Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8659 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8659 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2850/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro RAGIONE_SOCIALE
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 531/2020 depositata il 08/06/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano opposizione al decreto ingiuntivo n.38/2006 emesso dal Tribunale di Brindisi su ricorso della M.P.S. Gestione Crediti Banca s.p.a. quale mandataria di Manca Monte dei Paschi s.p.a. per il pagamento della somma di euro 61.684,08 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, debitrice principale, e nei confronti dei due fideiussori, a titolo di saldo debitore del conto corrente ivi acceso, eccependo la prescrizione del credito per essere stato il decreto ingiuntivo notificato oltre 10 anni dopo l’estinzione del conto corrente avvenuta il 27.3.1991 e la prescrizione degli interessi ai sensi dell’art. 2948 n. 4 c.c., sia considerando la riscossione trimestrale per come originariamente convenuta ed operata, sia considerando la capitalizzazione e, quindi, la riscossione annuale per come ricalcolata; in subordine eccepivano che la banca non aveva computato -ad abbattimento del proprio credito- la somma riscossa nella misura del 25% in sede concordataria del fallimento RAGIONE_SOCIALE ed, infine, contestavano la erronea quantificazione di interessi per come riportata nel decreto ingiuntivo essendo stati gli stessi ragguagliati ad ‘usi di piazza’. MPS Gestione Crediti contestava le ragioni di opposizione eccependo in particolare l’intervenuta interruzione della prescrizione per effetto dell’intervento con atto del 13.3.1992 nel giudizio instaurato, ex art. 1414 c.c. ed in subordine ex art. 2901 c.c., da Banca Popolare di Lecce contro i due fideiussori avanti al Tribunale di Brindisi; in detto giudizio il Monte dei Paschi di Siena aveva fatto valere, invero, il credito di lire 176.866.160 agli opponenti nella qualità di fideiussori della società per il saldo del conto corrente in questione
chiuso il 27.3.91; la causa si era conclusa con la sentenza in data 1.9.2003 che aveva accolto la domanda di revocatoria ex art. 2901 c.c., confermata dalla Corte di appello di Lecce, e divenuta definitiva all’esito del rigetto del ricorso in Cassazione proposto dai debitori. Pertanto la domanda giudiziale proposte in quel processo era atto che valeva a spiegare efficace interruttiva della prescrizione sia quanto alla sorte capitale del credito sia quanto agli accessori.
2.Il Tribunale, all’esito della CTU, rigettava l’eccezione preliminare di prescrizione di sorte capitale ed accessori ritenendo valido atto interruttivo l’intervento nel giudizio ex art. 2901 c.c. della banca opposta volto a far valere il credito oggetto del presente giudizio, e, in parziale accoglimento della opposizione, accoglieva la domanda della banca per la minor somma corrispondente alla differenza tra quella portata dal decreto e quella (di lire 44.472.583 pari ad euro 22.168,17) percepita dal Monte dei Paschi da parte del concordato fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE
3.La Corte d’appello di Lecce ha respinto l’appello e confermato la sentenza impugnata ritenendo che:
l’atto di intervento adesivo conteneva con chiarezza la determinazione del credito degli interessi come calcolati, e, sebbene non fosse mai stato notificato ai debitori, era conoscibile agli stessi costituiti in giudizio; perciò, fermo che la proposizione dell’azione revocatoria produce l’effetto interruttivo della prescrizione del diritto di credito a tutela del quale si agisce, essendo univocamente finalizzata a manifestare la volontà di esercitare specificamente il diritto medesimo, era irrilevante che il titolare del diritto non avesse promosso l’azione ma fosse intervenuto nel giudizio già iniziato da altri; inoltre l’intervento adesivo avendo una funzione ad adiuvandum, mantiene la sua funzione di conservazione della garanzia del credito;
era infondato il motivo d’appello deducente la nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alla prescrizione degli interessi, poiché -come già rilevato dal giudice di primo grado – la determinazione della sorte capitale e degli interessi era stata proposta nell’intervento ad adiuvandum del giudizio di revocatoria;
parte appellante non aveva sollevato alcuna contestazione specifica sul quantum riportato in decreto, né incideva il fatto che nel giudizio di opposizione la banca non avesse provato l’esatto ammontare del suo credito, poiché il saldo di conto corrente azionato era stato contestato dagli opponenti solo con riferimento al fatto che non era stato detratto l’importo già versato in sede di concordato fallimentare dal debitore principale e con riferimento agli interessi da versare (che nel decreto sono stati riconosciuti come convenzionali, quindi pattuiti).
3.Avverso detta sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso affidandolo a cinque motivi di cassazione. Ha resistito con controricorso quale cessionaria del credito in ragione di cessione di un portafoglio di crediti di Banca MPS s.p.a., Siena NPL RAGIONE_SOCIALE.r.l.- rappresentata da RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE rappresentata a sua volta da RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dell’eccezione -svolta in memoria di carenza di legittimazione ad agire della società RAGIONE_SOCIALE -dichiaratasi creditrice in virtù di operazione di cessione in blocco da Monte dei Paschi di Siena ai sensi dell’art. 58 T.U.B. pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 23.12.2017, Parte Seconda, n. 151 poichè da detta dalla pubblicazione non si evincerebbe se, tra i crediti ceduti, vi sia anche quello azionato nei confronti dei Sig.ri NOME COGNOME e NOME (fidejussori della società RAGIONE_SOCIALE ai quali, in ogni caso, non sarebbe stata notificata alcuna comunicazione relativa alla
cessione, sicchè la stessa non sarebbe opponibile ai Sig.ri COGNOME e COGNOME.
Premesso che la legittimazione ad agire attiene alla titolarità del diritto ad agire in giudizio e spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare e che l’effettiva titolarità di tale diritto (il credito di cui qui concretamente si discute) è questione che attiene, invece, al merito della causa, ovvero alla fondatezza della domanda, si osserva che l’eccezione è ammissibile (poiché prospettabile in ogni stato e grado del giudizio) ma infondata quale eccezione di carenza di legittimazione ad agire, poiché la SPV si afferma titolare del diritto controverso. La diversa questione della prova di detta titolarità è, invece, inammissibile in quanto tardivamente proposta con la memoria autorizzata ex articolo 380 bis-1 c.p.c., in continuità al principio per cui le memorie di cui agli artt. 380-bis e 380-bis.1 cod. proc. civ., nei rispettivi testi anteriori alle modificazioni apportategli dal d.lgs. n. 149 del 2022, non potevano contenere nuove censure e/o eccezioni, ma solo illustrare quelle già proposte (cfr ., e multis , Cass. n. 30878/2023; Cass. n. 17893/2020; Cass. n. 24007/2017; Cass. n. 26332/ 2016; Cass., SU, n. 11097/2006), conclusione riproponibile, in linea generale, anche con riferimento alla memoria di cui all’art. 380 -bis.1, comma 1, c.p.c. come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
2.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2901 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1 c.p.c.
Reputa la parte ricorrente che la sentenza impugnata sia errata per avere la Corte di merito affermato che la proposizione dell’azione revocatoria ha interrotto la prescrizione, e ciò sotto due profili:
(a) l’art. 2943 c.c., nell’attribuire efficacia interruttiva della prescrizione agli atti di costituzione in mora, escluderebbe possa
essere attribuita tale efficacia agli atti privi del carattere di intimazione e di espressa richiesta formale al debitore, onde tale efficacia non avrebbe l’azione revocatoria ordinaria: (i) poiché essa, rientrando nella categoria dei diritti potestativi, vedrebbe il soggetto passivo versare in una situazione di soggezione anziché d’obbligo (essendo irrilevante ogni suo comportamento ai fini della realizzazione del diritto potestativo fatto valere); (ii) poiché il fatto che la realizzazione stessa del diritto azionato in revocatoria si sostanzia in un mutamento soltanto giuridico e non materiale, escluderebbe la sua efficacia di atto interruttivo, e ciò perché detta realizzazione produrrebbe l’estinzione satisfattiva del diritto stesso; (iii) la sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore attore in revocatoria non costituirebbe titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente;
anche ove si volesse riconoscere all’azione revocatoria effetto interruttivo, stante la funzione conservativa limitata dell’azione -che non travolge l’atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma ne determina l’inefficacia nei soli confronti del creditore che l’abbia esperita -l’intervento adesivo dipendente, avendo solo finalità ad adiuvandum giacchè l’eventuale dichiarazione di inefficacia conseguente alla sentenza di revoca giova solo al creditore procedente, non sarebbe utile a interrompere la decorrenza del termine della prescrizione di un diritto in effetti «non azionato», in quanto -a dire del ricorrente -di per sé inidoneo a far valere un diritto proprio.
2-1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.
2.2Quanto all’efficacia interruttiva della domanda di revocatoria – il ricorrente cita precedenti di legittimità che sono rimasti isolati e sono stati superati (v Cass. n.6570/2005) ovvero non appaiono pertinenti (v. Cass. n. 5246/2006, con la quale questa Corte ha affermato che « ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria
ordinaria da parte del creditore avverso un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, è sufficiente l’esistenza di una ragione di credito, ancorchè non accertata giudizialmente » e che non è necessaria alcuna la sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio revocatorio in attesa della definizione di quello eventualmente in corso per l’accertamento della medesima, poiché « il conflitto pratico tra giudicati che tale norma mira ad evitare mediante la sospensione della causa pregiudicata, impossibile per il fatto che la sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti del creditore, non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente »: il che non vale ad escludere che la domanda in revocatoria abbia effetto interruttivo, bensì che la relativa sentenza conclusiva favorevole non implicando l’accertamento del credito- non può, ovviamente, valere quale titolo esecutivo).
Piuttosto è consolidato l’orientamento di legittimità -cui il Collegio intende dare continuità -per cui « La proposizione dell’azione revocatoria, al fine di garantire la soddisfazione di un diritto di credito risarcitorio produce, ai sensi degli art. 2943 e 2945 cod. civ., l’effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione di tale diritto, pur se quest’ultimo sia azionato solo successivamente in autonomo giudizio, trattandosi di un comportamento univocamente finalizzato a manifestare la volontà di esercitare specificamente il diritto medesimo, benchè mediante l’attivazione preventiva di un altro giudizio, peraltro ad esso teleologicamente connesso in via esclusiv a» (v. Cass. n. 1084/2011, che recepisce un principio già affermato da Cass. n. 9679/1997 in materia di azione di simulazione, che richiama Cass. n. 5081/1994 resa in tema di azione revocatoria); ciò in linea con il principio per cui « la domanda giudiziale ha efficacia interruttiva e sospensiva della prescrizione riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino, con stretto nesso di causalità, al rapporto cui inerisce, senza che occorra proporre, nello
stesso o in altro giudizio, una specifica domanda diretta a farli valere e anche quando, in quello pendente, tale domanda non sia proponibile, sicché la proposizione di un’azione revocatoria produce il suddetto effetto sulla prescrizione del diritto di credito la cui soddisfazione è diretta a garantire, pur se quest’ultimo sia azionato successivamente in autonomo giudizio » (v. Cass. n. 16293/2016; orientamento che trova conferma anche in Cass. n. 17619/2022 laddove afferma che « in tema di compensi in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari dopo il 31 dicembre 1982, la proposizione del ricorso dinanzi al giudice amministrativo per l’annullamento del d.m. 14 febbraio 2000, è atto idoneo ad interrompere la prescrizione, con effetto interruttivo permanente legato al perdurare del giudizio amministrativo, del termine per far valere innanzi al giudice ordinario il diritto soggettivo al risarcimento del danno per il tardivo recepimento delle direttive CEE n. 362 del 1975 e n. 76 del 1982, poiché, pur essendo ben distinte le due situazioni giuridiche fatte valere interesse legittimo e diritto soggettivo – la prima azione risulta strumentale al pieno esercizio del diritto tutelabile attraverso la seconda, tenuto altresì conto che la pluralità di giudici deve assicurare una più adeguata risposta alla domanda di giustizia e non una vanificazione della tutela giurisdizionale »).
2.3- Ne deriva che anche il secondo profilo di censura si basa su argomenti infondati. E’ vero, infatti, che l’intervento in questione va qualificato come adesivo dipendente giacché l’interventore, pur essendo (asseritamente) titolare di un proprio autonomo diritto, lo fa valere, non in via autonoma – ossia sollecitando una pronuncia che abbia ad oggetto quel diritto e che sia emessa nei suoi confronti – bensì quale interesse che lo legittima a sostenere le ragioni di una delle parti (v. tra le tante Cass. 22972/2022, conforme a Cass. n. 27528/2016). Ma ciò non vale a impedire che lo stesso produca l’effetto interruttivo della prescrizione del diritto
invocato ed affermato, che costituisce la fonte della legittimazione ad intervenire così come la ragione fondante dell’interesse ad agire dell’interventore, fermo che l’atto di intervento giunga a conoscenza del controinteressato: costituisce, invero, principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema d’interruzione della prescrizione, quello secondo cui tale effetto tanto nel caso in cui consegua ad un atto stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2943 ultimo comma c.c., quanto nel caso in cui derivi da un atto giudiziale, come previsto dai primi tre commi del medesimo articolo -presuppone la conoscenza dell’atto da parte del destinatario; quest’ultima da intendersi, peraltro, non necessariamente come conoscenza effettiva, ma anche come conoscenza legale, ricollegabile al perfezionamento delle fattispecie che la legge considera idonee a far pervenire l’atto nella sfera di conoscibilità dell’interessato (cfr. per tutte Cass. n 12658/2018), essendo l’atto interruttivo della prescrizione un atto unilaterale recettizio (v. Cass. n. 8096/2022: « In caso di domanda proposta dall’interventore volontario, l’effetto interruttivo della prescrizione si verifica al momento in cui l’atto di intervento pervenga a conoscenza, di fatto o legale, della controparte, e quindi, in tempi diversi a seconda che la sua costituzione abbia luogo mediante la presentazione della relativa comparsa in udienza oppure con il deposito della stessa in cancelleria, atteso che, nel primo caso, il destinatario della domanda, che risulti costituito in giudizio, ne viene immediatamente a conoscenza, mentre nel secondo il medesimo destinatario ne viene a conoscenza alla data della comunicazione effettuata dal cancelliere ai sensi dell’art. 267, comma 2, c.p.c., ovvero, in mancanza, all’udienza successiva; qualora, poi, la parte sia rimasta contumace, il predetto effetto si realizza all’atto della notifica della comparsa di intervento contenente la domanda » (Cass. n.8096/2022).
Perciò non ha rilevanza quanto sottolinea il ricorrente a proposito del fatto che l’intervento adesivo, in quanto avente solo finalità ad adiuvandum, « non è connesso all’esercizio di un diritto proprio, onde la dichiarazione di inefficacia conseguente alla sentenza di revoca gioverebbe solo al creditore procedente e non sarebbe, perciò, utile a interrompere la decorrenza del termine della prescrizione di un diritto non azionato, essendo di per sé inidoneo a far valere un diritto proprio », giacchè detta affermazione contrasta logicamente con il fatto che – al contrario, come detto – anche detto intervento presuppone per la sua stessa ammissibilità che l’interventore affermi un proprio diritto e manifesti un interesse all’accoglimento della domanda proposta da altri (in tal caso di revocatoria) proprio in ragione di quel diritto. E nella specie, non solo è affermato -con accertamento, quindi, «in fatto» – che « sia la sentenza conclusiva del giudizio avente oggetto l’azione revocatoria sia la successiva sentenza di secondo grado richiamano espressamente sia l’intervento che il credito in esso dedotto, il che determina in modo sufficientemente chiaro e definitivo la consistenza del credito e degli interessi come calcolati », ma anche che « l’atto di intervento adesivo (…) depositato in copia autentica sin dal primo grado del giudizio, contiene con chiarezza la determinazione del credito e, sebbene non sia mai stato notificato ai debitori, era conoscibile agli stessi », il che fa presumere che in quel giudizio i debitori fossero costituiti; ed è altresì affermato -a proposito dell’interesse ad agire di MPS in quel giudizio che « il giudice di primo grado nel giudizio sopra indicato (di revocatoria ndr) chiariva che il Monte dei Paschi di Siena aveva un proprio interesse legittimo a promuovere la presente azione essendo creditore dei signori NOME COGNOME e NOME nella loro qualità di fideiussori della s.p.a RAGIONE_SOCIALE, della complessiva somma di lire 175.866.660, (…) e tale accertamento non è stato impugnato
e/o modificato, ed, anzi, è stato confermato nei successivi gradi di giudizio »
3.Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per apparente motivazione in ordine alla prescrizione degli interessi, violazione dell’art. 111 comma VI cost. e dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 4 c.p.c., in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a far riferimento alla circostanza che gli interessi fossero stati richiamati nell’atto di intervento adesivo dipendente, e, perciò, non sarebbero prescritti al pari della sorte capitale, con motivazione soltanto apparente in quanto omette in fatto e in diritto le ragioni della decisione e di specificare o illustrare le ragioni dell’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta.
3.1.- Il motivo è infondato. Premesso che il vizio di motivazione apparente, equiparabile al difetto assoluto di motivazione, sussiste quando il giudice del merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 395/2021, in motivazione; Cass. n. 23684/2020; Cass. n. 20042/2020), nella specie tale vizio non sussiste, poiché la ratio decidendi sul punto è chiaramente percepibile, avendo il giudice precisato – nel respingere in generale il motivo relativo al rigetto dell’eccezione di prescrizione che: (i) « sia la sentenza conclusiva del giudizio avente oggetto l’azione revocatoria sia la successiva sentenza di secondo grado richiamano espressamente sia l’intervento che il credito in esso dedotto, il che determina in modo sufficientemente chiaro e definitivo la consistenza del credito e degli interessi come calcolati »; (ii) « l’atto di intervento adesivo (…) depositato in copia autentica sin dal primo grado del giudizio, contiene con chiarezza la determinazione del credito »; (iii) a proposito specificamente degli interessi, « la
determinazione della sorte capitale e degli interessi era stata proposta nell’intervento ad adiuvandum del giudizio di revocatoria dichiarata espressamente dal giudice nella sentenza di primo grado e confermata nel grado successivo; pertanto non possono essere considerate prescritti gli interessi come calcolati » precisato, altresì, che « come richiesto nel ricorso per decreto ingiuntivo, gli stessi interessi sono calcolati su base legale non moratoria come erroneamente indicato nel decreto ingiuntivo ».
4.Il terzo motivo denuncia erronea interpretazione di documenti e fatti di causa. Violazione dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 n. 4 c.p.c., in quanto – premesso che la sentenza che chiude il giudizio di revocatoria si limita a dichiarare inefficace alcuni atti di compravendita nei confronti di taluni creditori – tanto il giudice di primo grado che la Corte territoriale avrebbero assunto erroneamente per accertato nel giudizio di revocatoria l’ammontare del credito azionato da Mps, laddove ivi non era stato accertato nulla, avendo tanto la banca procedente quanto quelle intervenute semplicemente enunciato il loro credito per palesare i presupposti del loro intervento nel giudizio di revocatoria e non per ottenere l’accertamento di quei crediti o la condanna al pagamento degli stessi.
4.1-Il motivo è inammissibile.
Va premesso che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è impropriamente invocata, essendo noto che la doglianza relativa alla violazione di detta norma è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia
dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento: e, nel caso in esame, nulla di tutto ciò si rinviene nella censura. Ciò detto il motivo è inammissibile anche perché estraneo alla ratio decidendi -con cui non si confronta- la quale non si fonda sul fatto che nel giudizio predetto fosse stato compiuto un accertamento dei crediti invocati dalla banca procedente e da quella intervenuta, bensì sul fatto che la parte appellante (opponente in primo grado) non aveva sollevato contestazioni specifiche sul quantum riportato in decreto, se non per il fatto che « non era stato detratto l’importo già versato in sede di concordato fallimentare del debitore principale e con riferimento agli interessi da versare (che nel decreto sono stati riconosciuti come convenzionali mentre dalla banca nel ricorso monitorio sono stati richiesti come legali) » punti sui quali « l’opposizione è stata accolta già in primo grado con la specificazione che la qualifica degli interessi effettuata nel dispositivo del decreto ingiuntivo moratori e non legali costituiva un mero refuso in quanto gli stessi venivano quantificati come da richiesta della banca stessa che in effetti aveva richiesto e calcolato gli interessi su base legale e non moratoria ».
5.- Il quarto motivo denuncia violazione del diritto alla difesa e non raggiungimento della prova. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.p.c e dell’art. 50 TUB in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Reputa il ricorrente che la condotta del creditore – a fronte dello smarrimento del fascicolo monitorio e dei documenti ivi depositati e della conseguente ricostruzione solo parziale dello stesso fascicolo avrebbe influito sul diritto di difesa dei signori COGNOME e COGNOME i quali non sarebbero stati messi nelle condizioni di poter consultare la documentazione che la controparte poneva a sostegno della domanda giudiziale spiegata con il ricorso per decreto ingiuntivo. L’omessa produzione documentale avrebbe inciso
incontrovertibilmente sul potere decisionale del giudice di primo grado e della Corte d’appello (che hanno confermato il decreto ingiuntivo ad eccezione delle somme già percepite da Mps in sede di concordato fallimentare), laddove detto comportamento della parte avrebbe dovuto essere apprezzato, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. per trarre argomenti di prova in danno di Mps, nel senso che la prova dei fatti costitutivi della domanda doveva ritenersi deficitaria quanto ad esistenza del credito vantato oltre che ad attualità ed esigibilità dello stesso, questioni rispetto alle quali gli opponenti non avrebbero potuto controdedurre o eccepire nulla; inoltre l’assunto della Corte territoriale sulla sussistenza del credito sarebbe confutato dalla stessa ammissione in primo grado di CTU contabile onde determinare il vero ammontare del credito di MPS, che aveva fondato la sua pretesa creditoria unicamente sul saldaconto ex art. art. 50 del d. lgs n. 385/93, laddove incombeva sulla banca l’onere di provare il proprio credito, ovvero il saldo finale della stessa reclamata con la produzione di tutti gli estratti conto mensili e degli scalari trimestrali sin dalla nascita del rapporto stesso fino alla sua estinzione, mentre quanto riprodotto in copia da MPS riporterebbe solamente la posizione debitoria incomprensibile e contraddittoria rispetto a quanto depositato nella fase monitoria.
5.1Il motivo è chiaramente inammissibile per difetto di specificità e per violazione dell’art. 366 comma 1 n. 4 e 6 c.p.c. che impone al ricorrente di indicare non solo quale sarebbe stata la specifica contestazione che la Corte avrebbe mancato di rilevare, ma i documenti prodotti in copia e le ragioni per cui questi sarebbero stati insufficienti agli effetti di contrastare la contestazione degli opponenti, avendo la Corte d’appello dato conto che la sola contestazione mossa era la mancata considerazione dell’importo pagato in sede di concordato, e la determinazione degli
interessi -sui quali come detto sopra -il Tribunale si era pronunciato specificamente.
6.- Il quinto motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Violazione dell’art.112 c.p.c e della l. n. 275/99 (c.d. legge antitrust ) in relazione all’art. 360 n. 4. Osserva la parte ricorrente che nella memoria di replica versata in appello i ricorrenti avevano sollevato l’eccezione di nullità delle fideiussioni omnibus dagli stessi sottoscritte, mentre la Corte non avrebbe assolutamente preso in considerazione le argomentazioni svolte sul punto benché l’eccezione di nullità sia rilevabile anche d’ufficio in ogni Stato e grado del giudizio e può addirittura essere sollevata la prima volta in Cassazione.
6.1- Il motivo è manifestamente inammissibile: per carenza del requisito di cui all’art. 366 comma 1 n. 4 c.p.c.
6.1.1- Premesso che il fatto che la sentenza gravata non contenga un esplicito rigetto dell’eccezione in extremis formulata non costituisce un’ipotesi di omessa pronuncia, dovendosi leggere come un rigetto implicito della stessa, il motivo di ricorso -che non riporta, come doveroso, la specifica allegazione con cui avrebbe sottoposto la questione alla Corte – non consente neppure di valutare se questa contenesse gli elementi necessari a consentirne il vaglio d’ufficio che la parte ricorrente afferma la Corte d’appello avrebbe dovuto compiere, e che invoca implicitamente anche in questa sede di legittimità laddove sottolinea che si tratta di nullità del contratto rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado.
Sul punto vale invero ricordare che la rilevazione della nullità sia pure d’ufficio -presuppone che la parte abbia tempestivamente allegato, nel corso del giudizio di merito, le circostanze fattuali tali da consentire la rilevazione medesima (v. da ultimo Cass. n. 16102/2024), poiché anche la rilevazione d’ufficio della nullità per violazione di norme imperative ha come condizione che i relativi presupposti di fatto, sebbene non dedotti
sotto forma di eccezione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (v. ex aliis Cass. n. 4867/2024, Cass. n. 34053/2023), dal momento che il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 26242/2014, i cui princìpi sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251/2018, Cass. n. 26495/ 2019, Cass. n. 20170/2022 e Cass. n. 28377/2022) deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di aggirare i limiti processuali scanditi dal maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie; in breve, la rilevazione officiosa della nullità è circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati e provati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713/ 2023 e Cass. nn. 2607, 5038, 5478, 10712 e 19401 del 2024).
6.2.2- Nel caso di specie con il motivo la ricorrente non spiega né quale ipotesi di nullità avesse inteso coltivare con le osservazioni svolte nella memoria conclusionale d’appello (vale a dire la nullità « integrale » del contratto e/o quella parziale relativa alle singole clausole comprese nello schema ABI oggetto del provvedimento dell’autorità d vigilanza) né sulla base di quali elementi di fatto, laddove – va rammentato – i contratti di fideiussione « a valle » dell’intesa sanzionata dall’allora Autorità Garante, sono stati ritenuti parzialmente nulli ove risulti che senza le tre clausole i contraenti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione, e spetta « a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto » (Cass. n. 18794 del 2023) e che la rilevazione officiosa della nullità parziale del
contratto « a valle » dell’intesa anticoncorrenziale, richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione; mentre nella fattispecie i ricorrenti non hanno indicato le clausole della fideiussione corrispondenti allo schema ABI ritenuto contrario alla c.d. legge antitrust dal provvedimento della Banca d’Italia né deducono alcunché a proposito della riferibilità della fideiussione all’intervallo temporale rilevante secondo detto provvedimento, che non hanno neppure prodotto, come sarebbe stato doveroso (trattandosi di atto regolamentare per cui, non opera il principio iura novit curia ) unitamente allo schema ABI cui il medesimo fa riferimento (v. da ultimo Cass. 24380/2024 conforme a Cass. n. 20713/2023).
Nel paragrafo 6 del ricorso i ricorrenti chiedono l’integrale riforma della sentenza impugnata « anche in ordine al capo relative alle spese di lite maggiorate articolo 13 comma 1 quater d.p.r n. 115/2002 » dal momento che « l’auspicato accoglimento dell’odierno gravame non potrà che determinare in applicazione del principio della soccombenza, la condanna di controparte al rimborso in favore dei ricorrenti delle spese processuali di tutti e tre i gradi di giudizio », richiesta di riforma certamente inammissibile sia per come formulata, sia perché non attinge ragioni di illegittimità della regolazione delle spese effettuata dal giudice d’appello.
8.- in definitiva il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 2700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° sezione