto dal COGNOME per l’occupazione sine titulo dei coniugi COGNOME nel periodo dal 26.03.2010, allorché venne intimato ai coniugi COGNOME di rilasciare l’immobile, sino al 06.10.2018, allorché i predetti hanno provveduto alla consegna dell’immobile, in misura che era possibile quantificare, ex art. 2729 c. c. 115 c.p.c., in via presuntiva e anche sulla base delle nozioni di fatto di comune esperienza.
2.1. Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di affermare che ‘In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l’onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno. In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento
del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato’ (Cass., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645).
Orbene, pur essendosi pronunciata prima dell’arresto delle Sezioni Unite, la corte territoriale ha statuito in piena conformità rispetto ai suindicati principi, là dove ha affermato: ‘è onere del danneggiato, in tali casi, prima di tutto quello di allegare e, quindi, di provare di avere subito un’effettiva lesione del patrimonio per non aver potuto locare l’immobile ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni concretamente pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni, ma pur sempre sulla base di elementi indiziari allegati dallo stesso danneggiato (v., tra le altre, sull’argomento Cass. Civ. n. 31233/2018). Così inquadrata la tematica giuridica che fa da sfondo al fatto oggetto di doglianza nel secondo motivo di appello, rileva la Corte che ciò che è mancata nella specie è proprio la tempestiva e specifica allegazione da parte dell’odierno ricorrente dei fatti concretamente costitutivi ( id est , elementi indiziari) del lamentato danno, laddove, stando al tenore degli atti di parte sopra riportato testualmente, nulla risulta essere stato allegato in proposito (affermandosi solo, mediante mera petizione di principio, di avere diritto al risarcimento dei danni per l’illegittima detenzione del bene da parte dei coniugi COGNOME/COGNOME, da quantificare mediante c. t. u.).
Solo nell’atto di appello l’odierno ricorrente e allora appellante
ha dedotto un’allegazione fattuale, a tale stregua inidonea ad essere presa in considerazione al fine di rimuovere l’affermazione della corte di merito secondo cui <> (v. p. 11 dell’impugnata sentenza).
Con il terzo subordinato motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli ‘artt. 1483 e segg. c.c., e 100 c.p.c., non avendo ritenuto e riconosciuto l’interesse e il diritto del COGNOME di essere manlevato in nel giudizio in corso dal suo dante causa Costa per il pericolo, concreto e attuale, di evizione della sua proprietà in conseguenza dell’azione revocatoria sin qui vittoriosamente esercitata dei coniugi ScafidiQuattrocchi nel giudizio in corso’.
Lamenta che la corte territoriale non ha tenuto conto del suo interesse e diritto ad essere garantito dall’evizione da parte del venditore suo dante causa.
Deduce che il giudice di prime cure, dopo avere accolto la domanda revocatoria dei coniugi COGNOME in danno di COGNOME NOME, esponendolo al rischio della perdita della bottega acquistata, non si era pronunciato in ordine alla domanda subordinata di garanzia per l’evizione, ex art. 1483 cod. civ., ragion per cui COGNOME NOME era stato costretto a riproporla in appello, ove, tuttavia, la corte di merito l’ha rigettata.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente omette, infatti, di censurare la complessiva ratio decidendi su cui l’impugnata sentenza si fonda , trascurando in particolare di impugnare l’affermazione secondo cui <> (v. pp. 1112 dell’impugnata sentenza).
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, quando la sentenza di merito impugnata si fonda, come nel caso in esame, su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente le censuri tutte, dato che l’omessa impugnazione di una di essere rende definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, e le restanti censure non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 27/07/2017, n. 18641; Cass., 14/02/2012, n. 2108).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi
euro 9.200,00, di cui euro 9.000,00 per compensi, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 4 aprile 2025
Il Presidente NOME COGNOME