Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17477 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17477 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
Siffatta motivazione si sottrae anche al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., muovendosi la censura al di fuori del paradigma dettato dalla citata norma, come modificata dall’art.
54, comma 1, lett. b) , d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
Con il secondo motivo del ricorso principale ed il quarto motivo del ricorso incidentale, di identico contenuto, le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2903 cod. civ. e la sola ricorrente incidentale anche ‹‹ motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia ›› ; lamentano che tanto se si ha riguardo alla data di stipulazione e sottoscrizione dell’atto dispositivo (11 aprile 2005), quanto alla data di trascrizione dello stesso atto (19 aprile 2005), la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il quinquennio prescrizionale previsto dalla norma richiamata risulterebbe comunque rispettato alla data di ricezione del plico in notifica (21 aprile 2010).
3.1. La censura è infondata.
3.2. La disamina della doglianza impone di individuare il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione e di accertare anche il momento interruttivo dello stesso.
In relazione alla prima questione, soccorre il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale il termine prescrizionale decorre dalla data di trascrizione dell’atto dispositivo, e non dalla data di stipulazione dell’atto stesso, dovendo la disposizione dell’art. 2903 cod. civ. essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell’art. 2935 cod. civ., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può essere fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo (Cass., sez. 3, 09/02/2023, n. 4049; Cass., sez. 3, 13/09/2019, n. 22858; Cass., sez. 3, 15/05/2018, n. 11758; Cass., sez. 3, 24/03/2016, n. 5889).
Con riferimento al momento interruttivo, occorre muovere dal
presupposto che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di chiarire, con riguardo alla revocatoria fallimentare ex art. 67 legge fallimentare (v. Cass., sez. 1, 05/09/1996, n. 8086; Cass., sez. 1, 08/01/2003, n. 58; Cass., sez. 1, 25/10/2007, n. 22366; Cass., sez. 1, 06/08/2010, n. 18438) e all’azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ. (Cass., sez. 6 -3, 09/09/2022, n. 26543), che ad esse non è applicabile l’ipotesi di interruzione della prescrizione prevista dall’art. 2943, quarto comma, cod. civ., a seguito di atto di costituzione in mora del debitore, non potendosi configurare mora nei confronti di un diritto potestativo, quale è quello esercitato con detta azione, che ha natura costitutiva; l’interruzione del termine di prescrizione quinquennale è determinato esclusivamente dalla proposizione in giudizio della relativa domanda giudiziale (cfr. Cass, sez. 6 -3, 09/09/2022, n. 26543).
Poiché, in relazione all’azione revocatoria, deve reputarsi che ricorra un’ipotesi in cui il diritto alla declaratoria d’inefficacia del contratto non possa farsi valere se non con l’esercizio dell’azione in sede giudiziale, essendo esclusa la possibilità di un diverso esercizio del diritto, è sicuramente applicabile alla fattispecie il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite (Cass., sez. U, 09/12/2015, n. 24822), che ha esteso, con una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2943 cod. civ., la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario della notificazione agli effetti sostanziali degli atti processuali, ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale. Di conseguenza, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre, in ogni altra ipotesi, tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario.
In tal senso valga il richiamo ad altri precedenti di legittimità che,
sebbene riferiti all’azione di annullamento del contratto, hanno avuto modo di precisare che il diritto potestativo di annullamento del contratto può essere esercitato solo con l’azione giudiziale di annullamento del negozio, ma non è suscettibile di esercizio mediante un atto stragiudiziale di costituzione in mora, consistendo nella soggezione della controparte all’altrui impugnativa e non in un obbligo di prestazione cui la controparte deve adempiere (cfr. Cass., sez. 3, 08/01/2016, n. 121; Cass., sez. 2, 17/12/2010, n. 25648 con riferimento più ampio a tutti i diritti potestativi, quali sono quelli miranti alla pronuncia di inefficacia, di annullamento o di risoluzione di un atto ai quali corrisponde nella controparte una posizione di mera soggezione all’iniziativa; Cass., sez. 2, 27/04/2016, n. 8417).
La situazione corrispondente all’esercizio di un diritt o potestativo mirante ad una pronuncia di inefficacia del contratto, a fronte del quale la controparte versa in una condizione di mera soggezione, ricorre appunto anche nel caso di domanda revocatoria, sicché, in applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite nella pronuncia sopra richiamata, la regola della scissione degli effetti della notifica deve valere anche al diverso fine dell’interruzione della prescrizione.
Applicando i suddetti principi, deve ritenersi la tempestività dell’azione esercitata da Equitalia s.p.a., in quanto il termine quinquennale di prescrizione, decorrente dalla data del 19 aprile 2005, è stato interrotto al più tardi, come rilevato dalla Corte d’appello con argomentazioni che sfuggono al vizio di motivazione pure denunciato, il 14 aprile 2010, e non alla data del 21 aprile 2010 in cui l’atto di citazione è pervenuto al destinatario.
Con il terzo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale le ricorrenti censurano la decisione gravata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2901 cod. civ., nonché la sola ricorrente incidentale per ‹‹ motivazione omessa,
insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia ›› e contestano alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che il credito azionato con l’azione revocatoria fosse anteriore, e non successivo, alla stipula dell’atto dispositivo.
Sostengono che, al fine di valutare l’anteriorità o posteriorità del credito rispetto all’atto dispositivo, de ve farsi riferimento alla cd. ‘teoria costitutiva’ dell’avviso di accertamento, secondo la quale l’obbligazione tributaria non nasce nel momento di verificazione del presupposto previsto dalla norma, ma sorge in forza degli atti applicativi, e non si deve, invece, aderire, come ritenuto dai giudici d’appello, alla cd. ‘teoria dichiarativa’, che identifica il sorgere dell’obbligazione tributaria con il verificarsi del presupposto.
Con riguardo, poi, all’elemento soggettivo, deducono che il giudice d’appello non avrebbe fatto buon governo dell’art. 2729 cod. civ. , essendosi basato su ‘enunciazioni di criteri astratti e di generiche regole di esperienza’, anziché su presunzioni, seppure semplici, caratterizzate dai requisiti della precisione, gravità e concordanza.
La censura è infondata sotto tutti i profili denunciati.
Costituisce ius receptum che il credito tributario si determina con riferimento agli anni di imposta e non con riferimento al momento del successivo accertamento. Al verificarsi dei presupposti il contribuente è tenuto a liquidare l ‘ imposta dovuta, a corrisponderla all ‘ amministrazione finanziaria ed a comunicare l ‘ avvenuta corresponsione; l ‘ attività dell ‘ amministrazione è diretta al controllo della dichiarazione, ma l ‘ obbligazione tributaria nasce con il verificarsi dei relativi presupposti, sicché l ‘ attività dell ‘ amministrazione è da ritenersi strumentale rispetto all ‘ accertamento di un credito già sorto e non può essere considerata sotto il profilo genetico dell ‘ obbligazione. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione
dell ‘ orientamento di questa Corte, ribadito da Cass. 09/04/2019, n. 9798 e da Cass., sez. 3, 26/11/2019, n. 30737 e non sono state, dalle parti ricorrenti, svolte deduzioni difensive atte a mettere in discussione tale approdo.
La doglianza neppure coglie nel segno sotto l’altro profilo denunciato -presunta violazione dell’art. 2729 cod. civ. -in quanto la censura non è stata dedotta nei termini indicati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1785 del 2018. Invero, la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., sez. 2, 21/03/2022, n. 9054).
Né la motivazione risulta omessa o carente, poiché la Corte d’appello, con motivazione esaustiva e scevra da vizi logici, ha messo in rilievo gli elementi presuntivi dai quali ha desunto la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda, sottolineando, per un verso, che non poteva dubitarsi dell’esistenza dell’ eventus damni , avendo l’alienante ceduto l’intero patrimonio immobiliare verso corrispettivo in denaro, così da rendere più difficoltosa la realizzazione del credito dell’Amministrazione , come pure della sussistenza della consapevolezza, nel debitore e nel terzo, del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, stante non solo l’alienazione pressoché totale del patrimonio, ma anche l’esistenza di
stretti collegamenti personali tra i vertici della società venditrice e di quella acquirente.
5. Con il quarto motivo del ricorso principale e con il secondo motivo del ricorso incidentale, di identico contenuto, le ricorrenti de nunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1523 cod. civ., nonché la sola ricorrente incidentale anche per ‹‹ motivazione omessa, apparente, insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia ›› . Reiterano l’eccezione di esistenza di un patto di riservato dominio sui terreni di causa, precisando che: con atto di vendita con patto di riservato dominio del 27 dicembre 1991, la società RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato dalla Cassa per la formazione della proprietà contadina, ora Ismea, i terreni oggetto di causa; con atto di compravendita di terreno agricolo a scopo di formazione di proprietà diretta coltivatrice’ , in data 11 aprile 2005, la società RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE i predetti terreni, pattuendo che parte del prezzo venisse versato direttamente alla Ismea da Lara e altra parte direttamente alla società RAGIONE_SOCIALE quale saldo prezzo; il patto di riservato dominio a favore della Ismea esisteva al momento della notifica dell’atto di citazione per revocatoria, per cui l’atto dispositivo impugnato non era revocabile, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE non era proprietaria del terreno agricolo, ma ne aveva solo la diponibilità, non avendo ancora completato il pagamento rateizzato concordato con Ismea.
La censura è inammissibile, in quanto si limita a reiterare le medesime doglianze già svolte con l’atto d’appello senza confrontarsi con la ratio della decisione, la quale, da un lato, ha rilevato la genericità del motivo di gravame e, dall’altro, sottolinea to -con motivazione sintetica, ma esaustiva che si sottrae al vizio di motivazione apparente, configurabile nei soli termini precisati dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 –
l’infondatezza della tesi difensiva dell’appellante, alla stregua d elle circostanze dalla stessa evidenziate, puntualmente richiamate a pag. 7 della motivazione della sentenza qui impugnata.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla SRAGIONE_SOCIALE di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (tra le tante, Cass., sez. 3, 26/07/2024, n. 20870); tale onere non risulta assolto dalle ricorrenti.
Peraltro, va ribadito che, ai fini dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 cod. civ., la vendita di un immobile con patto di riservato dominio comporta sempre un depauperamento del patrimonio del debitore, sia nel caso in cui il compratore diviene proprietario delle cose alienate con il pagamento dell’ultima rata del prezzo, sia nel caso in cui la fattispecie acquisitiva non giunge a conclusione per il compratore e, a carico del venditore, sorge l’obbligazione di restituzione delle rate riscosse, considerato che anche la trasformazione di un bene in un altro che sia meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, come è tipico del danaro, realizza il pericolo di danno costituito dall’eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (Cass., sez. 3, 01/06/2000, n. 7262; Cass., sez. 3, 24/11/2010, n. 23818).
Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno dunque rigettati, con compensazione tra le ricorrenti, principale e incidentale,
delle spese del giudizio di cassazione.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE e solidale carico delle ricorrenti principale e incidentale-, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensazione tra le ricorrenti, principale e incidentale, le spese del giudizio di cassazione. Condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito, in favore di Ader – Agenzia delle entrate Riscossione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e da parte della ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione