Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10113 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10113 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27190/2020 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME , difeso dagli avvocati COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME difesi dagli avvocati NOMECOGNOME NOME
-controricorrenti- nonché
COGNOME NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1037/2019 depositata il 13/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME era fideiussore di NOME COGNOME per l’importo di 500 milioni di lire a garanzia di obbligazioni assunte da quest’ultimo nei confronti d i una Banca locale. Egli garantiva anche, come cofideiussore, debiti della RAGIONE_SOCIALE verso la Banca Nazionale del Lavoro, il Monte dei Paschi di Siena e altri istituti. COGNOME non adempiva alle proprie obbligazioni e subiva pignoramenti immobiliari su un fabbricato, valutato circa 500 milioni di lire. Nel maggio del 1993 COGNOME vendeva a NOME e NOME COGNOME con atto notarile, alcune unità immobiliari a Penne, per un prezzo di 90 milioni di lire, che egli affermava di avere già ricevuto integralmente. Nel 1998 COGNOME conveniva le COGNOME e COGNOME dinanzi al Tribunale di Pescara in un’azione revocatoria, sostenendo che la vendita aveva avuto il solo scopo di sottrarre il bene alla garanzia fideiussoria. A tal fine, allegava che il trasferimento era avvenuto poco dopo la costituzione della fideiussione, che le acquirenti conoscevano la precaria situazione economica del venditore e che il pagamento del prezzo non era avvenuto. NOME non si costituiva ed era dichiarato contumace. Nel 2006 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo non provato il pregiudizio subito dal creditore e la conoscenza della frode da parte delle acquirenti. Nel 2014 la Corte di appello riforma, dichiarando inefficace l’atto di vendita. Cass. 29331/2017 cassa con rinvio, rilevando che la motivazione della decisione impugnata era apparente e priva di supporto probatorio sulle condizioni economiche del venditore e sulla conoscenza del pregiudizio da parte delle acquirenti.
Nel giudizio di rinvio, COGNOME insiste sulla revocatoria, richiamando prove testimoniali e documentali. La Corte di appello ha rigettato la domanda, confermando la decisione di primo grado, accertando il difetto di prova che le acquirenti fossero consapevoli della frode.
Ricorre in cassazione l’attore in revocatoria con due motivi. Resiste la parte convenuta con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 336, 392 e 393, 342, 345 c.p.c., per avere la Corte di appello confermato la sentenza di primo grado senza procedere a un nuovo esame del gravame. Si afferma che, in seguito alla cassazione con rinvio, il giudice del rinvio avrebbe dovuto statuire in modo autonomo, senza rimettersi acriticamente alla precedente decisione del Tribunale. Si ribadisce che il giudice del rinvio deve compiere un nuovo giudizio rescissorio, non limitandosi a una mera conferma della sentenza cassata. Si contesta che la Corte di appello abbia omesso di valutare autonomamente le risultanze probatorie.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. e 2729 c.c., per avere la Corte di appello errato nella valutazione delle risultanze istruttorie e delle presunzioni. Si censura il fatto che la sentenza impugnata abbia introdotto elementi estranei al giudizio, facendo riferimento a fonti non attendibili come Wikipedia per affermare che Penne non fosse un piccolo centro. Si sostiene che la Corte avrebbe dovuto considerare che i certificati di residenza delle parti dimostravano la loro stabile presenza a Penne, rendendo notoria la situazione debitoria del venditore. Si contesta che la Corte abbia ritenuto inidonee le deposizioni testimoniali e che non abbia valutato adeguatamente le relazioni tra le parti.
-I due motivi di ricorso possono essere esaminati contestualmente.
Essi sono infondati
Quanto al primo motivo, contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, la Corte di appello ha compiuto un vero e proprio giudizio rescissorio esaminando in modo autonomo il gravame e motivando adeguatamente il rigetto della domanda di revocatoria, attraverso il rigetto dell’appello. Quanto alla scientia damni, la Corte rileva che non vi è prova della consapevolezza in
capo alle acquirenti del pregiudizio arrecato al creditore mediante l’atto di disposizione. La Corte riesamina nel dettaglio tutte le deposizioni testimoniali invocate dall’attore . Inoltre, la Corte sottolinea che, se davvero le acquirenti fossero state intime del venditore, la trattativa non si sarebbe svolta tramite agenzia. Altri elementi vengono ritenuti irrilevanti o comunque privi di valore indiziario sufficiente. La Corte esamina anche le allegazioni contenute nella comparsa di costituzione del 1998, osservando che, pur evocando rapporti commerciali tra i soggetti coinvolti, esse non valgono a provare che nel 1993 le acquirenti fossero consapevoli del danno. La decisione è fondata sul rispetto del principio stabilito da Cass. 29331/2017, in quanto condotta attraverso una completa ed effettiva valutazione del materiale istruttorio, volta a verificare l’esistenza della scientia damni con indicazione specifica delle fonti di prova e con esclusione di affermazioni meramente assertive.
Quanto al secondo motivo di ricorso, esso è infondato, poiché la motivazione è sufficientemente effettiva, risoluta e coerente, come si è considerato nel capoverso precedente. Il giudice di appello ha riesaminato adeguatamente le risultanze probatorie e ha motivato congruamente il rigetto della domanda.
– La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 01/04/2025.