Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3205 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3205  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2370/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente  domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
avverso  la sentenza  della CORTE  D’APPELLO di  MILANO  n. 4900/2018 depositata il 15/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in data 10.7.2015 con la quale, in accoglimento della domanda formulata dalla RAGIONE_SOCIALE, è stata disposta la revoca, in base a quanto previsto dall’art. 2901 c.c., del contratto di compravendita tra essa NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE concluso relativamente al bene immobile di tale società costituito da un appartamento con annessi locali cantina nell’edificio al INDIRIZZO di INDIRIZZO in RAGIONE_SOCIALE.
Secondo il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE sussistevano tutti gli elementi idonei a configurare l’esistenza in capo ad essa di diritti di credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, così come la consapevolezza anche  della  signora  NOME  COGNOME  circa  il  pregiudizio arrecato alla RAGIONE_SOCIALE dal contratto con il quale il suddetto bene immobile della RAGIONE_SOCIALE era stato alienato alla signora NOME COGNOME.
 Nel  giudizio  di  appello  si  costituiva  la  RAGIONE_SOCIALE contestando la fondatezza dei motivi dalla signora NOME COGNOME addotti a sostegno del gravame.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE restava intimata.
 Per  quel  che  ancora  rileva,  la  Corte  d’Appello  dopo  aver rigettato l’eccezione di nullità della citazione per genericità, accoglieva l’appello sotto il profilo della manc anza di prova della
consapevolezza in capo all’acquirente NOME COGNOME della situazione debitoria della parte venditrice RAGIONE_SOCIALE.
Il contratto di compravendita, ribadiva la Corte d’Appello, concluso in data 30.4.2014 nella forma dell’atto pubblico, aveva ad oggetto l’alienazione da parte del la RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME dell’immobile costituito da un appartamento al primo piano con annessi locali cantina nell’edificio al INDIRIZZO di INDIRIZZO per il prezzo di € 130.000,00 . Il pagamento era previsto per una parte pari ad € 51.350,76 mediante denaro e per l’altra parte pari ad € 78.649,24 mediante l’accollo della obbligazione – garantita da una ipoteca sul bene immobile concernente il pagamento di una somma di tale entità assunta in precedenza dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di un’azienda di credito con un contratto di mutuo.
Secondo la Corte d’Appello sicuramente esisteva il presupposto del c.d. eventus damni ovvero l’esistenza di diritti di credito della RAGIONE_SOCIALE verso la RAGIONE_SOCIALE e che la avvenuta alienazione del bene immobile della RAGIONE_SOCIALE ne rendeva più difficoltoso il soddisfacimento mancando la prova dell’esistenza di altri beni della RAGIONE_SOCIALE con il cui ricavato potessero essere tempestivamente soddisfatti quei diritti di credito e tanto meno risultava essere stata anche solo affermata la disponibilità per la RAGIONE_SOCIALE di liquidità monetaria a quel fine sufficiente.
La Corte d’Appello riteneva non  dirimente  il fatto  che , contestualmente alla  conclusione  del  contratto  di  compravendita tra  la  RAGIONE_SOCIALE  e  la  signora  NOME, quest’ultima, a garanzia dell’adempimento della obbligazione da lei
assunta verso la RAGIONE_SOCIALE relativamente al pagamento di una parte del prezzo al creditore ipotecario di tale società, risultava avere a sua volta concesso una ipoteca sul bene immobile da lei così acquistato a favore della RAGIONE_SOCIALE: in quanto comunque la posizione dell’attrice rimaneva pretermessa.
Secondo la Corte territoriale, invece, conformemente a quanto eccepito  dalla  COGNOME  con  l’appello  proposto,  non  poteva  dirsi raggiunta la prova della sua conoscenza circa tale pregiudizio.
Nessuno specifico elemento di prova era stato addotto dalla RAGIONE_SOCIALE e nessuna specifica argomentazione risultava svolta  nella  sentenza  del  Tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE  che  aveva  accolto  la domanda della RAGIONE_SOCIALE.
Infatti, mentre sussisteva certamente la conoscenza della persona fisica che aveva agito in rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE circa il pregiudizio per le ragioni di credito della RAGIONE_SOCIALE configuratosi in seguito alla conclusione del contratto di compravendita avendo conoscenza delle richieste di pagamento dalla RAGIONE_SOCIALE rivolte alla RAGIONE_SOCIALE e della carenza di risorse della stessa RAGIONE_SOCIALE per farvi fronte almeno in tempi brevi, al contrario da nessun elemento poteva con sicurezza desumersi la consapevolezza della NOME COGNOME circa quelle ragioni di credito e circa l’esistenza di una situazione della RAGIONE_SOCIALE tale da rendere più difficile il soddisfacimento dei diritti di credito nei confronti di essa vantati in conseguenza della conclusione del contratto di compravendita.
Non  era  sufficiente  a  confermare  la  consapevolezza  della COGNOME l’essere lei consorte di un socio della RAGIONE_SOCIALE indotto in precedenza a recedere – secondo quanto affermato dalla stessa
RAGIONE_SOCIALE – da tale società, non potendosi ritenere che il solo rapporto coniugale comportasse la conoscenza di uno dei coniugi circa le vicende della società di cui l’altro era socio. Peraltro, il marito della COGNOME era uscito dalla RAGIONE_SOCIALE e sulla base di regole di comune esperienza, essendo stato indotto a recedere, non era in condizione di avere conoscenza della situazione della RAGIONE_SOCIALE in quanto dovevano escludersi rapporti anche solo informali tra le persone investite del potere di amministrazione della società e chi dalla società appunto era receduto “a causa dei debiti contratti con la società”.
Peraltro, anche il bilancio della RAGIONE_SOCIALE al 31 dicembre 2012 prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE, non risultava evidenziare la “situazione economica disastrosa della società RAGIONE_SOCIALE” affermata dalla RAGIONE_SOCIALE, evidenziando tale bilancio perdite verificatesi negli esercizi precedenti assorbite per intero dalle riserve ed evidenziando per l’esercizio conclusosi al 31 dicembre 2012 un utile pur modesto del quale era stata dagli amministratori proposta l’imputazione alla riserva legale.
A causa del mancato  raggiungimento  della prova della consapevolezza  della  signora  NOME  COGNOME  circa  il pregiudizio arrecato dal contratto di compravendita con lei concluso dalla RAGIONE_SOCIALE alle ragioni di credito verso quest’ultima della RAGIONE_SOCIALE, la  domanda di revoca di tale contratto dalla RAGIONE_SOCIALE  proposta  doveva  essere  respinta  con  la conseguente  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE  con  la quale era stata invece accolta.
6. La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
Ric. 2019 n. 2370 sez. S2 – ud. 18/01/2024
7. NOME COGNOME ha resistito con controricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 cc
Secondo la ricorrente doveva riconoscersi la scientia damni in capo  al  terzo  NOME  COGNOME  perché  i  fatti  narrati  e supportati  da  ampia  documentazione  prodotta  (doc.28-26  domo graniti  e  doc.6  COGNOME)  fornivano  presunzioni  gravi,  precisi  e concordanti atte a far ritenere con certezza che la COGNOME fosse a conoscenza di arrecare un pregiudizio ai creditori di NOME COGNOME.
La COGNOME, infatti, sarebbe stata a conoscenza della situazione di  crisi  della  società  debitrice,  in  quanto  coniuge  convivente  del COGNOME NOME, socio della RAGIONE_SOCIALE
Ella conosceva le condotte realizzate dal marito nei confronti della  società  di  cui  era  stato  consigliere,  azioni  che  nel  2012 avevano portato la COGNOME e il COGNOME a cedere la propria casa (sita in RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO) gratuitamente alla RAGIONE_SOCIALE quale rimborso del dissesto economico provocato.
La COGNOME due anni dopo nel 2014, contattata dalla RAGIONE_SOCIALE ha ricomprato la sua ex casa, pagand o € 50.000,00 circa in contanti e accollandosi il mutuo (quindi, acquistando un bene immobiliare, alcuna surroga o chiusura ed apertura di nuovo mutuo in capo alla COGNOME è stata fatta, tanto che la COGNOME, a garanzia del pagamento del mutuo, rimasto in capo alla RAGIONE_SOCIALE, ha rilasciato in favore della stessa ipoteca volontaria sul bene medesimo), aiutando così la RAGIONE_SOCIALE a liberarsi di un immobile scomodo avendo numerosi debitori alle porte.
Ric. 2019 n. 2370 sez. S2 – ud. 18/01/2024
La vendita è stata effettuata in data successiva (aprile 2014) al  sorgere  del  credito  (primi  mesi  del  2013  come  da  fatture prodotte), sicché era sufficiente fornire solo una prova generica, ammissibile ed idonea anche se fondata su presunzioni. Tale prova sarebbe stata fornita dalla RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE ha dato prova, fatto incontestato da parte avversa, che il marito della COGNOME, NOME COGNOME, era socio della RAGIONE_SOCIALE fino al dicembre 2012. Tramite il deposito del doc.28, effettuato con memoria n.2 ex art.183 sesto comma cpc in primo grado, la RAGIONE_SOCIALE aveva provato che il COGNOME, Consigliere della soc. RAGIONE_SOCIALE, aveva posto in essere operazioni ingannevoli e che per questo aveva dovuto rassegnare le dimissioni e cedere, senza contropartita, nel 2012 l’ immobile di sua proprietà poi oggetto della revocatoria.
La Corte d’Appello avrebbe comunque dovuto vagliare l’idoneità delle prove  considerandole globalmente  (Cass.  nn. 26022/11, 16831/03, 15399/02 e 6850/82).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art.2901 c. c.
La censura ha ad oggetto l ‘erronea applicazione di una regola di esperienza da parte della Corte di Appello secondo cui il socio receduto non è più in grado di conoscere le vicende della società
La Corte di Appello avrebbe dovuto valutare nel complesso gli elementi  e  i  documenti  precisi,  concordanti  e  logici  forniti  dalla RAGIONE_SOCIALE  e  non  affidarsi a  ciò  che  ‘suole  comunemente accadere’ .  Secondo la Corte rientrerebbe nella normalità  il fatto che un socio, costretto a dimettersi dalla propria società per il buco economico creato in azienda, fatto certo e incontestato da parte
avversa,  sia  poi  solitamente  chiamato  a  ricomprare  il  proprio appartamento per creare liquidità alla società che ha tradito.
Il Collegio ha ritenuto erroneamente che la COGNOME, convivente del l’ex socio  COGNOME,  non  sapesse che  detta società si trovava in piena crisi economica, anche per colpa del proprio marito.
La Corte di Appello avrebbe completamente travisato l’importanza del fatto che la COGNOME fosse moglie e convivente del socio COGNOME, costretto a dimettersi nel dicembre 2012 a causa delle sue azioni
Il Collegio ha  preso  visione solo del bilancio societario argomentando (pag.9 sentenza) che dal bilancio non emergesse una situazione patrimoniale disastrosa della società RAGIONE_SOCIALE.
Tale affermazione sarebbe completamente errata e frutto di un percorso illogico, incompleto e viziato non avendo tenuto conto della nota integrativa, ampiamente richiamata dalla NOME COGNOME, stilata e firmata dalla RAGIONE_SOCIALE ove si legge: (pag.16 nota integrativa ) ”…il valore dei fabbricati ha subito un incremento complessivo di €176.903 dovuto per € 158.000 all’acquisizione a titolo compensativo del credito vantato nei confronti dell’ex consigliere COGNOME, di un appartamento nel comune di L odi …
2.1 I primi due motivi di ricorso che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente sono infondati.
Deve premettersi che in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte: In tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto  di  disposizione  sia  successivo  al  sorgere  del  credito,  unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo
oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il  cui  apprezzamento  è  devoluto  al  giudice  di  merito  ed  è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato ( ex plurimis Sez.  6 – 3,  Ordinanza  n.  16221  del  18/06/2019,  Rv. 654318 – 02).
Nella specie è incontestato che il credito sia sorto anteriormente  all’atto  di  compravendita  oggetto  della  domanda revocatoria ma  la  Corte  d’Appello  ha  ritenuto  insufficienti  gli elementi acquisiti per  affermare la conoscenza della COGNOME della situazione debitoria della RAGIONE_SOCIALE.
Dunque,  ciò  che  rileva  nel  ricorso  in  esame  è  il  limite  al sindacato della Corte rispetto al ragionamento presuntivo che ha portato la Corte ad escludere la consapevolezza in capo al terzo acquirente (la COGNOME), del pregiudizio” alle ragioni creditorie.
Tale consapevolezza non deve essere “effettiva” ma può anche essere potenziale, ma in tal caso occorre dimostrare un comportamento colpevole, rappresentato dalla reale possibilità di conoscenza della situazione fraudolenta desumibile da circostanze oggettive secondo il criterio dell’«id quod plerumque accidit» (in motivazione Sez. 3, Sentenza n. 12120 del 22/06/2020).
Ciò premesso, rileva il Collegio che le censure proposte con i due  motivi, pur se  formalmente  formulate  in  relazione alla violazione dell’art.2901 c.c. , in realtà sono sostanzialmente dirette alla confutazione del ragionamento presuntivo mediante il quale la Corte d’Appello ha escluso che risultasse accertato in base ai fatti e  alle  prove  dedotte  che  potesse  desumersi  il  fatto  ignoto  della
consapevolezza in capo alla COGNOME della situazione debitoria della RAGIONE_SOCIALE dai fatti noti che la ricorrente riporta, in particolare con riferimento alla condotta che aveva portato negli anni precedenti all’estromissione del marito della COGNOME dalla medesima RAGIONE_SOCIALE, parte venditrice.
In altri termini, anche se formalmente il ricorrente lamenta la violazione del l’art. 2901 c.c. ciò che in realtà lamenta è la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.
Sul punto, il Collegio intende dare continuità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente
inconfutabile  (Sez.  L,  Ordinanza  n.  22366  del  05/08/2021,  Rv. 662103 – 01).
La motivazione della sentenza impugnata riportata per esteso nella parte in fatto prende in considerazione tutti gli elementi dedotti in questa sede . Quanto all’omesso esame della nota integrativa, non è possibile riscontrarne la decisività e neanche la sua omissione posto che nella motivazione della sentenza impugnata si fa riferimento al fatto che dal bilancio della RAGIONE_SOCIALE non emergeva una rilevante situazione debitoria e nulla porta ad escludere che tale affermazione è stata fatta senza tener conto della suddetta nota integrativa.
In ogni caso deve ribadirsi che: In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione,
di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 – 01).
La Corte rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna  la  ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2400, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai  sensi  dell’art.  13,  co.  1  quater,  del  d.P.R.  n.  115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione