Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9633 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9633 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28879/2021 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
nonchè
contro
NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3322/2021 depositata il 05/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- I sigg. NOME COGNOME e NOME hanno lavorato per la società RAGIONE_SOCIALE a nome collettivo, maturando crediti da lavoro nel corso del rapporto, per il pagamento dei quali hanno adito il tribunale del lavoro che, con sentenza n. 6176/08, ha condannato la società convenuta al pagamento della somma di € 30.572,41 in favore di NOME e, con diversa sentenza, al pagamento della somma di € 18.500 a favore di NOME COGNOME.
I due lavoratori hanno tentato di escutere il patrimonio sociale, ma inutilmente, e dunque si sono rivolti ai soci della società loro datrice di lavoro, ossia NOME COGNOME e NOME COGNOME
Quest’ultima, tuttavia, ha alienato l’unico cespite del suo patrimonio a NOME COGNOME.
Da qui la decisione di citare entrambi davanti al Tribunale di Roma per far dichiarare, in via principale, la simulazione di tale atto di vendita, ed in via subordinata, la revocatoria del medesimo.
2.- Il Tribunale di Roma ha rigettato entrambe le domande.
Quanto a quella di simulazione ha accertato l’avvenuto ed effettivo pagamento del prezzo.
Quanto alla revocatoria, invece, ha dichiarato che la vendita del bene era fatta per estinguere un debito scaduto. Infatti, il bene era
soggetto a procedura esecutiva in corso, da parte di creditori ipotecari, e di una banca in particolare, ed il RAGIONE_SOCIALE aveva estinto i debiti verso quei creditori, con conseguente estinzione della procedura esecutiva.
Il Tribunale ha inoltre ritenuto che non vi fosse in capo al COGNOME alcuna consapevolezza del danno da arrecare a terzi, in quanto egli agiva nell’ambito di una procedura esecutiva.
3.- La Corte d ‘A ppello di Roma ha riformato tale decisione, assumendo che, in base ad indici presuntivi, l’acquirente sapeva della esistenza di altri creditori ed ha cooperato con la venditrice ad eludere il loro credito.
4.- Avverso tale decisione ricorre NOME COGNOME con cinque motivi di ricorso, di cui chiedono il rigetto gli intimati che si sono costituiti con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2901 c.c.
La tesi è la seguente.
Il ricorrente osserva che era pacificamente emerso che il bene soggetto ad esecuzione (da parte di altri creditori) era l’unico nel patrimonio della debitrice. La circostanza inoltre risultava del tutto incontestata da parte dei due creditori, e dunque doveva dirsi provata.
In altri termini, il ricorrente si è accollato i debiti della Galizia verso i creditori procedenti, ed ha in tal modo soddisfatto le loro ragioni, facendo estinguere la procedura esecutiva. Liberato il bene dalla esecuzione forzata, ne è diventato proprietario.
Con la conseguenza che la vendita di quel bene, soggetto ad esecuzione forzata, doveva intendersi come adempimento di un debito scaduto.
La corte di merito ha inoltre affermato che, per dimostrare che la vendita del bene soggetto ad esecuzione forzata sia stata fatta per
adempiere ad un debito scaduto, occorre tener conto anche del patrimonio della società, di cui la Galizia era socia, con la conseguenza della non necessità di vendere il bene stante la possibilità di utilizzare il patrimonio sociale per pagare il debito.
Il ricorrente si duole dell’erroneità di tale affermazione, essendo i due patrimoni separati, sicché la capienza dell’uno non giova all’altro.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
E’ regola ormai pacifica che <> (Cass. 31941/ 2023; Cass. 8992/ 2020).
Tra le prove del fatto che la vendita del bene rappresenta l’unico modo per estinguere il debito ben può esservi la situazione patrimoniale del debitore, e dunque la circostanza che costui non dispone di alcun altro bene utile a quello scopo, ossia da utilizzare per poter estinguere il debito diversamente, senza ricorrere alla vendita del bene.
Il che vale anche qualora il debitore sia socio di una società che ha un suo capiente patrimonio: in tal caso per stabilire se era necessario vendere quel bene, nel senso che non ve ne era alcun altro con cui soddisfare il credito, bisogna riferirsi al patrimonio del solo debitore convenuto in revocatoria, a nulla rilevando che costui sia socio di una società che invece ha altri beni, ed a nulla rilevando che anche tale società sia a sua volta debitrice del medesimo credito: <> (Cass. 25883/ 2023; Cass. 33391/ 2022).
Ciò vale ovviamente a maggior ragione quando l’azione revocatoria è rivolta verso il solo socio: è rispetto al patrimonio di quest’ultimo che va valutata la capienza.
Né il patrimonio del socio può dirsi capiente per il fatto che egli è
per l’appunto socio di una società che invece ha beni a sufficienza.
Sebbene infatti si tratti di società di persone, la società, come è noto, ha patrimonio distinto da quello dei soci.
Dal combinato disposto degli articoli 2305, 2270 e 2271 c.c. si deduce che il creditore particolare del socio non può ‘contare’ sul patrimonio della società: non può compensare un debito che egli ha verso la società con un credito che abbia verso il socio (art. 2271 c.c.), può solo far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio, suo debitore, o compiere atti conservativi sulla quota, al fine di soddisfarsi quando la società sarà liquidata (art. 2270 c.c.), né, fino a che la società dura, può chiedere la liquidazione della quota del socio (art. 2305 c.c.).
Dunque, l’indagine circa l’esistenza di altri beni attraverso i quali soddisfare il debito scaduto è indagine che va fatta con riferimento al patrimonio del solo debitore soggetto a revocatoria.
Orbene, è nel giudizio di merito pacificamente emerso che quello oggetto di disposizione fosse l’unico bene della debitrice: la circostanza è rimasta incontestata ed anzi espressamente ammessa dai due creditori, e già accertata dal giudice di primo grado, il quale ha affermato che ‘nel caso di specie, non avendo la debitrice altri beni non vi era altro mezzo per estinguere i debiti che vendere l’immobile per cui è causa’.
Ne segue, pertanto, che la strumentalità di detta vendita è un requisito che va accertato in base ai principi di diritto sopra enunciati, e non già in base a quelli posti erroneamente a base della decisione impugnata, volti ad estendere l’ambito del patrimonio disponibile a quello di soggetti autonomi e distinti rispetto alla debitrice principale.
Alla fondatezza del motivo, assorbiti gli altri, consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza , con rinvio alla Corte d ‘ Appello di Roma,