Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16852 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16852 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25728/2022 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in AREZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO COGNOME NOME, in persona del curatore, elettivamente domiciliata in AREZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1496/2022 depositata il 19/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME (in proprio e quale erede di NOME COGNOME) e NOME COGNOME (quale erede di NOME COGNOME) hanno impugnato la sentenza n. 176/2020 del Tribunale di Arezzo, che aveva dichiarato inefficaci, ex artt. 66 l.f. e 2901 c.c., nei confronti del Fallimento di COGNOME NOME, gli atti di compravendita registrati il 17 gennaio 2013, con i quali il fallito aveva trasferito agli appellanti la piena proprietà di immobili siti in Loro Ciuffenna (Arezzo).
A fondamento del gravame, gli appellanti hanno dedotto: (i) l’erroneo rigetto dell’eccezione di prescrizione, assumendo che il termine quinquennale decorresse dalla data del contratto preliminare del 19 ottobre 2011 e non dal definitivo del 16 gennaio 2013; (ii) un’errata valutazione dell’anteriorità dei crediti rispetto agli atti dispositivi, con necessaria considerazione del collegamento tra i due contratti; (iii) l’erronea determinazione della congruità del prezzo di vendita, che avrebbe escluso una riduzione patrimoniale pregiudizievole per i creditori; (iv) la carenza di prova sul requisito soggettivo dell’azione revocatoria; (v) l’erronea imputazione delle spese di lite, da porsi a carico del fallimento per entrambi i gradi di giudizio.
Costituendosi in giudizio, il fallimento ha eccepito l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e, in subordine, ne ha contestato la fondatezza, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 1496/2022 del 19.07.2022 la Corte d’Appello di Firenze, sede distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza impugnata.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito NOME e NOME COGNOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 9 motivi.
3.1. Resiste con controricorso Curatela del Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE titolare della Ditta Individuale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2901 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).
La Corte di merito, nel decidere la controversia, avrebbe erroneamente dedotto la sussistenza, in capo al signor COGNOME, della scientia damni e del consilium fraudis , dal pagamento rateale del prezzo di vendita, non considerando che alcun pregiudizio sarebbe derivato ai creditori dall’atto dispositivo del 2013, ‘perché il prezzo non era stato interamente pagato, in quanto sarebbe stato facilmente pignorabile dai creditori anche successivi’. L’atto che eventualmente avrebbe arrecato detto pregiudizio sarebbe la transazione del 16.09.2014 (cfr. p. 9, ricorso).
4.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2901 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., in punto di ‘contestazione circa i mezzi di pagamento’ (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).
La motivazione del giudice del gravame sarebbe erronea laddove ha ritenuto non dimostrato, da parte degli acquirenti, i mezzi di pagamento utilizzati; quando invece, in atti, avrebbero depositato ricevute e prelievi bancari dal 2013 al 2025 che ne proverebbero l’esecuzione.
4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti prospettano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2901, nonché dell’art. 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.).
La corte di merito ‘ha errato nel ritenere che il prezzo (asserito) vile, le (asserite) anomale modalità di pagamento del prezzo ed il rateizzo concesso per il suo pagamento siano state gravi, precise e concordanti e tali da far presumere provato in via presuntiva l’intento frodatorio attuato dalle Parti in danno della Curatela’ (cfr. p. 12, ricorso).
4.4. Con il quarto motivo, parte ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, comma 3, c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).
La Corte territoriale avrebbe respinto l’eccezione, proposta dai signori Lanciano nel corso del giudizio di appello, di non revocabilità della vendita ex art. 2901, comma 3, c.c., sull’erroneo presupposto della sua novità, quando invece, trattandosi di eccezione in senso lato sarebbe rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
4.5. Con il quinto motivo, i ricorrenti prospettano ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, comma 3, c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).
Affermano che ‘il debito del Sig. COGNOME era scaduto in data antecedente al rogito di vendita/compera 16/1/2013′, e che tale circostanza sarebbe stata ‘desumibile dal giudice d’ufficio sin dal primo grado di giudizio in quanto il documento da cui si desume che la cessione immobiliare comportava incasso di somme destinate ad estinguere debiti precedenti al rogito notarile, era l’atto di transazione del 16/09/2014, documento agli atti processuali fin dal primo grado’ (cfr. pp. 13 -14, ricorso).
4.6. Con il sesto motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 c.c. e 116 c.p.c., in ordine alla
statuita anteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo del 13 gennaio 2013 (art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).
Censura la sentenza per aver ritenuto che i signori COGNOME fossero a conoscenza dell’esistenza di altri crediti del debitore, quando invece ‘solo con l’accertamento del passivo, il debito del fallito verso terzi diviene definitivo’ ed ‘è sicuro che nella mente dei Sigg.ri COGNOME -in mancanza di certa prova contraria, che nella specie è stata assente del tutto -non poteva rappresentarsi di nuocere ad alcuno nell’acquistare gli immobili con l’atto 16/1/2013′ (cfr. p. 15, ricorso).
4.7. Con il settimo motivo, i ricorrenti prospettano, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 2901 c.c. e 116 c.p.c., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere, oltre che tardiva, infondata l’eccezione di non revocabilità della vendita, per mancata corrispondenza soggettiva tra debitori e creditori dei due atti, per cui non poteva essere stato estinto il debito. Quando invece un legame tra preliminare e atto di vendita ci sarebbe stato e l’estinzione dei debiti del RAGIONE_SOCIALE, di cui all’affitto di azienda del 22.09.2011, poteva essere qualificata e giustificata in base agli artt. 1180, 1241 e 1243 c.c.
4.8. Con l’ottavo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, comma 3, c.c. e dell’art. 116 c.p.c., per non aver la Corte d’appello accolto l’eccezione di prescrizione sull’azione pauliana, facendo applicazione dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il dies a quo è quello del contratto definitivo e non quello del preliminare, non condividendo tale orientamento (art. 360, co. 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).
4.9. Con il nono motivo di ricorso, i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per essere state le spese legali, di primo e secondo grado, poste interamente a carico loro. Mentre,
sulla base dei motivi articolati, dovrebbero essere integralmente addossate alla Curatela.
Il primo, secondo, terzo, sesto e settimo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
Innanzitutto, in ordine al paradigma della violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., va ricordato come, secondo consolidato principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità: (i) ricorre un’ipotesi di violazione di legge, quando ci si trova dinanzi a un’inesatta ricognizione, all’interno del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta, risolvendosi nell’erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto sbagliato; (ii) mentre, può parlarsi di falsa applicazione, se la fattispecie giudicata concreta è assunta all’interno di una norma errata, ossia quando la fattispecie astratta -pur rettamente individuata e interpretata -non è idonea a regolarla.
Sul punto, è altresì principio notorio quello secondo cui, in nessuno di tali ambiti applicativi, rientra l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie a mezzo delle risultanze di causa, essendo esterna all’esatta (o errata) interpretazione della norma, che inerisce piuttosto la valutazione riservata al giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 18 dicembre 2024, n. 33221; Cass. civ., Sez. II, Ord., 26 settembre 2024, n. 25704; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 agosto 2024, n. 22994; Cass. civ. Sez. I, Ord., 4 aprile 2023, n. 9293).
In tale quadro, e sempre con riferimento alle doglianze prospettate ai sensi del n. 3 del citato art. 360 c.p.c., osserva questo collegio come costituisca ius receptum di questa Corte, enunciato dalle Sezioni Unite, quello secondo cui l’onere di specificità, sancito dall’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ‘impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena
d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (cfr. da ultimo, Cass. civ., Sez. lav., Ord., 10 marzo 2025, n. 6338; Cass. civ., Sez. III, Ord., 4 marzo 2025, n. 5785; Cass. civ., Sez. II, Ord., 1° marzo 2025, n. 5474; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 28 febbraio 2025, n. 5348).
Nella fattispecie, i signori COGNOME hanno censurato la sentenza impugnata limitandosi al solo richiamo agli artt. 2901, 2729 c.c. e 116 c.p.c. pretesamente violati, trattando in modo indistinto i vizi di violazione di legge rispetto a quello di falsa applicazione, senza darne alcuna spiegazione e sviluppando doglianze che, nel loro complesso, invece di consistere in specifiche argomentazioni sul perché le affermazioni contenute nella decisione gravata sarebbero in contrasto con tali norme, riguardano piuttosto una ‘presa di posizione’ delle sue ragioni, già prospettate nel ricorso e nei precedenti atti di causa e non accolte dai giudici di merito.
In tal modo, a dispetto della loro intestazione, le sue censure, senza confrontarsi con la ratio decidendi resa in motivazione, sollecitano un nuovo e diverso accertamento dei fatti di causa rispetto a quello operato dalla Corte territoriale, inammissibile perché in contrasto con i caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità. Rivalutazione di merito nemmeno tanto velata, volta ad ottenere una decisione più conforme alle sue aspettative (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 8 marzo 2024, n. 6356; Cass. civ., Sez. III, Ord., 8 febbraio 2024, n. 3572; Cass. civ., Sez.
I, Ord., 24 gennaio 2024, n. 2335; Cass. civ., Sez. lav., 21 agosto 2020, n. 17570).
Aggiungasi, con specifico riferimento ai profili di doglianza in ordine alla violazione e falsa applicazione delle norme in tema di prova presuntiva, che l’inammissibilità delle censure è connessa anche al fatto che la denuncia in cassazione dell’art. 2729 c.c., può prospettarsi, sempre sotto la ‘veste’ del n. 3 del citato art. 360 c.p.c., solo ‘quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (cfr., di recente, Cass. civ., Sez. I, Ord., 17 marzo 2025, n. 7126; Cass. civ., Sez. III, Ord., 7 marzo 2025, n. 6125; Cass. civ., Sez. I, 19 febbraio 2025, n. 4318; Cass. civ., Sez. I, Ord., 16 febbraio 2025, n. 3953). Di talché, la deduzione di tale vizio suppone un’attività argomentativa del ricorrente che deve estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione su come il ragionamento presuntivo del giudice di merito, per come è stato enunciato, risulti irrispettoso del paradigma della gravità o di quello della precisione o di quello della concordanza.
Nel caso in esame, invece, non v’è una tale critica, dal momento che le doglianze mirano semplicemente ad evidenziare che le circostanze fattuali, su cui il ragionamento presuntivo si basa, avrebbero dovuto essere ricostruite in modo diverso, senza spiegare né dimostrare perché l’inferenza probabilistica applicata dal giudice avrebbe superato i paradigmi delineati dall’art. 2729 c.c.
Così illustrate, le critiche degradano nella prospettazione di un diverso apprezzamento o ricostruzione della quaestio facti, collocandosi ben oltre il perimetro dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., giungendo a sollecitare un controllo di questa Corte sulla motivazione resa dal giudice di merito rispetto alla ricostruzione della suddetta quaestio facti, come detto, non consentita in questa sede (v. Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).
In ordine, poi, al riferito vizio motivazionale, prospettato ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. in relazione all’art. 116 c.p.c., ma anche del n. 5 del medesimo art. 360 c.p.c., si osserva quanto segue.
Rileva questo collegio come, rispetto all’art. 116 c.p.c. che sancisce il principio della libera valutazione delle prove da parte del giudice di merito, salva diversa previsione legale -sia consolidato l’orientamento di questa Corte, secondo cui la violazione di tale norma è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. solo quando il giudice di merito abbia disatteso detto principio in assenza di una deroga normativamente prevista ovvero, all’opposto, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (v. Cass. civ., Sez. III, Ord., 4 marzo 2024, n. 5782; Cass. civ., Sez. II, 5 febbraio 2024, n. 3246; Cass. civ., Sez. I, Ord., 23 gennaio 2024, n. 2247; Cass. civ., Sez. VI-2, Ord., 19 ottobre 2022, n. 30876).
Nel caso, la motivazione della sentenza impugnata è ben lungi dal palesarsi fondata su un tale vizio, in quanto trova compiuta giustificazione nell’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale, che dà contezza degli elementi probatori da cui ha tratto il suo convincimento, tra i quali la valutazione dei cespiti immobiliari compiuta dal CTU nella procedura concorsuale, il prezzo vile pattuito rispetto a detta relazione, le modalità rateali di pagamento del prezzo che erano molto dilazionate nel tempo e per importi relativamente modesti senza previsione di interessi,
l’assenza di prova dei mezzi di pagamento utilizzati, i pregressi rapporti di conoscenza legati sempre alla sfera economica (cfr. pp. 6-9 sentenza impugnata n. 1496/2022). Tutti elementi, questi, che hanno condotto il giudice del merito a ritenere presuntivamente sussistenti i presupposti dell’azione revocatoria, rendendo al riguardo una motivazione logica, coerente e chiara rispetto al ragionamento ad essa sotteso.
Quanto, invece, al vizio motivazionale nell’ottica della violazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., osserva doverosamente questo collegio che parte ricorrente, in realtà, lo prospetta solo formalmente, senza argomentarlo nei motivi in esame.
Tuttavia, nell’esercizio del compito nomofilattico assegnato al giudice di legittimità, si evidenzia che, in ogni caso, le censure, anche se reindirizzate sotto tale aspetto, sarebbero comunque inammissibili.
Ed infatti, come noto, la reformatio di tale articolo, disposta dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012, non è più ammissibile nella presente sede rispetto a censure di contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, ‘in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali’ (v. da ultimo, Cass. civ., Sez. V, Ord., 13 marzo 2025, n. 6665; Cass. civ., Sez. II, Ord., 5 marzo 2025, n. 5854; Cass. civ., Sez. II, 26 febbraio 2025, n. 5023; Cass. civ. Sez. III, Ord., 5 novembre 2024, n. 28450; Cass.
civ., SS.UU., nn. 8053 e 8054/2014; Cass. civ., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
É evidente che, nel caso di specie, alcuno dei suddetti caratteri può associarsi alla sentenza impugnata, in quanto la stessa si snoda su un impianto argomentativo che, lungi dall’essere apparente o frutto di affermazioni inconciliabili o incomprensibili, è invece basato su un percorso motivazionale coerente e logico, del tutto rispettoso del minimo costituzionale.
In ogni caso, la prospettazione di tale vizio, nel caso, si scontra con un’ulteriore ragione di inammissibilità, questa volta dettata dall’art. 348ter, commi 4 e 5, c.p.c. Partendo infatti dal presupposto che il ricorso per cassazione non può essere proposto, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., quando la sentenza d’appello confermi la decisione di primo grado, fondandosi sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto (v. tra le tante, Cass. civ. Sez. II, Ord., 28 febbraio 2024, n. 5259), rileva questo collegio che i ricorrenti: (i) non riportano neppure per esteso le parti della sentenza di primo grado, che assume essere diverse rispetto alla sentenza di appello, in pieno contrasto anche dei requisiti di specificità e autosufficienza richiesti per il ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.; (ii) in ogni caso, pur menzionando quali sarebbero le ragioni di diversità tra le due pronunce, si inerpicano in argomentazioni dalla lettura oltremodo difficile, affastellate di riferimenti senza specificazione alcuna, che risolvono la censura, ancora una volta, in un mero tentativo di rivalutazione del merito, non ammesso in sede di legittimità.
5.1. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c.
Invero, al di là del fatto che il motivo in esame si appalesa per nulla autosufficiente -limitandosi i ricorrenti solo ad affermare di aver sollevato l’eccezione di non revocabilità della vendita per intervenuta scadenza del debito ‘in tutti i motivi di appello e
ribadita, funditus , in comparsa conclusionale’ senza però trascrivere, neppure in parte, almeno gli stralci degli atti dove avrebbe sollevato detta eccezione, incorrendo nella violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. va osservato che, comunque, la decisione impugnata è conforme a diritto, in quanto, del tutto correttamente, ha ritenuto preclusa per gli appellanti di sollevare detta eccezione solo in appello, reiterata poi in questa sede.
Così statuendo, infatti, si è allineata all’orientamento espresso da questa Corte, secondo cui l’esenzione dalla revocatoria ordinaria, prevista per l’adempimento di un debito scaduto, integra, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, un’eccezione in senso stretto, presupponendo quindi l’allegazione in giudizio di fatti impeditivi non rilevabili d’ufficio, con conseguente sua inammissibilità laddove sollevata per la prima volta in secondo grado (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 22 novembre 2024, n. 30140; Cass. civ., Sez. III, 25 marzo 2024, n. 8022; Cass. civ., Sez. III, Ord., 12 ottobre 2023, n. 28452; Cass. civ., Sez. III, Ord., 12 luglio 2023, n. 19963; principio enunciato da Cass. civ. Sez. III, 13 agosto 2015, n. 16793).
Nel caso, i ricorrenti contestano la rilevata tardività dell’eccezione, confermando però, al tempo stesso, di averla sollevata in diversi atti di appello e in comparsa conclusionale, insistendo nell’affermare però che, trattandosi di eccezione in senso lato, ben avrebbe potuto superare il regime delle preclusioni ex art. 345 c.p.c.
Nell’argomentare tale tesi, riportano richiami giurisprudenziali in alcun modo idonei a superare né a mutare l’orientamento sopra illustrato, essendo stati infatti solo trascritti, ma senza spiegare come dette pronunce sarebbero rilevanti e idonee a mutare l’orientamento formatosi sul punto.
5.2. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per violazione del principio di specificità.
Va osservato che, sulla scorta dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, specifici motivi per i quali si richiede la cassazione del provvedimento impugnato.
Motivi che devono essere dotati dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza, individuando esattamente ‘il capo della pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il decisum della sentenza gravata’ (così, ad esempio, di recente, Cass. civ., Sez. V, Ord., 26 febbraio 2025, n. 4993; Cass. civ., Sez. V, Ord., 10 gennaio 2025, n. 662; Cass. civ., Sez. V, Ord., 18 dicembre 2024, n. 33199).
Ebbene, nulla di ciò si rinviene nel motivo de quo, non avendo i ricorrenti individuato neanche il capo della statuizione che censurano e di cui vorrebbero chiedere la riforma, limitandosi a compiere riferimenti fattuali che, per come formulati, rendono del tutto inammissibili le loro doglianze che, comunque, sono prive anche di un contenuto critico, attesa la loro inidoneità ad esprimere la prospettata contrapposizione con i passaggi motivazionali della decisione impugnata.
Il motivo in esame, quindi, manca della struttura propria del mezzo di impugnazione individuata dalla giurisprudenza, risolvendosi in un ‘non motivo’, neppure scrutinabile.
5.3. I nammissibile per violazione dell’art. 360 bis c.p.c. è l’ottavo motivo di ricorso.
È consolidato principio di questa Corte quello secondo cui ‘il contratto preliminare di vendita di un immobile, non producendo effetti traslativi e non essendo perciò configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, non può essere assoggettato all’azione revocatoria ordinaria; azione proponibile, invece, nei confronti
dell’eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato, rispetto al quale va accertata la sussistenza dei presupposti della revocatoria’ (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 12 giugno 2018, n. 15215).
Nel caso in esame la c orte d’appello, facendo corretta applicazione di tale principio, ha affermato che il dies a quo per calcolare il termine a ritroso della prescrizione dell’ actio pauliana era costituito dalla data di stipula del contratto definitivo (16.01.2013) e non da quella del preliminare (19.10.2011) (cfr. pp. 4 e 5 sentenza n. 1496/2022). Sul punto, la decisione è motivata in modo coerente, logico e rispettosa del c.d. minimo costituzionale (v. Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; nelle successive pronunce, più di recente, Cass. civ. Sez. V, Ord., 9 ottobre 2024, n. 26349; Cass. civ., Sez. V, Ord., 20 settembre 2024, n. 25319; Cass. civ. Sez. III, Ord., 16 settembre 2024, n. 24760), mentre i ricorrenti, pur dichiarando di ben conoscere il suddetto orientamento, si sono limitati ad esprimerne la loro non condivisione, senza offrire elementi per un suo mutamento, così incorrendo nella violazione dell’art. 360bis, comma 1, c.p.c.
5.4. Il nono motivo di ricorso è inammissibile.
La formulazione del motivo è talmente scarna da non comprendere neppure, in concreto, quali siano le doglianze mosse alla sentenza impugnata, in punto di condanna alle spese, limitandosi a sostenere che sarebbero state erroneamente a loro addossate.
Va al riguardo ribadito che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c.
Per cui il giudice, con la sentenza che chiude il processo, è chiamato a condannare la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte, liquidandone pure l’ammontare insieme con gli onorari di difesa (v., per tutte, da ultimo, Cass. civ. Sez. II, 24 gennaio 2025, n. 1753).
Nel caso in esame gli odierni ricorrenti sono rimasti interamente soccombenti in entrambi i gradi del giudizio di merito, risultando pertanto corretta la relativa condanna al pagamento delle spese di lite.
6. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente Fallimento, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente Fallimento.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza