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Azione revocatoria: prova della consapevolezza del terzo

In tema di azione revocatoria, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un creditore, confermando che spetta a quest’ultimo l’onere di provare in modo rigoroso la consapevolezza (scientia damni) del terzo acquirente riguardo al pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie. La Corte ha ribadito che il giudice del rinvio deve compiere una valutazione autonoma e completa delle prove, non potendosi basare su semplici presunzioni o sulla vicinanza tra le parti.

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Azione Revocatoria: La Prova della Consapevolezza del Terzo è a Carico del Creditore

L’azione revocatoria è uno degli strumenti più importanti a tutela del creditore. Tuttavia, il suo successo dipende da un onere probatorio rigoroso, specialmente per quanto riguarda la dimostrazione della consapevolezza del terzo acquirente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce questi principi, offrendo chiarimenti fondamentali sul ruolo del giudice del rinvio e sulla valutazione delle prove in un caso di presunta frode ai danni dei creditori.

I Fatti di Causa

Un soggetto, in qualità di fideiussore per un debito di circa 500 milioni di lire, si trovava a garantire le obbligazioni di un debitore in difficoltà finanziarie. Quest’ultimo, poco dopo la costituzione della garanzia, vendeva alcune unità immobiliari a due acquirenti per un prezzo di 90 milioni di lire, dichiarato già incassato. Il fideiussore, temendo che la vendita fosse un atto finalizzato a sottrarre beni alla sua garanzia, nel 1998 avviava un’azione revocatoria dinanzi al Tribunale. Sosteneva che la vendita fosse fraudolenta, data la vicinanza temporale con la fideiussione e la presunta conoscenza, da parte delle acquirenti, della precaria situazione economica del venditore.

Il percorso giudiziario è stato lungo e complesso:
1. Primo Grado (2006): Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo non provato né il pregiudizio per il creditore né la consapevolezza della frode da parte delle acquirenti.
2. Primo Appello (2014): La Corte d’Appello riformava la decisione, dichiarando inefficace l’atto di vendita.
3. Prima Cassazione (2017): La Suprema Corte annullava con rinvio la sentenza d’appello, giudicando la motivazione apparente e priva di un adeguato supporto probatorio.
4. Giudizio di Rinvio: La Corte d’Appello, riesaminando il caso, rigettava nuovamente la domanda del fideiussore, confermando la decisione di primo grado per difetto di prova sulla consapevolezza delle acquirenti.

È contro quest’ultima decisione che il fideiussore ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e l’Azione Revocatoria

Il ricorrente basava il suo ricorso su due motivi principali:

Violazione delle Norme sul Giudizio di Rinvio

Si contestava alla Corte d’Appello di non aver svolto un nuovo e autonomo esame del merito, come richiesto dopo una cassazione con rinvio, ma di essersi limitata a confermare acriticamente la sentenza di primo grado.

Errata Valutazione delle Prove

Il secondo motivo denunciava un errore nella valutazione delle prove e delle presunzioni. Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto considerare la residenza comune delle parti nello stesso piccolo centro come un elemento che rendeva nota la situazione debitoria del venditore. Inoltre, si criticava il rigetto delle deposizioni testimoniali e la mancata considerazione delle relazioni tra le parti coinvolte.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto entrambi i motivi infondati, rigettando il ricorso. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi chiari.

In primo luogo, la Corte ha stabilito che il giudice del rinvio aveva correttamente adempiuto al suo dovere. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’Appello non si è limitata a una mera conferma, ma ha compiuto un “vero e proprio giudizio rescissorio”, esaminando autonomamente il gravame e motivando in modo adeguato il rigetto della domanda di azione revocatoria. Il giudice ha riesaminato nel dettaglio tutte le prove, incluse le deposizioni testimoniali, concludendo che non vi era alcuna prova concreta della scientia damni (la consapevolezza del danno) in capo alle acquirenti. La Corte ha sottolineato che la decisione del giudice del rinvio è stata condotta nel rispetto del principio di diritto fissato dalla precedente sentenza di Cassazione, ovvero attraverso una completa ed effettiva valutazione del materiale istruttorio.

In secondo luogo, riguardo alla valutazione delle prove, la Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello “sufficientemente effettiva, risoluta e coerente”. Il semplice fatto che le parti risiedessero nello stesso comune o che esistessero rapporti commerciali non è stato considerato sufficiente a dimostrare che nel 1993 le acquirenti fossero consapevoli del pregiudizio che la vendita avrebbe arrecato al creditore. La Corte ha specificato che per provare la scientia damni sono necessarie prove specifiche e non mere affermazioni assertive o presunzioni generiche.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di azione revocatoria: l’onere della prova grava interamente sul creditore che agisce in giudizio. Non è sufficiente allegare circostanze generiche, come la conoscenza tra le parti o la loro vicinanza geografica, per dimostrare la consapevolezza del terzo acquirente. È necessario fornire prove concrete, specifiche e univoche che attestino che il terzo fosse effettivamente a conoscenza del pregiudizio che l’atto di disposizione avrebbe causato alle ragioni creditorie. Questa pronuncia ribadisce il rigore necessario nella valutazione probatoria e conferma che, in assenza di prove solide, la tutela dell’affidamento del terzo acquirente prevale.

Cosa deve fare il giudice del rinvio dopo una sentenza di cassazione?
Il giudice del rinvio deve compiere un nuovo e autonomo esame del caso (giudizio rescissorio), valutando tutte le risultanze probatorie senza limitarsi a confermare acriticamente la precedente decisione di primo grado.

In un’azione revocatoria, chi ha l’onere di provare la consapevolezza del terzo acquirente?
L’onere di provare che il terzo acquirente era consapevole del pregiudizio arrecato al creditore (scientia damni) spetta interamente al creditore che ha promosso l’azione revocatoria.

La residenza delle parti nello stesso comune è prova sufficiente della consapevolezza della frode?
No. Secondo la Corte, elementi come la residenza nello stesso comune o l’esistenza di rapporti commerciali tra le parti non sono, di per sé, sufficienti a dimostrare la consapevolezza del terzo. È richiesta una prova specifica e una valutazione completa del materiale istruttorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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