Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12020 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12020 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14474-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, e NOME COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati nello studio del secondo in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall ‘avv.
NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 703/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata in data 28/03/2022
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE. evocava in giudizio NOME di COGNOME RAGIONE_SOCIALE ed il G.E.I.E. NOME COGNOME innanzi il Tribunale di Forlì, chiedendo dichiararsi l’inefficacia, ex art. 2901 c.c., dell’atto del 23.11.2016, a rogito del notar COGNOME, con il quale la NOME di RAGIONE_SOCIALE aveva conferito al G.E.I.E. NOME COGNOME la piena proprietà di un immobile ad uso albergo sito in Cesenatico. La ricorrente deduceva che la NOME di RAGIONE_SOCIALE era sua debitrice della somma di € 81.400 giusta fattura emessa a saldo dei lavori eseguiti in base al contratto di appalto stipulato il 20.1.2014 e che COGNOME NOME, socia accomandataria di NOME RAGIONE_SOCIALE, in collaborazione con la madre COGNOME NOME, aveva prima fondato in Bulgaria una società unipersonale a responsabilità limitata, denominata RAGIONE_SOCIALE, e poi il G.E.I.E. NOME COGNOME, al quale, un mese dopo la sua costituzione, aveva conferito l’unico cespite immobiliare di proprietà della società originaria debitrice, al fine di sottrarlo alla garanzia del credito vantato da RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva il G.E.I.E. NOME COGNOME eccependo l’incompetenza territoriale del Tribunale di Forlì a favore di quello di Ravenna, luogo di residenza del legale rappresentante del G.E.I.E. e sede di NOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Dopo aver rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale il Tribunale, con ordinanza del 7.3.2019, accoglieva la domanda, dichiarando inefficace, nei confronti della società ricorrente, l’atto di conferimento dell’immobile destinato ad albergo nel patrimonio del G.E.I.E. NOME COGNOME
Con la sentenza impugnata, n. 703/2022, la Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame interposto da NOME di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e dal G.E.I.E. NOME COGNOME avverso la pronuncia di prime cure, confermandola.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione NOME di RAGIONE_SOCIALE e G.E.I.E. NOME COGNOME affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe rigettato il motivo di gravame con il quale le odierne ricorrenti avevano denunziato la violazione degli artt. 2901 c.c., 115, 116, 132, 134 c.p.c., del regolamento CEE n. 2137 del 1985 e del successivo D. Lgs. n. 240 del 1991, sulla base di una motivazione meramente apparente. La Corte del gravame, infatti, avrebbe motivato la propria decisione di rigetto rinviando al contenuto dell’ordinanza di prime cure, oggetto di impugnazione, senza dar conto delle ragioni del proprio convincimento e senza considerare le deduzioni della parte appellante, secondo la quale l’atto impugnato non aveva causato alcun pregiudizio alle ragioni di credito di RAGIONE_SOCIALE di NOME
NOME RAGIONE_SOCIALE a fronte delle dimostrate residue disponibilità patrimoniali della società RAGIONE_SOCIALE, originaria debitrice, e della responsabilità patrimoniale del suo socio accomandatario, comunque prevista per legge.
Inoltre, la Corte distrettuale non avrebbe reso alcuna motivazione in relazione alla sussistenza della scientia fraudis , che le parti appellanti, odierne ricorrenti, avevano espressamente contestato.
Ancora, il giudice di appello avrebbe erroneamente ravvisato la natura gratuita dell’atto di conferimento oggetto della domanda ex art. 2901 c.c., senza considerare che la gratuità non è necessariamente provata dall’assenza di corrispettivo, ma dall’esistenza di un intento liberale, che nella specie mancava, poiché l’assenza del corrispettivo era giustificata dal peculiare criterio ripartizione degli utili previsto degli artt. 6 e 21 dell’atto costitutivo del G.E.I.E. NOME COGNOME.
Ed infine, la Corte felsinea avrebbe errato nel configurare la partecipatio fraudis del terzo, beneficiario del negozio revocato, alla luce dei legami di stretta parentela esistenti tra COGNOME NOME, legale rappresentante di NOME di RAGIONE_SOCIALE, la madre COGNOME NOME, legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, e considerato che la società RAGIONE_SOCIALE, cui era stato concesso in locazione l’albergo in Cesenatico era a sua volta amministrata da COGNOME NOME, figlio di COGNOME NOME e fratello di NOME NOME
La censura è infondata, sotto tutti i profili in cui essa si articola.
Dalla narrativa in fatto contenuta nella sentenza impugnata risulta che il credito, portato da fattura del 2014, è anteriore all’atto dispositivo oggetto della domanda ex art. 2901 c.c., avvenuto nel 2016. La Corte di Appello, inoltre, ha ravvisato la mancata contestazione dell’esistenza e dell’ammontare del credito di RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE ed ha ritenuto che il
conferimento del 2016 costituisse atto a titolo gratuito, in assenza di corrispettivo pattuito a fronte dello stesso ed in considerazione del fatto che ‘… nessun rilievo può essere attribuito alla mera aspettativa della società NOME di recuperare da terzi l’ingente credito maturato per i canoni di affitto dell’Hotel, né tanto meno, come già rilevato dal giudice di primo grado, alla finalità per cui l’atto dispositivo era stato compiuto; l’eventus damni sussiste infatti anche in ipotesi di atto dispositivo che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, salva la prova liberatoria da parte del debitore dell’insussistenza di tale rischio in ragione di ampie residualità patrimoniali, che la società NOME non ha in alcun modo fornito, essendo incontestato che l’immobile conferito nel G.E.I.E. NOME COGNOME e da questo soggetto concesso in locazione commerciale alla società RAGIONE_SOCIALE costituiva l’unico cespite di proprietà della società debitrice’ (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata).
La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui la natura gratuita dell’atto va ravvisata ogni qualvolta esso non preveda alcun corrispettivo ed il debitore originario, che lo ha posto in essere, non riesca a dimostrare l’esistenza di un rapporto causale di carattere oneroso. Il principio è stato affermato da questa Corte per l’ipotesi di rilascio di cambiali ipotecarie in favore di un terzo, che ‘… non esime il debitore dall’onere di provare che il rapporto causale ha natura onerosa e che è stato stipulato, contestualmente al rilascio dei titoli, un contratto di mutuo con il prenditore. In difetto di tale prova, trova applicazione il regime giuridico degli atti a titolo gratuito, per cui ai fini del consilium fraudis non è necessaria la dimostrazione dell’intenzione di nuocere al creditore, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore e non anche del terzo beneficiario, del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, sia in
concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 29869 del 19/12/2008, Rv. 606243). Non sono dunque sufficienti, come correttamente ha ritenuto la Corte felsinea, le aspettative di ritorno economico indirettamente collegate all’atto di conferimento, poiché esse non derivano dal negozio oggetto della domanda ex art. 2901 c.c., bensì da accadimenti ulteriori, e segnatamente (nella prospettazione della parte ricorrente) dai ritorni economici che potrebbero derivare al patrimonio della società originaria debitrice dalla partecipazione al G.E.I.E. e dal regime di ripartizione degli utili previsto dall’atto costitutivo di quest’ultimo. Seguendo il ragionamento proposto dalle odierne ricorrenti, dovrebbe essere riconosciuto carattere oneroso a qualsiasi conferimento di un bene nel patrimonio di un soggetto giuridico diverso, al patrimonio del quale il conferente detenga una partecipazione, poiché la disposizione sarebbe finalizzata al conseguimento di maggiori utili derivanti, appunto, dalla partecipazione al soggetto che la riceve. In tal modo, tuttavia, si snaturerebbe totalmente la ratio della disposizione di cui all’art. 2901 c.c., che è quella di attribuire al creditore il diritto di invocare l’inefficacia, nei suoi confronti, degli atti dispositivi a contenuto, direttamente o indirettamente, pregiudizievole per i suoi interessi. Sotto questo profilo, è indubbio che il conferimento di un cespite immobiliare in un G.E.I.E., in assenza di corrispettivo diretto e in funzione di mere aspettative di rientro economico future, costituisca un oggettivo impoverimento del patrimonio della società originaria debitrice, poiché alla deminutio derivante dalla dismissione immobiliare non corrisponde alcun beneficio diretto economicamente apprezzabile.
Sul punto, va inoltre considerato che ‘In tema di azione revocatoria ordinaria, non è richiesta, la totale compromissione della consistenza
patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore (es., a seguito della dismissione di beni) , ma anche in una modificazione qualitativa di esso (es., in caso di conversione del patrimonio in beni facilmente occultabili o in una prestazione di facere infungibile)’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3470 del 15/02/2007, Rv. 598224). E’ dunque sufficiente ad integrare gli estremi dell’atto pregiudizievole, ai fini previsti dalla norma in esame, anche il negozio con il quale sia reso più difficile, o incerto, il rientro del credito; il che è proprio quanto si è verificato nel caso di specie, posto che l’originaria società debitrice si è spogliata di un bene immobile in vista di una prospettiva di ricavo economico futura ed incerta.
Corretto, dunque, è l’inquadramento della fattispecie negoziale in esame nell’ambito degli atti a titolo gratuito, in relazione ai quali ‘… il requisito della scientia damni richiesto dall’art. 2901, comma 1, n. 1), c.c. si risolve, non già nella consapevolezza dell’insolvenza del debitore, ma nella semplice conoscenza del danno che ragionevolmente può derivare alle ragioni creditorie dal compimento dell’atto’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9192 del 02/04/2021, Rv. 661147). Infatti ‘L’azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, trattandosi di requisito richiesto solo per la diversa ipotesi di revocatoria degli atti a titolo oneroso’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5072 del 03/03/2009, Rv. 606958; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12045 del 17/05/2010, Rv. 613108).
Da quanto precede deriva l’infondatezza della censura in esame, sotto tutti i profili prospettati dalla parte ricorrente, avendo la Corte di
merito correttamente ravvisato la natura gratuita dell’atto oggetto della domanda ex art. 2901 c.c., l’effetto pregiudizievole che esso ha causato alle ragioni del creditore, e ritenuto non necessaria la consapevolezza del terzo beneficiario circa l’insolvenza del debitore originario, essendo sufficiente la conoscenza, o conoscibilità, degli effetti pregiudizievoli che la disposizione patrimoniale comporta per le ragioni e le aspettative del creditore.
Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, va rilevato che la Corte di Appello ha richiamato l’insegnamento di questa Corte, secondo cui quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, come nel caso specifico, ‘… unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27546 del 30/12/2014, Rv. 633992; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17327 del 17/08/2011, Rv. 619033, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5618 del 22/03/2016, Rv. 639362; Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019, Rv. 654318). Pur se, in concreto, in presenza di un atto a titolo gratuito, non occorreva dimostrare la sussistenza della conoscibilità dell’effetto pregiudizievole in capo al terzo, la Corte felsinea si è spinta sino ad evidenziare i diversi elementi idonei a fondare la presunzione di detta consapevolezza, sottolineando ‘… lo stretto vincolo di parentela tra la legale rappresenta della società conferente NOME COGNOMECOGNOME Elisa) e la legale rappresentante del soggetto conferitario NOME COGNOME Luisa), nonché la
circostanza che la società a cui è stato concesso in locazione l’immobile ad uso commerciale vede come amministratore unico il sig. COGNOME NOME, figlio della COGNOME NOME, fratello di COGNOME NOME e socio accomandante di NOME COGNOME (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
La motivazione della decisione impugnata, dunque, non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 702 ter, 345, 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato l’istanza di mutamento del rito, da sommario in ordinario, né si sarebbe pronunciata sulla richiesta di remissione in istruttoria formulata dalle odierne ricorrenti in seconde cure.
La censura è inammissibile.
La Corte territoriale ha espressamente esaminato la censura con la quale le odierne ricorrenti avevano censurato il rigetto, da parte del Tribunale, della loro richiesta di mutare il rito, da sommario ad ordinario, e di rimettere la causa in istruttoria, per procedere all’interrogatorio formale del legale rappresentante della società creditrice e per il deposito di documentazione, osservando, correttamente, che la facoltà di disporre il mutamento del rito è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, che può disporla quando ravvisa la necessità di una istruttoria non sommaria, cosa che,
nel caso di specie, secondo la valutazione del giudice di secondo grado era da escludere (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘In tema di procedimento sommario di cognizione, la scelta di mutare il rito rientra nella discrezionalità del giudice, il quale è tenuto a verificare, in relazione all’intero complesso delle difese svolte, se la controversia sia compatibile con un’istruttoria semplificata, la quale non impone di decidere in base alle sole prove documentali, potendo essere articolate anche prove costituende, da assumersi con modalità deformalizzate, che, se non ammesse ingiustificatamente in primo grado, devono essere disposte nel processo d’appello, al fine di evitare che il rito prescelto pregiudichi le ragioni sostanziali del ricorrente’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14734 del 10/05/2022, Rv. 664793).
Peraltro, va anche ribadito che ‘In tema di procedimento sommario di cognizione, poiché non è contemplata alcuna sanzione processuale in relazione al mancato rispetto del requisito di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente ed il resistente intendano, rispettivamente, avvalersi, né in relazione alla mancata allegazione di detti documenti, al ricorso o alla comparsa di risposta, risulta ammissibile la produzione documentale successiva al deposito del primo atto difensivo e fino alla pronuncia dell’ordinanza di cui all’art. 702-ter c.p.c.’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19226 del 12/07/2024, Rv. 671971). Da ciò deriva che, in ogni caso, la trasformazione del rito non era in alcun modo necessaria ai fini dell’espletamento delle prove richieste da parte delle odierne ricorrenti, le quali ben avrebbero potuto, già in sede sommaria, svolgere pienamente le loro istanze istruttorie, in assenza di preclusioni imposte dal rito a carattere sommario.
Infine, va ravvisata la natura meramente ordinatoria del provvedimento con il quale il giudice di merito decida di disporre, o negare, l’invocata trasformazione del rito, con conseguente non impugnabilità dello stesso per assenza di contenuto decisorio.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, gravante sulla parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda