Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17509 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17509 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8726/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-ricorrente –
contro
COGNOME, COGNOME, COGNOME nella qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-controricorrenti –
e nei confronti di
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME COGNOME domicilio digitale come per legge
-controricorrente –
e nei confronti di
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-controricorrente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Bari n. 1610/2022, pubblicata in data 8 novembre 2022, come successivamente modificata a seguito di procedura di correzione di errore materiale con ordinanze del 3 e del 10 febbraio 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1610/2022 pronunciata dalla Corte d’appello il 10 febbraio 2023, che ha rigettato l’appello dallo stesso proposto avverso la sentenza del Tribunale di Trani n. 1534/2018, pubblicata il 12 luglio 2018.
1.1. Riferisce, in punto di fatto, che:
con atto di citazione notificato il 28 maggio 2014, NOME COGNOME assumendo di essere creditore verso NOME COGNOME e NOME COGNOME lo aveva convenuto in giudizio, quale terzo acquirente, per far dichiarare l’inefficacia, a norma dell’art. 2901 cod. civ., dell’atto di compravendita stipulato in data 27 giugno 2012, con
il quale i primi due convenuti gli avevano venduto il fondo rustico, già promesso in vendita all’attore con precedente contratto preliminare al prezzo di euro 175.000,00, con contestuale versamento, a titolo di acconto, della somma di euro 20.000,00;
con autonomo atto di citazione notificato il 22 ottobre 2014, NOME COGNOME deducendo a sua volta di essere creditrice nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME li aveva evocati in giudizio unitamente al terzo acquirente, per sentire dichiarare, nei suoi confronti, l’inefficacia ex art. 2901 cod. civ. del medesimo contratto di compravendita del 27 giugno 2012.
1.2. A ll’esito della costituzione, in entrambi i giudizi, di NOME COGNOME il quale chiedeva che venisse accertata la simulazione del contratto di vendita e la responsabilità del fratello NOME COGNOME che lo aveva circuito inducendolo a stipulare un altro preliminare con NOME COGNOME, il Tribunale, disposta la riunione dei due giudizi, accoglieva la domanda revocatoria avanzata dai creditori, dichiarando assorbite le altre domande.
1.3. NOME COGNOME ha proposto gravame e la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado.
In particolare, la Corte territoriale ha disatteso la doglianza con cui era stata dedotta l’insussistenza dell’ eventus damni , in ragione della eccepita residua capacità degli altri beni di proprietà dei due venditori a soddisfare le ragioni creditorie, ritenendo non adeguatamente supportata, sotto il profilo probatorio, la asserita rilevanza economica degli altri cespiti ed ha reputato integrati gli altri presupposti richiesti per l’esercizio dell’azione.
NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME resistono con controricorso.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con autonomi
contro
ricorsi.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Il ricorrente e i controricorrenti NOME, NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME hanno depositato rispettiva memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia ‹‹ Violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza ›› e lamenta che la motivazione della decisione gravata sarebbe meramente apparente sia nella parte in cui ha rigettato il primo motivo di appello, con il quale era stata richiesta la riforma della sentenza di primo grado in punto di capienza del patrimonio dei debitori, sia nella parte in cui ha rigettato il secondo motivo di gravame con cui si contestava la sussistenza del requisito soggettivo. Sostiene che i giudici d ‘appello non spiegano perché gli altri beni dei debitori non sarebbero sufficienti a garantire le pretese dei creditori e che una eventuale consulenza tecnica d’ufficio avrebbe consentito di accertare l’effettivo valore del residuo patrimonio; aggiunge , con specifico riferimento al requisito soggettivo, che la sentenza, dopo avere accennato alla rilevanza probatoria della contumacia di NOME COGNOME ed alla posizione difensiva di NOME COGNOME null’altro precisa per spiegare l’iter logico seguito per valorizzare come rilevanti detti elementi.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. È noto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando, pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base
della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico che ha condotto il giudice all’accoglimento o al rigetto della domanda. È stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., sez. U, 03/11/2016, n. 22232), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., sez. 6 -5, 07/04/2017, n. 9105) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuare il ragionamento e di riconoscerlo come giustificazione del decisum .
È stato altresì specificato che il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto per pervenire al proprio convincimento, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva (Cass., sez. 3, 08/10/2021, n. 27411).
1.3. Il vizio radicale di motivazione apparente sopra illustrato non si riscontra nella motivazione della impugnata sentenza. Invero, sia in relazione al presupposto dell’ eventus damni, sia con riguardo all’elemento soggettivo l e argomentazioni che sorreggono la decisione sono obiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito
dal giudice d’appello, di guisa che risultano elusi i doveri motivazionali, ponendosi la motivazione sicuramente al di sopra del cd. ‹‹ minimo costituzionale ›› .
Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2697 cod. civ., nonché dell’art. 116 cod. proc. civ. , il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto che la prova della variazione qualitativa dei cespiti potesse essere tratta da mere ‘argomentazioni ‘ di uno dei debitori e che, in violazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova, non abbia verificato se l’atto dispositivo avesse causato maggiore difficoltà od incertezza nel recupero coattivo del credito. N ell’atto di appello aveva ben evidenziato che il patrimonio dei debitori era cospicuo, cosicché non poteva ritenersi compromessa la soddisfazione delle ragioni creditorie e, soprattutto, il giudice d’appello non avrebbe potuto ritenere assolto l’onere probatorio da parte dei creditori sulla base delle sole dichiarazioni del debitore NOME COGNOME il quale aveva assunto un atteggiamento ostile nei suoi confronti.
2.1. La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.
2.2. Anzitutto non è ravvisabile violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; Cass., sez. 6 – 3, 31/08/2020, n. 18092).
La Corte d’appello ha compiuto una corretta ripartizione dell’onere della prova, facendo gravare sul creditore l’onere di dimostrare le
modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale e sul debitore quello di dimostrare la idoneità del patrimonio residuo a soddisfare le ragioni del creditore (Cass., sez. 3, 23/10/2018, n. 26769; Cass., sez. 6 -3, 18/06/2019, n. 16221); ne segue che la doglianza è finalizzata a muovere critiche alla valutazione che il giudice ha svolto delle prove proposte.
2.3. Anche s otto l’apparente deduzione degli altri vizi di violazione di legge (art. 2901 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.), il ricorrente inammissibilmente sollecita a questa Corte un riesame del merito della controversia, precluso in sede di legittimità, considerato che il giudice d’appello ha ritenuto offerta la prova dell’ eventus damni , non discostandosi dal principio per cui, in tema di azione revocatoria ordinaria, l’accertamento di tale requisito non presuppone una valutazione del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede solo la dimostrazione da parte di quest’ultimo della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore (tra le tante, Cass., sez. 3, 29/09/2021, n. 26310). Tale onere è stato ritenuto assolto dalla Corte barese, la quale, a tal fine, non si è soffermata a prendere in esame le sole dichiarazioni rese da NOME COGNOME, ma ha pure adeguatamente valutato che il valore dei fondi oggetto dei due contratti preliminari esprimeva una rilevante consistenza patrimoniale, non raffrontabile con quella dei residui cespiti, ed ha, di conseguenza, ritenuto che l’atto dispositivo impugnato, determinando una variazione qualitativa dei beni idonei ad avallare la garanzia patrimoniale dei due debitori, avesse una diretta incidenza sulla effettiva possibilità di soddisfacimento del credito complessivamente vantato dal Rutigliano e dalla COGNOME; le doglianze anche in questa sede reiterate sono, nella sostanza, finalizzate a rimettere in discussione, contrapponendone uno
difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, pretesa questa non consentita, essendo l’apprezzamento dei fatti e delle prove sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., sez. 5, 22/11/2023, n. 32505).
Peraltro, la censura con la quale si prospetta la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. non è stata dedotta nei termini precisati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20867 del 2020.
Con il terzo motivo, deducendo la violazione degli artt. 2901, 2727 e 2729, 2697 cod. civ., il ricorrente lamenta che la Corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione delle disposizioni normative evocate laddove ha ritenuto sussistente l’ elemento soggettivo. Ribadisce che i debitori ben sapevano che gli altri beni immobili di proprietà erano aggredibili facilmente dai creditori e che i giudici di merito avrebbero desunto l’elemento soggettivo dalla conoscenza dell’esistenza del credito , anziché dalla consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori con l’atto dispositivo. Lamenta pure che, nel valutare le presunzioni, la Corte d’appello non si sarebbe avveduta che i vari elementi indiziari, emers i dall’istruttoria, contrastavano tra loro e non consentivano di ritenere raggiunta la prova assunta in sentenza.
3.1. La censura è inammissibile sotto tutti i profili dedotti.
3.2. In tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione
per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (tra le tante, Cass., sez. 6 – 3, 18/06/2019, n. 16221).
Questa Corte ha ancora di recente ribadito che, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., il giudice è tenuto ad ammettere solo presunzioni «gravi, precise e concordanti» e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi (così, Cass., sez. 2, 21/03/2022, n. 9054). Resta fermo, naturalmente, che ‹‹ quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta ›› (così, da ultimo, in motivazione, Cass., sez. 2, n. 9054 del 2022, cit.; nello stesso senso già Cass., sez. 3, 19/08/2007, n. 17457, non massimata sul punto; Cass., sez. 3, 26/06/2008, n. 17535; Cass., sez. 6 – 5,
05/06/2017, n. 10973; Cass., sez. 3, 04/08/2017, n. 19485; Cass., sez. U, 24/01/2018, n. 1785, non massimata sul punto).
Tuttavia, la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone ‹‹ un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito -assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato -risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza ›› (così, nuovamente, Cass., n. 9054 del 2022, cit.). All’opposto, ‹‹ la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma , c.c.›› (ancora una volta, Cass., n. 9054 del 2022, cit.; Cass., sez. L, 30/06/2021, n. 18611).
Nella specie, le censure, che si incentrano su questioni meramente fattuali, si risolvono nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, se non addirittura nella deduzione che certe circostanze “avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo’ ; ne segue che esse non sfuggono alla sanzione dell’inammissibilità .
Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per
‹‹ violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 c.c. e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. ››
Il ricorrente attinge la sentenza impugnata laddove afferma, alle pagine 14 -15 e 16, che il terzo acquirente non aveva legittimazione a eccepire l’insussistenza dei presupposti della revocatoria ; sostiene, al contrario, che oltre ad essere legittimato passivo, era pure interessato a contraddire la domanda revocatoria.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, in quanto il giudice d’appello non ha posto a fondamento della decisione, pur avendovi fatto riferimento, il difetto di legittimazione del terzo acquirente a sollevare l’eccezione di capienza del patrimonio residuo dei debitori venditori ed a contestare gli ulteriori presupposti dell’ actio pauliana, cosicché la doglianza non può comunque condurre alla cassazione della sentenza.
All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.
Il ricorrente va altresì condannato al pagamento di somma, liquidata come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, ex art. 96, 3° co., cod. proc. civ., ricorrendone i presupposti di legge (Cass., sez. U, 28/10/2022, n. 32001).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento: a) delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge nonché della somma di euro 7.000,00 ex art. 96, terzo comma, c.p.c. in favore dei controricorrenti NOME NOME, NOME e NOME COGNOME; b) delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
euro 6.000,00 per onorari, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge nonché della somma di 6.000,00 euro , ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. in favore del controricorrente NOME COGNOME; c) delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di 6.000,00 euro ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., in favore del controricorrente NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio del merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione