Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5217 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5217 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22523/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE d’Appello di BOLOGNA n. 1342/2021, depositata il 28/05/2021 e notificata in data 28/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1100/2017, il Tribunale di Rimini dichiarava inefficace, ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., nei confronti di NOME COGNOME l’atto con il quale la RAGIONE_SOCIALE aveva trasferito a NOME COGNOME la piena proprietà di alcune porzioni di un fabbricato urbano sito nel Comune di Santarcangelo di Romagna.
La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 1342/2021, depositata il 28/05/2021 e notificata i n data 28/05/2021, all’esito del giudizio di appello promosso da NOME COGNOME ha confermato la pronuncia impugnata.
Segnatamente, ha ritenuto che:
il credito tutelato con l’azione revocatoria era sorto anteriormente rispetto all’atto dispositivo oggetto di causa, stipulato in data 15/11/2010, benché fosse sub iudice , in quanto la notificazione dell’atto di citazione proposta da NOME COGNOME contro la RAGIONE_SOCIALE per ottenere la condanna di quest’ultima al pagamento del doppio della caparra era del 9/10/2009;
ii) il credito era stato accertato, poi, con la sentenza n. 82/2012, con la quale la RAGIONE_SOCIALE era stata condannata al pagamento, in favore di NOME COGNOME della somma di euro 100.000,00, oltre agli interessi e alle spese legali, quale doppio della caparra versata in esecuzione del preliminare del 16.3.2009, in conseguenza dell’accertamento dell’illegittimo recesso da parte della promittente venditrice;
iii) essendo successivo alla nascita del credito e compiuto in pregiudizio delle ragioni del creditore, l’atto dispositivo della COGNOME
RAGIONE_SOCIALE era soggetto all’azione di cui all’art. 2901, n. 2, cod.civ. in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni’), ovvero della conoscibilità di tale pregiudizio (Cass. n. 9349/2002), senza la necessità di una specifica intenzione di nuocere alle ragioni creditorie; iv) la scientia damni è dimostrabile anche tramite presunzioni e sulla base di valutazioni prognostiche;
v) la partecipatio fraudis del terzo, quando oggetto dell’azione di cui all’art. 2901 cod.civ. siano atti dispositivi a titolo oneroso compiuti successivamente al sorgere del credito, va intesa come mera <>;
vi) ai fini della generica conoscenza del terzo acquirente avevano assunto rilievo nella specie le seguenti circostanze: a) la evidenza della situazione debitoria al momento della conclusione della compravendita, riscontrabile attraverso una semplice verifica degli ultimi bilanci, consultabili presso i pubblici registri; b) l’ipoteca volontaria di euro 3.800.000 per mutuo fondiario e l’ipoteca legale iscritta il 19.4.2010 a favore di Equitalia (tutti indicati nell’atto di compravendita del 15.11.2010);
vii) la congruità del prezzo di vendita -euro 304.720,00 rispetto alla valutazione del C.T.U. di euro 300.000,00 – non può essere ritenuta sufficiente -in presenza di altri indizi -ad escludere la sussistenza della scientia damni in capo al debitore ed al terzo, perché se la vendita di un immobile effettuata per un equo corrispettivo in denaro non depaupera il patrimonio del debitore, tuttavia, un cespite immobiliare offre al creditore garanzie di stabilità ben maggiori di una somma di denaro che risulta più facilmente occultabile, rendendo meno agevole l’aggredibilità del patrimonio debitorio;
viii) l’esistenza e la consapevolezza della scientia damni emergevano anche dalla vendita in un arco di tempo ristretto (circa un mese) di quasi tutto il patrimonio immobiliare della RAGIONE_SOCIALE
iv) spettava al debitore dimostrare che il patrimonio residuo era sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di detta sentenza, basato su motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione sono rimasti intimati.
Il Consigliere delegato ha formulato una proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., con cui ha prospettato l’inammissibilità del ricorso.
Avendo NOME COGNOME chiesto ritualmente e tempestivamente la decisione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis , 2° comma, cod.proc.civ., la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Il controricorrente ha depositato atto denominato memoria che non può considerarsi tale in difetto dei requisiti di legge.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente prospetta la <>.
La tesi del ricorrente è che manchi la prova della sussistenza tutti i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti dall’art. 2901 cod.civ.
A tal fine sostiene che:
l’atto dispositivo riguardava la vendita dell’ultima villetta nel patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, ma ciò non aveva rilievo perché la RAGIONE_SOCIALE si occupava di commercializzazione di immobili;
la vendita veniva partecipata dalla banca, la quale, provvedendo a cancellare parzialmente l’ipoteca sull’immobile che ne costituiva oggetto, aveva rappresentato de facto che l’atto era
volto a estinguere un debito scaduto (il mutuo ipotecario acceso con la banca stessa);
la lettura delle risultanze di bilancio non può mai essere considerato un criterio di presunzione di insolvenza tale da giustificare una domanda revocatoria; la pubblicazione di un bilancio non rappresenta affatto lo stato della società al momento della stipula ma ne raffigura lo stato patrimoniale in riferimento almeno a due esercizi precedenti e non esclude che nel frattempo la società abbia eseguito operazioni ed attività che ne abbiano eliso o ridotto la passività;
l’art. 67 della legge fall. esclude che possano essere colpiti dall’azione revocatoria le vendite ed i preliminari di vendita a giusto prezzo aventi ad oggetto beni immobili ad uso abitativo che l’acquirente utilizzerà come prima abitazione (sua oppure dei suoi parenti e affini entro il terzo grado);
i due beni oggetto dell’azione revocatoria risultavano colpiti da tre ipoteche, perciò l’ eventus damni avrebbe richiesto la prova da parte del creditore chirografario di <>, emergente, ad esempio, dalla prova che il valore del bene fosse superiore all’importo del credito ipotecato o che il debitore in assenza della vendita sarebbe stato capace di estinguere da sé i crediti assistiti da ipoteche; contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale e da una parte della giurisprudenza di legittimità, la verifica della ricorrenza dell’ eventus damni , quando la vendita concerna un bene ipotecato in favore di altri creditori, estranei alla causa ex art. 2901 cod.civ., non va fatta in astratto, occorrendo l’accertamento della ricorrenza di un pregiudizio concreto per il creditore chirografario.
Anche senza considerare che per una svista il ricorrente a p. 2 indica come oggetto del ricorso una sentenza diversa da quella
impugnata (la sentenza n. 239/2020, di data 22/04/2020, pubblicata il 04/06/2020, resa dalla Corte d’Appello di Trieste): sentenza -quella della Corte d’Appello di Bologna – che invece viene correttamente indicata alle pp. 29, 30 e 42, il ricorso è inammissibile per le seguenti concorrenti ragioni:
la tecnica redazionale integra gli estremi della violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.; deve essere ribadito che l’eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo) rende difficoltoso se non impossibile cogliere le problematiche della vicenda, mascherando i dati effettivamente rilevanti per cogliere le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso (cfr. Cass. 25/11/2020, n.26837);
l’unico motivo di ricorso con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ., per quanto diffusamente illustrato, non si sostanzia nella deduzione del denunciato error in iudicando , non essendosi il ricorrente fatto carico dell’onere di illustrare, giusta il disposto di cui all’art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., la violazione di legge attribuita al giudice a quo mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente ha ritenuto in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non permettendo a questa Corte di adempiere al compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 1°/12/2014, n. 25419; Cass. 12/01/2016, n. 287; Cass. 26/07/2024, n. 20870). Deve, infatti, ribadirsi che «non è il
punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle» (v., da ultimo, in tal senso Cass. 26/07/2024, n. 208709). La censura mossa alla sentenza qui impugnata si sostanzia invece in una richiesta di rivalutazione dei fatti di causa quanto ai presupposti oggettivi e soggettivi che devono sussistere per accogliere l’ actio pauliana ; il che è in contrasto con i caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità che non può essere trasformato in un terzo grado di merito nel quale sottoporre a questa Corte questioni di fatto già valutate dalla corte territoriale e/o che avrebbero dovuto essere sottoposte all’attenzione dei giudici di merito;
c) il motivo, nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., non supera la preclusione processuale di cui all’art. 348 ter cod.proc.civ., per superare la quale il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che la base fattuale di riferimento della sentenza di prima cure non era la stessa posta a fondamento della decisione gravata, né in verità è illustrato, deducendo l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° comma, n. 6, e 369, 2° comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente avrebbe dovuto indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); va evidenziato, altresì, che costituisce un “fatto”, agli effetti
dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133); non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415); sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a questi ultimi profili, come nel caso all’esame.
All’inammissibilità dell’unico motivo consegue la inammissibilità del ricorso.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380bis , 2° comma, cod.proc.civ. a seguito di proposta di inammissibilità del Consigliere delegato, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, applica l’art. 96, 3° e 4° comma, cod.proc.civ. come previsto dall’art. 380 bis, ult. comma, cod.proc.civ.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
Il ricorrente va altresì condannato al pagamento di somme, liquidate come in dispositivo, ex art. 96, 3° e 4° co., c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente: delle spese del giudizio
di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge; della somma di euro 6.000,00 ai sensi dell’art. 96, 3° comma, cod.proc.civ. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’ art. 96, 4° comma, cod.proc.civ.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 10 gennaio 2025 dalla