Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17513 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17513 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5049/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3942/2022 depositata il 14/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
NOME conveniva in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere la dichiarazione di revoca dell’atto di compravendita con cui il secondo aveva trasferito al primo un appartamento in Milano;
secondo quanto desumibile dalla sentenza di appello depositata, l’istante allegava:
-di essere titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE e di aver svolto prestazioni edili in favore di società amministrate da RAGIONE_SOCIALE, che aveva assunto al riguardo la qualità di debitore garante per una ingente somma in linea capitale;
-che il prezzo di vendita dichiarato era marcatamente inferiore a quello di mercato, e corrisposto solo in minima parte con assegni circolari, risultando per il resto saldato con assegno bancario emesso in tempi precedenti l’atto traslativo in favore di NOME COGNOME soggetto senza alcun diritto sull’immobile;
il Tribunale accoglieva la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare:
-l’attore era attivamente legittimato essendo titolare di un’impresa individuale;
-la prodotta dichiarazione con cui COGNOME riconosceva i propri debiti nei confronti dell’istante NOME, era successiva all’atto revocando ma esplicitamente ricognitiva di un impegno assunto precedentemente, con conseguente sufficienza della mera consapevolezza del pregiudizio
arrecato ai debitori a mezzo della vendita, senza necessità di una dolosa preordinazione;
-l’atto dispositivo aveva reso quanto meno più difficile il recupero del credito, non essendo stata offerta prova di una residua capienza utile, ed essendo invece risultate in specie iscrizioni pregiudizievoli a carico del patrimonio dell’obbligato;
-la dimostrazione dell’elemento soggettivo richiesto era desumibile dalle modalità anomale di pagamento per la maggior quota di prezzo, e dalla circostanza che il disponente era stato lasciato per lungo tempo nella detenzione dell’immobile nel quadro di una frequentazione pregressa, senza che potesse incidere in senso contrario il contenzioso insorto tra i due successivamente all’atto dispositivo;
avverso questa decisione ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, corredati da memoria, NOME COGNOME;
resiste con controricorso NOMECOGNOME è rimasto intimato NOME COGNOME
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 1988, 2720, 2704, 2697, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che:
i cediti erano sorti da rapporti intercorsi tra l’attore e le società gestite dal convenuto, di cui lo stesso aveva partecipazioni, laddove la dichiarazione ricognitiva del debito era stata personalmente fatta da COGNOME;
nell’atto ricognitivo s’indicava saldata l’esposizione a mezzo assegno rimasto poi insoluto, sicché solo nel momento della dichiarazione era insorto nuovo impegno debitorio condizionato al saldo, dunque successivamente
all’atto dispositivo, con conseguente necessità di dimostrare la dolosa preordinazione della quale si era invece esclusa la necessità;
sia la data opponibile della dichiarazione sia quella dell’assegno quale posto all’incasso erano successive all’atto dispositivo;
gli atti pregiudizievoli riferiti alle iscrizioni ipotecarie e trascrizioni di pignoramenti, erano successivi all’atto dispositivo e dunque non rilevanti al fine di accertare il pregiudizio arrecato da quest’ultimo, confermando, al contrario, che nel momento dell’atto di cui si chiedeva la revoca vi era disponibilità di ulteriori beni utilmente aggredibili;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato, di conseguenza, omettendo l’accertamento della dolosa preordinazione, fermo restando che era stato parimenti erroneamente obliterato che, in altro giudizio, era stato accertato il compiuto pagamento dell’immobile oggetto del trasferimento revocando, con dazione e anche incasso degli assegni in uno a quietanza liberatoria, mentre era stato dimostrato che, per ottenere la disponibilità del cespite, era stato necessario un lungo contenzioso con ulteriori azioni esecutive;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli art. 2727, 2729, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato omettendo una complessiva valutazione degli elementi indiziari, trascurando che solo nel 2017 COGNOME aveva rilasciato la dichiarazione ricognitiva, e invece attribuendo valore probatorio a dichiarazioni del difensore di NOME.
Considerato che
preliminarmente deve rilevarsi che violazione dell’art. 366, n. 3, cod. proc. civ.;
i fatti processuali non sono compiutamente evincibili dal gravame atteso che: la prima parte del ricorso (pagg. 2-8) riporta solo le conclusioni assunte nei due gradi di merito, mentre dai successivi motivi gli stessi fatti sono solo parzialmente desumibili in via indiretta, essendo invece complessivamente dati per conosciuti, ad esempio non essendo possibile comprendere le ragioni decisorie del giudice di prime cure e, come si sta per constatare, neppure tutte quelle espresse dalla Corte di seconde cure;
per la necessaria ricostruzione della vicenda, sostanziale e processuale, diviene necessario attingere, come anticipato, alla sentenza resa in sede di appello, sicché, sotto tale profilo, l’impugnazione è inammissibilmente aspecifica;
il disposto dell’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – non risponde, infatti, a un’esigenza di mero formalismo, bensì a quella di consentire alla Suprema Corte di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde , gli elementi indispensabili per un’idonea cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata (Cass., 12/01/2024, n. 1352);
in ogni caso, i tre motivi articolati risultano tutti inammissibili;
quanto al primo motivo si osserva quanto segue;
la Corte territoriale ha innanzi tutto accertato, evincendo la conclusione dalla prodotta e discussa dichiarazione unilaterale recettizia ricognitiva, che si trattava di debiti pregressi assunti a personalmente da Paolicchi, a supporto, dunque, dell’allegazione di un impegno a titolo di garanzia;
la ricostruzione volta per un verso a sostenere che si trattasse di debiti sociali, e per altro verso a leggere nella dichiarazione del 2017 un impegno nuovo insorto in relazione all’esito insoluto dell’assegno bancario consegnato a saldo dei debiti riconosciuti, si risolve all’evidenza nella sollecitazione a un diverso apprezzamento della risultanza istruttoria, estraneo alla presente sede di sola legittimità;
nel quadro fattuale in parola è poi irrilevante la data della ricognizione stessa, salva contraria ma omessa prova dell’inesistenza, se non invalidità, del rapporto quale anche temporalmente riconosciuto: la data opponibile dell’atto ricognitivo costituisce, cioè, profilo differente dall’apprezzamento ricostruttivo del tempo del rapporto negoziale oggetto della ricognizione medesima;
riguardo alla cronologia solo successiva di alcune ed enumerate iscrizioni e trascrizioni, il profilo dedotto non supera la concorrente ragione decisoria per cui era mancata la prova contraria inerente alla idoneità satisfattiva dei cespiti aggredibili al momento dell’atto traslativo, di cui doveva dichiararsi la revoca anche solo per aver reso più difficile il recupero del credito;
quanto al secondo e terzo motivo valgono le seguenti considerazioni;
la Corte di appello, avendo accertato l’anteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo, non doveva vagliare alcuna dolosa preordinazione quale quella invocata: la critica, quindi, finisce col
mancare di misurarsi con una ragione decisoria rivelatasi idoneamente fatta propria;
parimenti, la deduzione secondo cui in altro giudizio, in doppio grado, vi sarebbe stato riconoscimento dell’intervenuto pagamento del cespite, non si misura con la ragione decisoria secondo cui al terzo, nella odierna controversia originariamente attore, non era opponibile in termini vincolanti tale risultanza;
ancora, l’allegazione relativa al lungo contenzioso per riottenere la disponibilità dell’immobile in questione, non si misura con il rilievo del Collegio di merito secondo cui si trattava di controversia insorta successivamente e come tale non decisiva nell’apprezzamento conclusivo;
anche con riguardo alla complessiva valutazione di tutti elementi indiziari, va infine ribadito il principio per cui sono riservate al giudice del suddetto merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, sicché risulta insindacabile in sede di legittimità il “peso probatorio” di alcune prove rispetto ad altre, in base al quale il giudice suddetto sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (v. tra le molte, da Cass., 08/08/2019, n. 21187 a Cass., 23/04/2024, n. 10956);
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza;
il ricorrente va altresì condannato al pagamento di somma ex art. 96, 3° co., c.p.c. ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00,
di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 6.000,00 ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17/4/2025