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Azione Revocatoria: quando la cessione è revocabile

Una creditrice ha ottenuto la conferma di un’azione revocatoria contro una debitrice che aveva ceduto l’intero patrimonio immobiliare alla figlia. La Corte d’Appello ha stabilito che la sproporzione tra il valore dei beni e il debito da saldare costituisce un danno per il creditore (eventus damni), rendendo l’atto revocabile. La consapevolezza della debitrice di ledere le ragioni del creditore (scientia fraudis) è stata ritenuta provata, anche in considerazione del rapporto di parentela.

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Azione Revocatoria: Quando la Cessione di Immobili tra Familiari è a Rischio

L’azione revocatoria rappresenta uno degli strumenti più efficaci a tutela del credito. Permette di ‘revocare’, o più correttamente, di rendere inefficaci quegli atti con cui un debitore si spoglia dei propri beni per sottrarli all’esecuzione forzata. Una recente sentenza della Corte di Appello di Roma illumina un caso emblematico: una madre cede l’intero patrimonio immobiliare alla figlia per estinguere un debito pregresso. Ma questa operazione è sempre legittima? Scopriamo insieme come i giudici hanno valutato la situazione.

I Fatti di Causa: Un Debito e un Trasferimento Immobiliare Sospetto

La vicenda ha origine da un prestito di 100.000 euro non restituito. La creditrice, nel tentativo di recuperare la somma, scopre che la debitrice ha trasferito tutte le sue proprietà immobiliari alla figlia. Il trasferimento era stato formalizzato come una ‘datio in solutum’, ovvero una prestazione in luogo dell’adempimento, per saldare un debito che la madre aveva nei confronti della figlia, sorto a seguito della donazione di un credito da parte dell’ex marito (padre della ragazza).

Ritenendo l’atto lesivo della propria garanzia patrimoniale, la creditrice ha avviato un’azione revocatoria. Il Tribunale di primo grado le ha dato ragione, dichiarando inefficace la cessione. La madre e la figlia hanno quindi presentato appello, sostenendo la piena legittimità dell’operazione.

La Decisione della Corte d’Appello: L’Azione Revocatoria è Fondata

La Corte di Appello ha rigettato l’impugnazione, confermando la decisione di primo grado, seppur con alcune precisazioni. I giudici hanno analizzato nel dettaglio i presupposti dell’azione revocatoria: il pregiudizio per il creditore (eventus damni) e la consapevolezza di tale pregiudizio (scientia fraudis).

L’Azione Revocatoria e la Sproporzione tra Debito e Valore dei Beni

Uno dei punti centrali della difesa era che la ‘datio in solutum’ è un atto dovuto e, come tale, non revocabile. La Corte ha però osservato che, sebbene l’estinzione di un debito sia un atto dovuto, le modalità scelte per farlo non sono immuni da censure.

Nel caso specifico, è emersa una palese sproporzione: il debito da estinguere ammontava a circa 562.000 euro, ma il valore complessivo degli immobili ceduti superava il milione di euro. Secondo la Corte, questa differenza configura la parte eccedente come un atto di liberalità. L’intero atto di cessione, essendo unico, ha causato un grave depauperamento del patrimonio della debitrice, compromettendo la possibilità per la creditrice originaria di soddisfare il proprio credito. È stato quindi pienamente integrato il requisito dell’eventus damni.

La Consapevolezza del Danno (Scientia Fraudis)

La Corte ha ritenuto provata anche la ‘scientia fraudis’, ovvero la consapevolezza della debitrice di arrecare un danno. Il fatto di aver ceduto l’intero compendio immobiliare di sua proprietà alla figlia era un chiaro indice della volontà di sottrarre beni alla garanzia della creditrice. A rafforzare questa convinzione, è stata prodotta un’email in cui la debitrice, dopo la cessione, rassicurava altri soci sulla sua intenzione di vendere alcuni immobili per sanare altri debiti, pur sapendo di non possederli più.

Poiché l’atto era in parte a titolo gratuito (per via della sproporzione), per la revoca era sufficiente dimostrare la sola consapevolezza della debitrice, senza necessità di provare anche la malafede della figlia acquirente. Il rapporto di parentela strettissimo (madre-figlia) è stato comunque considerato un ulteriore indizio della condivisione dell’intento fraudolento.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati. In primo luogo, l’interesse del creditore ad agire in revocatoria sussiste anche in presenza di un mero pericolo di danno, e non solo di un danno effettivo. La Corte ha anche chiarito che un ‘vincolo di destinazione’ precedentemente apposto su alcuni immobili non era opponibile alla creditrice, in quanto trascritto nei registri immobiliari solo dopo la nascita del suo credito. La decisione sottolinea che l’azione revocatoria non mira a contestare l’esistenza del debito che si intende saldare (quello tra madre e figlia), ma le modalità ‘anomale’ scelte per il suo adempimento, quando queste ledono i diritti di altri creditori. La valutazione del pregiudizio e della consapevolezza deve essere condotta sull’intero atto dispositivo, che non può essere ‘frazionato’ dal giudice per salvarne una parte. L’atto di cessione, essendo sproporzionato, è stato considerato unitariamente pregiudizievole e quindi revocato nella sua interezza.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: la tutela del credito prevale su operazioni dispositive che, seppur formalmente lecite, svuotano il patrimonio del debitore a danno dei creditori. Anche un atto volto a saldare un debito legittimo, come la ‘datio in solutum’, può essere revocato se le sue modalità e il suo valore risultano pregiudizievoli. La sproporzione tra il debito estinto e il valore dei beni ceduti è un campanello d’allarme che può configurare l’atto come parzialmente gratuito, semplificando l’onere della prova per il creditore che agisce in revocatoria. Infine, i rapporti familiari stretti tra le parti di un atto dispositivo sono sempre attentamente vagliati dal giudice come possibili indici della consapevolezza del danno arrecato ai creditori.

Una cessione immobiliare per saldare un debito (‘datio in solutum’) può essere soggetta ad azione revocatoria?
Sì. Secondo la sentenza, anche se la ‘datio in solutum’ estingue un debito preesistente, può essere revocata se le modalità concrete di adempimento sono anomale e pregiudicano altri creditori. In particolare, una palese sproporzione tra il valore dei beni ceduti e l’ammontare del debito estinto integra il requisito del pregiudizio (eventus damni).

Un vincolo di destinazione su un immobile lo protegge sempre dall’azione revocatoria di un creditore?
No. La Corte ha chiarito che il vincolo di destinazione non è opponibile al creditore se la sua trascrizione nei registri immobiliari è successiva alla data in cui è sorto il credito. Inoltre, l’interesse ad agire del creditore non viene meno se il vincolo non è perpetuo ma ha una durata definita ed è revocabile.

Cosa deve dimostrare il creditore riguardo alla consapevolezza del debitore (scientia fraudis) nell’azione revocatoria?
Il creditore deve dimostrare che il debitore era consapevole del pregiudizio che l’atto di disposizione avrebbe arrecato alle ragioni del creditore. Non è necessaria la prova di un intento doloso specifico (collusione), ma è sufficiente la conoscenza della diminuzione della garanzia patrimoniale. Quando l’atto è in parte a titolo gratuito (come nel caso di una cessione sproporzionata), è sufficiente provare solo la consapevolezza del debitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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