Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17077 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17077 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27107/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE E PER ESSA QUALE SUB SERVICER E MANDATARIA RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2327/2022 depositata il 07/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria dei crediti originariamente vantati dalla Banca di Roma S.p.A. (già Banco di Santo Spirito), ha convenuto in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Roma, chiedendo la declaratoria di simulazione assoluta o, in subordine, l’inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di disposizione del 9 gennaio 2009, con cui NOME COGNOME aveva trasferito alla sorella NOME COGNOME il diritto di uso e abitazione e, congiuntamente a quest’ultim o, aveva trasferito a NOME COGNOME la nuda proprietà di un immobile sito in Roma, INDIRIZZO
La Sagittaria RAGIONE_SOCIALE ha dedotto di essere creditrice di NOME COGNOME in forza di un contratto di mutuo fondiario del 1992, concesso originariamente dalla Banco di Santo Spirito, e successivamente ceduto alla stessa attrice tramite operazioni intermedie di cessione del credito. Ha evidenziato che il debitore, dopo aver acquistato l’immobile accollandosi il mutuo, ne aveva omesso il pagamento, determinando l’avvio della procedura esecutiva immobiliare n. 79635/1994, con la vendita forzata del bene e la distribuzione del ricavato tra i creditori. Tuttavia, a fronte di un credito di € 795.559,32, l’attrice ha recuperato solo € 431.984,50.
Inoltre, ha evidenziato che, pur avendo rinunciato formalmente all’eredità del fratello NOME COGNOME nel 2003, NOME COGNOME ha successivamente disposto del bene ereditario con l’atto oggetto di impugnazione, revocando di fatto la rinuncia. Ha ritenuto, pertanto, sussistenti i presupposti per l’azione revocatoria o, in subordine, per la simulazione dell’atto di trasferimento, in quanto NOME COGNOME era un soggetto di stretta fiducia del debitore.
Con sentenza n. 6345/2016, il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda dell’attrice.
Con sentenza n. 2327 del 7 aprile 2022, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto l’appello e dichiarato inefficace ex art. 2901 c.c. nei confronti della Sagittaria l’atto di disposizione del 9 gennaio 2009.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’azione revocatoria, accertando: (i) l’anteriorità del credito dell’appellante rispetto all’atto impugnato; (ii) la situazione di difficoltà finanziaria di NOME COGNOME, confermata dalla vendita forzata di un altro immobile e dall’emissione del decreto ingiuntivo n. 14977/2011, divenuto definitivo; (iii) la consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio ai creditori, desumibile dalla sua rinuncia all’eredità nel 2003 per evitare l’aggressione del bene da parte dei creditori; (iv) la scientia damni del terzo NOME COGNOME, non essendo necessaria la prova di un dolo specifico o di una participatio fraudis , ma risultando sufficiente la consapevolezza, quantomeno generale, delle difficoltà economiche del debitore, presunta in virtù dei rapporti di amicizia con i suoi familiari; (v) il fatto che l’atto dispositivo fosse successivo alla nascita del credito, circostanza idonea di per sé a integrare l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a 8 motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, parte ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.
Sostiene che la Corte d’appello: (i) avrebbe erroneamente ritenuto l’atto dispositivo del 2009 lesivo della garanzia patrimoniale generica del creditore del COGNOME. Quando invece, avendo rinunciato all’eredità del fratello, prima di detto atto, l’immobile non sarebbe entrato nella sua disponibilità e la sua successiva vendita al COGNOME non avrebbe inciso sul patrimonio del debitore; (ii) non avrebbe dovuto considerare le vicende patrimoniali del debitore successive a tale atto e, quindi, il decreto ingiuntivo n. 14977, ottenuto dal creditore, nel 2011, nei confronti del signor COGNOME da costui non opposto. Decreto tardivamente allegato in primo grado dal creditore, e, quindi, inammissibile, come riconosciuto dal Tribunale.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, la COGNOME denunzia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.).
La decisione impugnata sarebbe erronea perché la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di tardività del decreto ingiuntivo n. 14977/2011, sollevata in primo grado dal creditore, perché allegato con la seconda memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., malgrado fatto costitutivo della domanda. Eccezione accolta dal Tribunale, che ne ha disposto l’inammissibilità del documento. Né tale pronuncia potrebbe ritenersi inclusa nella decisione della Corte d’appello di rigetto delle eccezioni riproposte dalle appellate ex art. 346 c.p.c., in quanto eccezione ‘accolta nella sentenza di primo grado e, quindi, esclusa dal novero delle eccezioni di cui è imposta espressa riproposizione in appello, a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.’ (v. p. 21, ricorso).
4.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente, in subordine alla precedente doglianza, denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Ancora una volta, sostiene l’erroneità della statuizione del giudice del gravame per aver ritenuto ammissibile l’allegazione del decreto ingiuntivo n. 14977/2011 e per aver fondato su di esso la sua decisione, in tal modo incorrendo in un error in procedendo .
4.4. Con il quarto motivo, la COGNOME prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2727 e 2729 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.).
La statuizione secondo cui sarebbe sussistente, in capo al COGNOME, il requisito della scientia damni sarebbe frutto di un’illegittima e inammissibile valorizzazione di una presunzione, desunta da un unico e equivoco fatto (ossia il motivo della rinuncia del signor NOME COGNOME alla eredità del fratello). Fatto che, malgrado fosse privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, sarebbe stato assunto, dal giudice del gravame, a fatto noto, da cui avrebbe derivato un’altra presunzione, in dissonanza con le risultanze dell’interrogatorio formale reso dal terzo e dalla signora NOME COGNOME In tal modo, incorrendo nel divieto della c.d. praesumptio de presumpto .
4.5. Con il quinto motivo, parte ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2727 e 2729 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.).
La ricorrente denunzia la sentenza della Corte d’appello per aver ritenuto sussistenti, in via meramente presuntiva, i requisiti della scientia damni e del consilium fraudis in capo al terzo, sulla base del solo legame di amicizia con i familiari del debitore, pur a fronte della formale smentita resa in sede di interrogatorio. Deduce, inoltre, che tale elemento, anche se provato, non sarebbe stato idoneo a integrare il dolo generico richiesto dall’art. 2901 c.c., che esige la consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori dall’atto dispositivo.
4.6. Con il sesto motivo di ricorso, la COGNOME denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2727 e 2729 c.c.
L’erroneità della decisione deriverebbe dall’aver ritenuto il COGNOME in mala fede nella stipula dell’atto del 2009, basandosi sulla esistenza di un rapporto di amicizia con i fratelli NOME e NOME COGNOME. Fatto che, però, sarebbe privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e renderebbe il ragionamento presuntivo della Corte sindacabile in sede di legittimità.
4.7. Con il settimo motivo, parte ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione nuovamente degli artt. 2727 e 2729 c.c.
La decisione impugnata sarebbe viziata da intrinseca incomprensibilità, sia per l’illogicità del criterio seguito nella selezione delle prove ritenute rilevanti ai fini della scientia damni , sia per l’assenza di un adeguato percorso motivazionale nell’apprezzamento degli elementi presuntivi. Ciò integrerebbe violazione dei principi in tema di formazione della prova presuntiva, ex art. 2901 c.c.
4.8. Con l’ottavo motivo, proposto in via subordinata ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, lamentando che la Corte d’appello abbia fondato il convincimento sulla scientia damni del terzo su un unico e ambiguo elemento presuntivo, senza una motivazione adeguata, e senza valutare complessivamente altri fatti noti e rilevanti -emersi anche dagli interrogatori formali -che avrebbero dovuto condurre ad escludere la prova, anche presuntiva, della consapevolezza del pregiudizio da parte di NOME COGNOME.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in ragione della loro connessione, sono inammissibili.
Innanzitutto, il ricorso è stato formulato in modo non conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 c.p.c.,
stante l’inosservanza dei principi di specificità, anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod. proc. civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
5.1. Va ulteriormente posto in rilievo che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato l’inammissibilità delle censure che, pur formalmente ricondotte a vizi di legittimità, si risolvono, in realtà, in una richiesta di rivalutazione del compendio fattuale posto a fondamento della decisione impugnata, in quanto presuppongono una ricostruzione alternativa del merito degli accadimenti (cfr. Cass., Sez. Un., n. 34476 del 27/12/2019).
Tale rivalutazione si pone al di fuori del perimetro del sindacato di legittimità, risultando incompatibile con la natura morfologica e funzionale del giudizio di cassazione, che non è configurabile come un terzo grado di merito. L’accoglimento di doglianze volte alla sostituzione della ricostruzione fattuale operata dal giudice di
merito con una più aderente alle prospettazioni della parte ricorrente, si risolverebbe in una surrettizia fungibilità tra giudizio di fatto e controllo di legittimità, in violazione dell’articolazione delle fasi processuali e delle rispettive funzioni.
Questa Corte ha inoltre precisato che il vizio motivazionale, deducibile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., (cfr. motivo 8 del ricorso) ricorre esclusivamente nei casi in cui risulti un omesso esame di un fatto storico, decisivo e controverso, oggetto di discussione tra le parti, e non già quando la parte censura un apprezzamento difforme da quello da essa auspicato. La disposizione in parola, infatti, non attribuisce alla Corte di legittimità alcun potere di riesame del merito, ma consente esclusivamente il controllo esterno della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica della motivazione adottata dal giudice del merito, cui soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, selezionare e valutare le risultanze istruttorie, verificandone l’attendibilità e la rilevanza ai fini decisori.
Nel caso di specie, la Corte d’appello, all’esito di un accertamento in fatto sorretto da motivazione congrua e logicamente coerente, ha ritenuto, sussistenti tutti i presupposti per l’esperibilità dell’azione revocatoria.
In particolare, ha accertato: a) l’esistenza del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME (pag. 8 sentenza impugnata); b) che l’atto dispositivo compiuto da COGNOME nel 2009 fosse lesivo della garanzia patrimoniale del creditore (cfr. pagg. 9 e ss. della sentenza impugnata); c) la sussistenza, in capo al terzo, sia del consilium fraudis sia della scientia damni (cfr. sentenza impugnata pag. 9 e 10).
La corte di merito ha ritenuto provata la scientia damni -intesa come consapevolezza del pregiudizio arrecato alla garanzia del creditore -sulla base di presunzioni semplici, quali il rapporto di stretta amicizia tra il terzo, NOME COGNOME e la famiglia COGNOME, in
particolare di NOME ed NOME COGNOME fratelli del debitore NOME), elemento ritenuto idoneo a escludere, per l’evidente prossimità personale, l’ignoranza da parte del beneficiario dell’atto circa la situazione debitoria del disponente.
Quanto invece al consilium fraudis , è stata accertata la partecipazione attiva del terzo alla realizzazione dell’atto pregiudizievole, in quanto consapevole della finalità fraudolenta perseguita dal debitore e compartecipe della volontà di sottrarre beni alla garanzia del creditore.
Orbene, le censure mosse dall’odierna ricorrente si risolvono in realtà nella mera prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti e, in particolare, nella richiesta di una diversa valutazione da parte di questa Corte delle prove rispetto a quella operata dal giudice di merito.
Richiesta invero inammissibile, atteso che il giudice di merito è libero di fondare il proprio convincimento sugli elementi probatori ritenuti più attendibili e rilevanti, purché come nella specie ne dia congrua motivazione.
Non è a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 21 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME