Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17480 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17480 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
sebbene la compravendita avesse avuto ad oggetto un solo bene, costituito, in realtà, da un rudere da ristrutturare, nonché ad una probabile restituzione della somma pattuita a titolo di corrispettivo da parte della venditrice all’acquirente, circostanza non veritiera.
2. La censura è inammissibile.
2.1. In ipotesi di azione revocatoria ordinaria, che abbia ad oggetto, come nel caso che ci occupa, come atto dispositivo del patrimonio del debitore una vendita immobiliare attuatasi secondo la scansione contratto preliminare/contratto definitivo, trova applicazione, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, il principio di diritto, secondo cui la sussistenza dell’ eventus damni rispetto al creditore procedente va valutata rispetto al momento della stipula del contratto definitivo, verificandosi solo in tale momento il compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore; mentre, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 cod. civ. in capo al terzo acquirente va valutato rispetto al momento della stipula del preliminare, dovendosi contemperare, per rispettare la ratio dell’azione revocatoria, la garanzia patrimoniale dei creditori con
l’affidamento del terzo nello svolgimento della propria autonomia privata (così, Cass., sez. 3, 18/08/2011, n. 17365; Cass., sez. 3, 16/04/2008, n. 9970; Cass., sez. 3, 20/08/2009, n. 18528; Cass., sez. 2, 18/10/1991, n. 11025).
Si è spiegato che l’ancoraggio dell’accertamento dell’esistenza dell’ eventus dammi al momento della stipula del contratto definitivo si correla alla stessa natura dell’azione revocatoria, quale intesa, oggettivamente, a rimuovere un effetto pregiudizievole per i creditori derivante dal compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore: là dove il preliminare di vendita “ha una portata dispositiva solo potenziale e futura”, è soltanto con il contratto definitivo che si determina la riduzione del patrimonio immobiliare del debitore e che, dunque, si realizza “il concreto pericolo di un effetto lesivo per il ceto creditorio”; diversamente, quanto al presupposto soggettivo dell’azione revocatoria, la stessa configurazione di tale rimedio impone di contemperare il profilo oggettivo degli effetti dell’atto pregiudizievole (a carattere oneroso) con l’affidamento dei terzi nella conclusione dell’atto stesso, dovendosi quindi garantire l’operatività della tutela revocatoria solo in quanto essa sia in grado di rispettare la tutela dell’affidamento del terzo nella possibilità di obbligarsi con la stipulazione di un contratto cui ha interesse.
Pertanto, in caso di vendita di bene promesso, il requisito soggettivo dell’azione revocatoria non potrà che essere accertato in riferimento al momento di conclusione del contratto preliminare, giacché è questo il momento in cui si risolve “la valutazione di priorità della tutela da accordare alla conservazione della garanzia patrimoniale per i creditori o alla conservazione della scelta negoziale del terzo”. Terzo che, una volta impegnatosi in buona fede a vendere in forza del contratto preliminare, non può essere costretto, ove acquisti successivamente la consapevolezza della potenzialità lesiva
dell’atto, “a richiedere la risoluzione del contratto per sottrarsi a tale cooperazione con il debitore nella perpetrazione dell’ eventus damni “, giacché esso terzo è ormai ‹‹ titolare di un diritto acquisito in buona fede al trasferimento del bene rispetto al quale la tutela dell’integrità del patrimonio del debitore diventa necessariamente sub-valente proprio perché scopo e funzione dell’azione revocatoria è quello di rendere inefficace gli atti perpetrati in danno delle ragioni dei creditori ›› (così, Cass., sez. 3, 12/05/2015, n. 9595).
2.2. Si è, altresì, precisato che, diversamente dall’ipotesi di alienazione di un bene immobile già promesso in vendita, in cui non vi è mutamento delle parti che abbiano stipulato sia il contratto preliminare, che quello definitivo, l’esistenza di un contratto preliminare di vendita “per persona da nominare”, che ha visto realizzarsi gli effetti della dichiarazione di nomina (art. 1404 cod. civ.) in sede di conclusione del contratto definitivo, non consente, anzitutto, di ritenere “terzo” ai fini dell’azione revocatoria il soggetto che ha stipulato il contratto preliminare, giacché detto “terzo” va individuato nella persona dell’accettante la dichiarazione di nomina, che ha acquistato i diritti ed assunto gli obblighi “derivanti dal contratto con effetto dal momento in cui questo fu stipulato” (art. 1404 cit.), determinando la fuoriuscita dallo stesso contratto dell’originario stipulante il vincolo preliminare (Cass, n. 9595/2015, cit.). Con la conseguenza, quanto allo stato soggettivo rilevante ai fini della revoca dell’atto dispositivo pregiudizievole, che trova rilievo, in tale caso, il regime che il codice civile stabilisce in materia di rappresentanza, con la disciplina recata dall’art. 1391 cod. civ.
Approdo questo coerente con la stessa giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, 15/12/1987, n. 9301; Cass., sez. 3, 04/10/1983, n. 5777) secondo cui, nel contratto per persona da nominare, i rapporti tra il dichiarante e la persona nominata sono
regolati dalla disciplina della rappresentanza volontaria e il contraente che si è riservata la facoltà di nomina assume la funzione di rappresentante del terzo nell’arco di tempo che corre dalla conclusione del contratto alla dichiarazione di nomina.
In tale prospettiva rileva anzitutto il secondo comma dell’art. 1391 cod. civ., il quale radica sulla persona del rappresentato (e, dunque, del nominato accettante) la rilevanza dello stato di mala fede o di conoscenza (di “determinate circostanze”, come si esprime il primo comma dello stesso art. 1391 cod. civ.), che impedisce allo stesso di giovarsi dello stato di ignoranza (“di determinate circostanze”) o di buona fede del rappresentante, tanto che si è affermato che, “nella ipotesi di un negozio concluso a mezzo di rappresentante, e qualora trattasi di rappresentanza volontaria, la malafede del rappresentato prevale a norma dell’art 1391, secondo comma, cod. civ., sulla eventuale buona fede del rappresentante, non potendo il rappresentato trarre profitto dalla propria malizia” (Cass., sez. 1, 29/10/1963, n. 2874). E ciò a tutela dell’affidamento del terzo nell’ambito di azione revocatoria di atto dispositivo a titolo oneroso.
Sicché, è in riferimento al nominato, e nel momento dell’accettazione della nomina, che, in applicazione del citato art. 1391 cod. civ., deve verificarsi che detto “terzo” abbia, o meno, la consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie dall’atto dispositivo del debitore ovvero sia partecipe della sua dolosa preordinazione (a seconda che l’atto a titolo oneroso e sia o meno anteriore al sorgere del credito) (in senso conforme, Cass., sez. 1, 14/05/2024, n. 13265).
2.3. Da tali principi non si è discostata la Corte territoriale, la quale ha dato atto (a pag. 4 della motivazione) che, nella specie, non vi era coincidenza tra le parti del contratto preliminare e quelle del definitivo, essendo subentrata all’originaria promittente acquirente ,
NOME COGNOME l’odierna ricorrente RAGIONE_SOCIALE ed ha, conseguentemente, desunto l’elemento soggettivo del ‘terzo’ acquirente da una serie di indizi, quali la costituzione della società ricorrente pochi giorni prima della stipula dell’atto dispositivo, la assenza di una scelta di tipo strategico aziendale, essendo l’atto dispositivo esclusivamente volto a rendere vane le ragioni dei terzi creditori della cedente, nonché la prova del mancato trasferimento di somme dalla cessionaria alla cedente. A supporto di tale ultimo elemento presuntivo si è posto in rilievo che la somma asseritamente versata in data 29 ottobre 2010, pari ad euro 304.253,63, era stata distratta (o forse restituita alla Montebianco che aveva provveduto a reincassare gli assegni), ‹‹ atteso che in data 5.11.2010 (il giorno dopo che gli assegni erano divenuti disponibili), quando è stato notificato l’atto di pignoramento presso terz i, sul conto corrente della società RAGIONE_SOCIALE vi era soltanto la somma di euro 3.304,60 (come documentato dalla dichiarazione dell’8.11.2020 del terzo pignorato Banca di Credito Cooperativo di Roma, allegata dall’attore all’atto di citazione)›› .
Le critiche rivolte dalla ricorrente al ragionamento presuntivo svolto dalla Corte d’appello, per come prospettate, come rilevato nella proposta di definizione accelerata, sfuggono al concetto di falsa applicazione quando si concretano, come nel caso in esame, in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze
fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali) (Cass., sez. U, n. 1785/2018).
La censura si risolve, nella sostanza, in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti e si pone su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 cod. proc., ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della questione fattuale, preclusa in sede di legittimità (Cass., sez. 2, 21/03/2022, n. 9054; Cass., sez. 3, 09/10/2023, n. 28286).
3. Il ricorso è, dunque, inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo e da distrarsi in favore del difensore del controricorrente.
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. comporta l ‘ applicazione del terzo e del quarto comma dell ‘ art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 27/12/2023, n. 36069).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. NOME COGNOME nonché al pagamento, ai sensi del terzo comma dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., della ulteriore somma di euro 7.000,00 ed al pagamento, ai sensi del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., dell’ulteriore somma di euro 2.000,00.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione