Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20774 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20774 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10338/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge -ricorrenti –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutte rappresentate e difese, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-controricorrenti – nonché contro
COZZA NOME
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia n. 381/2023, pubblicata in data 16 febbraio 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 luglio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. le sorelle NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vicenza, NOME COGNOME chiedendo la declaratoria di inefficacia, ex art. 2901 cod. civ., dell’atto di donazione con cui il convenuto, unitamente alla moglie, NOME COGNOME aveva donato ai figli NOME, NOME e NOME COGNOME, la nuda proprietà dell’immobile, adibito a casa coniugale, sito nel Comune di Creazzo, riservandosi l’usufrutto vitalizio.
A sostegno della domanda le attrici esponevano di essere proprietarie, per la quota indivisa di 1/3 ciascuna, dell’immobile sito in Caldogno, INDIRIZZO, concesso in locazione a NOME COGNOME, che vi aveva svolto l’attività industriale di cromatura e spessore di metalli, nei confronti del quale vantavano un credito, a titolo di risarcimento dei danni, per avere il conduttore cagionato il deterioramento dell’immobile locato a causa della rilevata presenza, nelle mura dell’immobile, di ingenti quan tità di metalli pesanti, come acclarato, nel separato giudizio dalle stesse promosso nei confronti del conduttore, dalla sentenza n. 877/2021 del Tribunale di Vicenza, confermata dalla Corte d’appello di Venezia, avverso la quale pendeva ricorso per cassazione.
Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge
e dei figli del debitore, il Tribunale di Vicenza definiva con ordinanza il giudizio, dichiarando l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., dell’atto di donaz ione.
1.1. La decisione, impugnata dai soccombenti, è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Venezia, che ha dichiarato l’inefficacia dell’atto dispositivo ‹‹ limitatamente alla quota del 50% della nuda proprietà dell’immobile›› oggetto di donazione, compensando in ragione della metà le spese relative al giudizio di primo grado e quelle del giudizio di appello e condannando, per il resto, gli appellanti a rifondere le spese alle appellate.
1.2. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione della suddetta decisione, con quattro motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva in questa sede.
1.3. I l Consigliere delegato ha formulato, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., la seguente proposta di definizione accelerata: ‹‹ Rilevato che il ricorso è improcedibile per mancato deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata (ovvero dei messaggi di spedizione e di ricezione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo p.e.c.) (Cass., sez. U, n. 21349/2022), neppure prodotta dalle parti controricorrenti; considerato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, pur in difetto di produzione della relata di notificazione della sentenza, il ricorso deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento fra la data di pubblicazione della sentenza, indicata nel ricorso, e quella della notificazione del ricorso assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione di cui all’art. 369
cod. proc. civ., di consentire al giudice dell’impugnazione di accertarne la tempestività, sin dal momento di deposito del ricorso; che, tuttavia, nella specie, siffatta prova di resistenza dà esito negativo, atteso che la sentenza è stata pubblicata in data 16 febbraio 2023 ed il ricorso è stato notificato il 27 aprile 2023; propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 38 0bis cod. proc. civ.››.
1.4. Il difensore dei ricorrenti, munito di procura speciale, ha richiesto la decisione del ricorso, rappresentando di avere depositato quale documento ‘B’ in formato . msg incluso in una cartella zip la prova della notifica della sentenza di secondo grado, eseguita dal procuratore costituito delle parti controricorrenti e ricevuta il 28 febbraio 2024.
È stata fissata la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 360 -bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve darsi atto che le odierne parti ricorrenti hanno effettivamente depositato, entro il termine di cui all’art. 369 cod. proc. civ., prova dell’avvenuta notifica della sentenza in questa sede impugnata (indicata sul desk come doc. ‘B’) in formato . msg, cosicché il ricorso deve ritenersi procedibile, così dovendosi disattendere la proposta di definizione del giudizio.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo si prospetta ‹‹Violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia nella parte in cui il Giudice, trascurando di valutare le prove sopravvenute in grado di appello, non si è pronunciato sulla richiesta di sospensione del giudizio ex art. 337, comma 2, c.p.c.,
omettendo altresì ogni pronuncia anche rispetto alla richiesta di rimessione in istruttoria della causa al fine di consentire il contraddittorio sul punto›› .
Evidenziano i ricorrenti che, in pendenza del giudizio di appello, a seguito di ulteriori analisi eseguite sul terreno sito nel Comune di Caldogno su cui insiste l’immobile delle sorelle COGNOME, è emersa l’infondatezza delle pretese risarcitorie da queste ultime vantate nei confronti del COGNOME e che, con la comparsa conclusionale depositata in appello, hanno allegato le prove sopravvenute (analisi chimiche del terreno e relazione esplicativa), dando atto peraltro che, proprio sulla base di dette prove, era stato nel frattempo instaurato giudizio di revocazione avverso la sentenza d’appello che aveva condannato NOME COGNOME al risarcimento del danno in favore delle COGNOME; lamentano, pertanto, che, pur avendo chiesto la sospensione del procedimento ex art. 337 cod. proc. civ., in attesa della pronuncia sulla revocazione, o comunque la rimessione in istruttoria della causa per consentire alle controparti di contraddire sulle nuove prove, i giudici d’appello non si sono pronunciati in ordine alle richieste formulate.
Sostengono che la Corte d’appello avrebbe dovuto vagliare le prove sopravvenute al fine di valutare la serietà della pretesa creditoria azionata dalle COGNOME, vertendosi in ipotesi di ‘credito litigioso’ ancora oggetto di accertamento, e spingersi sino a verificare la ‘probabilità’ dell a fondatezza del credito a tutela del quale si agiva in revocatoria.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. La censura è inammissibile perché, per costante giurisprudenza di questa Corte, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può infatti dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può
assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (cfr. Cass., sez. 3, 16/10/2024, n. 26913; Cass., sez. 3, 20/09/2021, n. 25360; Cass., sez. 3, 20/11/2020, n. 26439; Cass., sez. 3, 29/01/2019, n. 2343; Cass., sez. 3, 15/04/2019, n. 10422; Cass., sez. 3, 25/01/2018, n. 1876; Cass., sez. 3, 11/10/2018, n. 25154; Cass., sez. 1, 28/03/2014, n. 7406; Cass., sez. 1, 26/09/2013, n. 22083; Cass., sez. 3, 23/01/2009, n. 1701; Cass., sez. 3, 21/02/2006, n. 3667; Cass., sez. 1, 25/06/2003, n. 10073).
Nel caso di specie la questione concernente la sospensione ex art. 337 cod. proc. civ. del giudizio avente ad oggetto la revocatoria ex art. 2901 cod. civ. in attesa della definizione di quello per revocazione ex art. 395 cod. proc. civ. -introdotto dal debitore NOME COGNOME avverso la sentenza d’appello che lo aveva condannato al risarcimento dei danni in favore delle odierne parti controricorrenti -che la Corte d’appello, secondo i ricorrenti, avrebbe tralasciato di prendere in esame è puramente processuale e, quindi, potrebbe semmai prospettarsi un vizio della decisione per violazione di norme diverse da quella di cui all’art. 112 cod. proc. civ., ove fosse errata la soluzione implicitamente data dal giudice (Cass., sez. 1, n. 10073/2003 cit.).
2.3. Peraltro, se si volesse intendere la doglianza come diretta a sollecitare l’illegittimità della mancata sospensione ex art. 337, secondo comma, cod. proc. civ., la stessa sarebbe comunque infondata, in quanto, per un verso, si dovrebbe ribadire che tale norma non è applicabile, in quanto essa suppone che sia stata invocata l’autorità della sentenza resa in un altro processo e non ancora passata in giudicato, mentre, nella specie, la sentenza sul credito è evocata come sentenza passata in cosa giudicata formale ed assoggettata ad
una impugnazione straordinaria (Cass., sez. 5, 17/11/2021, n. 34966; Cass., sez. L, 03/07/1987, n. 5840); per un altro verso e, comunque, in applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’azione revocatoria può esercitarsi anche quando il credito legittimante è litigioso, cosicché non sarebbe consentita a fortiori l’applicabilità dell’art. 337, secondo comma, cod. proc. civ.
Al riguardo, reputa il Collegio di dover ribadire, diversamente da quanto affermato da Cass. n. 30106 del 2024, i principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9440 del 2004, secondo cui ‹‹p oiché anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore, il giudizio promosso con l’indicata azione non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 cod. proc. civ. per il caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stata proposta la domanda revocatoria, in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico – giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito ›› .
Nella specie, dunque, la circostanza che sulla decisione relativa alla controversia sul credito penda un’impugnazione straordinaria, che comunque, rende il credito ancora litigioso, non può incidere sullo svolgimento del presente giudizio sulla revocatoria , al di là dell’erronea invocazione dell’art. 337, secondo comma, c.p.c.
Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per v iolazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. , dell’art. 112 cod. proc. civ., nella parte in cui il giudice d’appello, accogliendo il motivo di gravame con cui si lamentava che il Tribunale aveva dichiarato l’inefficacia dell’intero atto dispositivo, e quindi anche per la quota del 50 per cento di spettanza della COGNOME che non era debitrice, ha affermato che ‹‹ se soltanto alcuni dei comproprietari sono debitori ››, l’ actio pauliana può essere esperita soltanto contro il debitore e per la quota di sua spettanza, e non anche nei confronti degli altri comproprietari, che non sono debitori, ed ha conseguentemente dichiarato l’inefficacia dell’atto di donazione limitatamente alla quota del 50 per cento del bene immobile. Evidenziano che la Corte territoriale avrebbe potuto accogliere la domanda revocatoria in tali limiti solo se tale domanda fosse stata formulata, da parte delle creditrici, quanto meno in via subordinata; poiché le creditrici avevano, invece, richiesto la revocatoria dell’intero atto, il giudice d’appello non avrebbe potuto illegittimamente operato ‘d’ufficio’ una mutatio libelli della originaria domanda. Addebitano, pertanto, alla Corte veneziana di avere pronunciato oltre i limiti della domanda e, comunque, su domanda diversa da quella formulata dalle originarie parti attrici, con conseguente nullità della sentenza.
3.1. La censura è infondata.
3.2. E’ utile rammentare che la domanda introduttiva del giudizio di primo grado era volta alla revoca ed alla dichiarazione di inefficacia, nei confronti delle sorelle COGNOME, della ‘donazione’ effettuata in data 01.03.2016 da COGNOME Gabriele e da NOME COGNOME, con la quale i coniugi dichiaravano di ‘donare’ la nuda proprietà, riservandosi l’usufrutto vitalizio , con diritto di accrescimento tra di loro, ai propri figli in parti uguali tra loro, dell’immobile sito nel Comune di Creazzo, meglio descritto a pag. 3 della motivazione della sentenza impugnata.
La statuizione sulla domanda, accolta in primo grado, come già detto, è stata riformata dalla Corte d’appello, che ha pronunciato la revoca dell’atto di donazione con riferimento alla quota del 50 per cento della nuda proprietà dell’immobile, di spettanza del debitore NOME COGNOME rilevando che NOME COGNOME, comproprietaria per la quota indivisa del 50 per cento, non risultava debitrice nei confronti delle sorelle COGNOME.
La declaratoria limitata ad una quota del bene, resa nel caso de quo dal giudice d’appello, non integra pronuncia su una domanda diversa da quella fatta valere dalle COGNOME, perché pur sempre essa trova i suoi elementi strutturali identificativi nel credito vantato e nell’atto dispositivo che si assume pregiudizievole e suscettibile di revocatoria.
Non può, pertanto, ritenersi che il giudice d’appello, che ha dichiarato l’inopponibilità dell’atto dispositivo con riferimento al diritto che ne forma oggetto in relazione ad una quota di esso, abbia pronunciato travalicando i limiti della domanda, poiché non ha attribuito una tutela maggiore di quella richiesta, né ha irritualmente modificato il petitum e la causa petendi della iniziale domanda fatta valere dalle creditrici, essendo rimasti immutati gli elementi fattuali oggetto di allegazione e di prova.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, sussiste, invero, il vizio di ultrapetizione allorché a una parte viene attribuito un bene non richiesto e non, invece, quando la domanda, tendente a ottenere un effetto più ampio, viene accolta per un effetto minore. In quest’ultima ipotesi, infatti, si ha solo un accoglimento parziale della domanda, tanto che la parte che l’ha proposta potrebbe dolersene mediante impugnazione. (Cass., sez. 2, 24/02/1975, n. 708; Cass., sez. 2, 21/03/2019, n. 8048; Cass., sez. 5, 10/01/2025, n. 644).
Con il terzo motivo, censurando la sentenza per violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., i ricorrenti contestano alla Corte territoriale di avere omesso di pronunciarsi sulla domanda di cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale di revocatoria, pure formulata in sede di precisazione delle conclusioni in appello.
4.1. Il motivo è fondato.
4.2. Le conclusioni rassegnate dai ricorrenti in appello, ritrascritte nella impugnata sentenza, evidenziano chiaramente che è stata espressamente formulata richiesta di cancellazione della domanda giudiziale.
Su tale domanda il giudice d’appello non si è espressamente pronunciato e non può ritenersi che sia configurabile una decisione implicita, che è ravvisabile solo quando una domanda o una eccezione risulti superata e travolta, benché non espressamente trattata, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza (tra le tante, Cass., sez. 2, 26/09/2024, n. 25710).
Ricorre, pertanto, il vizio di omessa pronuncia, che sussiste qualora il giudice non decida su alcuno dei capi della domanda, autonomamente apprezzabile (v. Cass., sez. 3, 05/09/2019, n. 22177 con i richiami a Cass., n. 6876 del 1992), ovvero sulle eccezioni proposte ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti (Cass., sez. L, 02/04/1997, n. 8266; Cass., n. 4377 del 1976).
4.3. La sentenza impugnata deve, pertanto, in parte qua , essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con conseguente ordine al Conservatore dei Registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2668, secondo comma, cod. civ., di cancellare la trascrizione della domanda giudiziale quanto alla quota del 50 per cento della nuda proprietà dell’immobile censito nel catasto
Fabbricati del Comune di Creazzo al foglio 10, mappale 536, sub. 3 e sub. 4, di cui è titolare NOME COGNOME
5. La caducazione, ancorché parziale, della sentenza d’appello, avendo effetto anche sulle parti della decisione da essa dipendenti, non può che estendersi , ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., alle statuizioni sulle spese rese dal giudice d’appello quanto ai gradi di merito, pure attinte con il quarto motivo di ricorso, con il quale è stata dedotta la ‹‹ violazione e falsa applicazione della legge nella parte in cui il giudice, in violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., pur avendo accolto i motivi di appello e riformato la sentenza di primo grado, ha solo parzialmente compensato le spese processuali e condannato parte appellante per la metà alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio ›› .
In ragione della parziale soccombenza reciproca, le spese relative al giudizio di primo grado ed al grado d’appello vanno compensate tra le parti, in ragione della metà, mentre per la restante parte vanno poste a carico degli odierni ricorrenti e di COGNOME, nella misura indicata in dispositivo, che si reputa di disporre in conformità a quanto aveva fatto la sentenza impugnata.
6. Le spese del giudizio di legittimità, stante il parziale accoglimento del ricorso, vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibile il primo e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ai sensi del secondo comma dell’art. 384 cod. proc. civ., ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari, ai sensi dell’art. 2668, secondo comma, cod. civ., di cancellare la trascrizione della domanda di revocatoria dell’atto di donazione, rogato in data 1° marzo 2016 con atto del Notaio dott. NOME COGNOME di Vicenza, rep. n. 89.042 e raccolta n. 18.836, limitatamente alla quota del 50% della nuda proprietà dell’immobile censito nel Catasto Fabbricati del
Comune di Creazzo al foglio 10, mappale 536, sub. 3 e sub. 4, di cui è titolare NOME COGNOME
Compensa tra le parti le spese relative al giudizio di primo grado in ragione della metà e condanna COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in solido, a rifondere alle controricorrenti la metà residua, che liquida in euro 2.767,00 per compensi, oltre euro 143,00 per esborsi, alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Compensa tra le parti le spese del giudizio d’appello in ragione della metà e condanna COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in solido, a rifondere alle controricorrenti la metà residua, che liquida in euro 4.250,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione