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Azione revocatoria: profitto non salva dalla revoca

La Corte di Cassazione ha confermato la revoca della vendita di un ramo d’azienda, anche in presenza di un bilancio in utile per la società venditrice. La decisione si fonda sul principio che il danno per i creditori (eventus damni) può essere anche solo qualitativo, come la sostituzione di beni aziendali con denaro liquido, più difficile da aggredire. Inoltre, la consapevolezza della frode è stata desunta dai legami di parentela tra le parti, elemento cruciale nell’ambito dell’azione revocatoria.

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Azione Revocatoria: Utile di Bilancio Non Salva la Cessione d’Azienda

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce principi fondamentali in materia di azione revocatoria, chiarendo che un utile di bilancio non è sufficiente a scongiurare il pregiudizio per i creditori. Il caso analizzato riguarda la cessione di un ramo d’azienda tra due società, operazione che i giudici hanno ritenuto lesiva della garanzia patrimoniale, nonostante la società cedente avesse chiuso l’esercizio con un risultato formalmente positivo.

I Fatti del Caso: Una Cessione d’Azienda Sospetta

Una società, successivamente dichiarata fallita, cedeva un proprio ramo d’azienda a un’altra impresa. La curatela fallimentare agiva in giudizio con un’azione revocatoria per far dichiarare inefficace tale atto di disposizione, sostenendo che avesse pregiudicato le ragioni dei creditori. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda, evidenziando la sussistenza di tutti i presupposti per la revoca: l’esistenza di un debito, il danno per i creditori (eventus damni), la consapevolezza del debitore di ledere la garanzia patrimoniale (scientia damni) e la partecipazione fraudolenta del terzo acquirente (participatio fraudis). La società acquirente proponeva quindi ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, che la cedente, al momento dell’operazione, vantava un cospicuo utile d’esercizio e che, pertanto, non sussisteva alcun rischio per i creditori.

La Decisione della Corte: l’Azione Revocatoria è Fondata

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni capisaldi dell’azione revocatoria, fornendo chiarimenti cruciali sulla valutazione del pregiudizio e sulla prova della consapevolezza delle parti.

L’Eventus Damni: Il Danno Qualitativo Prevale sul Profitto Contabile

Il punto centrale della difesa della società ricorrente era l’assenza di un eventus damni, basata sull’utile di bilancio di oltre 500.000 euro registrato dalla società cedente nell’anno della cessione. La Cassazione ha smontato questa tesi, spiegando la fondamentale differenza tra utile economico e liquidità finanziaria. Un’impresa può chiudere un bilancio in attivo ma essere priva della liquidità necessaria per far fronte ai propri debiti. L’utile, infatti, rappresenta la differenza tra ricavi e costi, non l’effettivo incasso di denaro.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che il danno per i creditori non deve essere necessariamente quantitativo (una diminuzione del valore del patrimonio), ma può essere anche qualitativo. Nel caso di specie, la cessione del ramo d’azienda aveva sostituito beni facilmente individuabili e aggredibili (come attrezzature e avviamento) con denaro, un bene per sua natura “agevolmente distraibile”. Questa trasformazione qualitativa del patrimonio ha reso più difficile e incerto il soddisfacimento dei creditori, integrando così il requisito dell’eventus damni, a prescindere dal corrispettivo pagato.

Scientia Damni e Participatio Fraudis nell’Azione Revocatoria

Anche per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la Corte ha confermato la correttezza della decisione d’Appello. La scientia damni (la consapevolezza del debitore) è stata logicamente desunta dall’ingente passivo maturato prima della cessione (oltre 366.000 euro), un dato che rendeva inverosimile l’ignoranza del pregiudizio arrecato ai creditori.

Per quanto riguarda la participatio fraudis (la consapevolezza del terzo acquirente), i giudici hanno dato rilievo al rapporto di parentela tra le amministratrici delle due società (sorelle). Secondo la Corte, un legame così stretto costituisce una presunzione grave, precisa e concordante che rende estremamente inverosimile che l’acquirente non fosse a conoscenza della difficile situazione debitoria della cedente.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si sono concentrate sulla corretta interpretazione dei presupposti dell’azione revocatoria. In primo luogo, i giudici hanno chiarito che la prova dell’assenza di pregiudizio per i creditori non può basarsi sul mero dato contabile dell’utile d’esercizio. La valutazione deve essere concreta e incentrata sulla capacità effettiva del patrimonio residuo di soddisfare le pretese creditorie. La Corte ha quindi affermato il principio secondo cui la conversione di un patrimonio da beni immobili o aziendali a denaro liquido integra di per sé un mutamento qualitativo peggiorativo della garanzia patrimoniale, poiché il denaro è più facile da occultare. In secondo luogo, la Corte ha ribadito che l’elemento soggettivo della consapevolezza, sia del debitore che del terzo, può essere provato anche tramite presunzioni semplici. Nel caso specifico, l’elevato indebitamento preesistente e lo stretto legame familiare tra le parti sono stati considerati elementi sufficienti a fondare la prova della comune intenzione di frodare i creditori. Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo alla decadenza dell’azione, poiché sollevato per la prima volta in sede di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che nelle operazioni di cessione aziendale è fondamentale analizzare non solo i dati di bilancio, ma anche e soprattutto la situazione di liquidità e l’effettiva capacità di far fronte all’indebitamento. Un’azienda con un utile elevato ma senza cassa è un’azienda a rischio. In secondo luogo, la decisione mette in guardia sulle operazioni tra parti correlate: in un contesto di difficoltà finanziaria, i legami familiari o societari possono facilmente essere interpretati dal giudice come indizio di un accordo fraudolento ai danni dei creditori. L’azione revocatoria si conferma quindi uno strumento di tutela potente per i creditori, capace di andare oltre le apparenze contabili per colpire la sostanza degli atti dispositivi lesivi.

Un’azienda con un bilancio in utile può subire un’azione revocatoria per la vendita di un ramo d’azienda?
Sì. La Corte di Cassazione chiarisce che l’utile di bilancio non equivale a liquidità. Un’operazione può essere revocata se, pur in presenza di un utile contabile, pregiudica la garanzia dei creditori, ad esempio sostituendo beni aziendali facilmente aggredibili con denaro liquido, più semplice da occultare.

In un’azione revocatoria, come si valuta il danno ai creditori (eventus damni)?
Il danno può essere non solo quantitativo (diminuzione del valore del patrimonio) ma anche qualitativo. Si ha un danno qualitativo quando l’atto di disposizione, pur avvenendo a un prezzo congruo, rende più difficile o incerto per i creditori soddisfare le proprie ragioni, come nel caso della sostituzione di un bene immobile o di un’azienda con una somma di denaro.

Un legame di parentela tra venditore e acquirente è sufficiente a provare la consapevolezza della frode (participatio fraudis)?
Da solo potrebbe non essere sufficiente, ma secondo la giurisprudenza costante costituisce una presunzione forte e qualificata. Se unito ad altri elementi (come l’esistenza di ingenti debiti), un vincolo familiare stretto può rendere “estremamente inverosimile” che l’acquirente non fosse a conoscenza della situazione debitoria del venditore, integrando così la prova della sua consapevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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