Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6530 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6530 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3500/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’Amministratore Unico, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4588/2021 depositata il 23/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 2012, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio NOME COGNOME, unitamente alla figlia NOME COGNOME, al fine di sentir dichiarare nullo e/o inefficace nei suoi confronti l’atto di donazione con cui la COGNOME donava alla figlia la nuda proprietà, riservandosene l’usufrutto, di un immobile sito in Frosinone.
Il Tribunale di Frosinone, con sentenza n. 199/2014, respingeva la domanda ritenendo che l’atto di donazione fosse anteriore alle ragioni del credito da garantire. Spettava al creditore fornire la prova che l’atto era stato dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del proprio credito. Affermava il Tribunale che la società attrice non aveva né allegato circostanze specifiche né formulato capitoli (della domandata prova per interpello). Al contrario, la COGNOME deduceva che la determinazione di trasferire gratuitamente la nuda proprietà dell’immobile e del terreno era stata presa nel gennaio 2011, unitamente al coniuge separato, per assicurare che la casa coniugale restasse alla figlia. Pertanto, rigettava la domanda per mancanza di prova.
Avverso tale pronuncia, interponeva gravame la RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4588/2021 del 23 giugno 2021, ha confermato la sentenza impugnata.
Propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi articolati in più censure, la RAGIONE_SOCIALE
3.1. NOME COGNOME resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente osservato che l’atto denominato ‘memoria illustrativa’ depositato dalla controricorrente non può considerarsi tale in difetto dei requisiti di legge.
4.1. Con il primo motivo, articolato in due censure, la RAGIONE_SOCIALE ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2476 c.c. e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame di atti di mala gestio della COGNOME, compiuti a partire dal 2007 e fino al 2011 (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti inteso anche come esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile.
Si duole che la c orte d’appello abbia erroneamente ritenuto che il credito del ricorrente sia sorto solo nel luglio 2011, quando invece, per relationem (e precisamente dall’atto di citazione del giudizio per responsabilità gestoria promosso contro la stessa COGNOME) avrebbe dovuto dedurre che i fatti risalivano al 2007, e quindi anteriori alla donazione del gennaio 2011.
4.2. Con il secondo motivo, del pari articolato in due censure, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901, n. 2, c.c. e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, non avendo la Corte territoriale considerato che la COGNOME era amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE e quindi conosceva i movimenti bancari e che,
sin dal 2010, non avrebbe adempiuto all’obbligo formativo quale delegata alla attività assicurativa (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.).
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per la loro connessione, sono inammissibili.
La denunciata violazione e falsa applicazione di legge della prima parte dei motivi non rispetta il principio di specificità sancito dall’art. 366, comma 6, c.p.c., perché si sostanzia in una mera elencazione di norme nella epigrafe del motivo, senza che poi, nel corpo del ricorso, ne sia esaminato il contenuto precettivo e senza che vi sia un motivato confronto con le statuizioni della sentenza che confliggerebbero con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. Il sindacato di legittimità sulla motivazione, difatti, non ricomprende l’individuazione della norma violata o delle affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata che si porrebbero in contrasto con esse, per cui, in mancanza di assolvimento di tali oneri da parte di parte ricorrente, non è consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento delle denunziate violazioni (Cass. n. 31095/2023; Cass. n. 30774/2023; Cass. n. 30564/2023; Cass. n. 30510/2023; principio affermato da Cass. civ., SS. UU., 28/10/2020, n. 23745).
De pari inammissibili ai sensi dell’art. 348 ter sono le censure articolate nella seconda parte dei motivi ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., perché le statuizioni di merito sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo, per cui, nel caso, certamente ricorre un’ipotesi di c.d. doppia conforme (v., da ultimo, Cass. n. 27196/2023; Cass. n. 22497/2023; Cass. n. 22261/2023; Cass. n. 21682/2023).
Deve ulteriormente porsi in rilievo che le censure sollevate mirano esclusivamente a sollecitare una ricostruzione della vicenda eun
apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. Come costantemente affermato da questa Corte, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 31032/2023; Cass. n. 30462/2023; Cass. n. 29972/2023; Cass. n. 23351/2023; Cass. n. 22540/2023).
Nella specie la corte d ‘ appello ha valutato le allegazioni e le prove offerte dalle parti, ricostruendo i fatti alla base della domanda revocatoria proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, avuto riguardo al momento in cui è stato compiuto l’atto dispositivo della COGNOME e a quello, successivo, in cui è sorto il preteso credito. Nella sua motivazione, infatti, ha esplicitamente ritenuto corrette e fatto proprie le ragioni indicate dal primo giudice, argomentando tale sua decisione in modo coerente, logico e non contraddittorio (v. pp. 5-6 sentenza impugnata n. 4588/2021).
Non può infine sottacersi che i motivi di ricorso sono inammissibili anche per violazione dell’art. 360 bis , comma 1, n. 1, c.p.c.
Parte ricorrente non ha provato che la Corte d’appello abbia deciso la questione di diritto sull’ammissibilità dell’ampliamento della domanda revocatoria ordinaria in appello, in relazione al momento di insorgenza del credito, in modo difforme alla giurisprudenza della Suprema Corte. Invero, è principio del tutto consolidato quello secondo cui, ‘proposta una azione revocatoria ordinaria, fondata
sull’assunto che il debitore abbia compiuto l’atto dispositivo prima del sorgere del debito, costituisce inammissibile mutamento della domanda la deduzione, in corso di causa, che l’atto dispositivo sia stato compiuto dopo il sorgere del debito, perché ne discenderebbe l’allargamento del thema decidendum ‘ (Cass., n. 30627/2018; Cass. n. 18944/2019).
La sentenza impugnata si è attenuta a tale principio nell’affermare la tardività della specificazione dei fatti compiuta dalla RAGIONE_SOCIALE solo in appello relativamente all’insorgenza del credito nel 2007, anziché nel luglio 2011. Nel far ciò, ha reso una motivazione adeguata, logica e coerente, avuto riguardo all’inammissibile ampliamento della domanda revocatoria rispetto a quella formulata in primo grado.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la RAGIONE_SOCIALE ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione in data 22 novembre 2023.
Il Presidente NOME COGNOME