Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5113 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5113 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti iscritti:
al n. NUMERO_DOCUMENTO R.G., proposto da:
COGNOME NOME, in proprio, quale socio, nonché quale liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elett.te dom.to in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME NOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO, che lo
Oggetto:
RAGIONE_SOCIALE
cessione azienda revocatoria ordinaria
AC – 18/01/2024
rappresenta e dife nde con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in atti;
– controricorrente –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata nel loro studio in Roma, INDIRIZZO, giusta procura in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, Sezione Quinta civile, n. 453/2021, depositata il 21 gennaio 2021;
e al n. 20160/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME NOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e dife nde con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in atti;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata nel loro studio in Roma, INDIRIZZO, giusta procura in atti;
– controricorrente –
e contro
COGNOME NOME, in proprio, quale socio, nonché quale liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elett.te dom.to in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Roma, Sezione Terza civile, n. 5318/2019, depositata il 2/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
In via preliminare va disposta la riunione dei due ricorsi, atteso che essi riguardano l’impugnazione della sentenza definitiva e della sentenza non definitiva pronunciate dalla Corte territoriale nella medesima causa.
CONSIDERATO CHE
In ordine logico, va esaminato con priorità il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza non definitiva (ricorso n. 20161/2021). NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Roma, Sezione Terza civile, n. 5318/2019 – oggetto di riserva di ricorso – con cui il giudice territoriale, non definitivamente pronunciando, ha respinto i motivi di appello con cui l’odierno ricorrente contestava la sentenza di primo grado laddove aveva ritenuto che egli non
potesse essere considerato socio della RAGIONE_SOCIALE, a seguito della morte del proprio dante causa e socio al 95% NOME COGNOME, suo padre.
RAGIONE_SOCIALE, acquirente dell’azienda societaria comprensiva del locale sito in Roma, INDIRIZZO, in cui si esercita l’attività di Bar e Ristorante, e NOME COGNOME, socio e liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, nonché cedente, in veste appunto di liquidatore della società, dell’azienda sociale comprendente l’immobile alla predetta RAGIONE_SOCIALE, hanno resistito con separati controricorsi. La Corte di appello, per quanto in questa sede rileva, ha ritenuto che il dato letterale dell’art. 4 dell’atto di modifica dei patti sociali della RAGIONE_SOCIALE, intervenuto in data in data 14.5.2002 allorquando NOME COGNOME aveva ceduto la propria quota del 5% a NOME COGNOME, evidenziasse chiaramente la volontà dei soci (in allora NOME COGNOME per il 95% e NOME COGNOME per il 5%) di ridefinire i rapporti sociali rimandando, con la norma di chiusura, di cui al successivo art. 10, alle disposizioni di legge in materia, per tutto quanto non espressamente previsto, cosicché doveva ritenersi superata l’originaria previsione , di cui all’art. 12 dell’atto costritutivo, del subentro degli eredi del socio nella società in deroga al contrario disposto dell’art. 2284 cod. civ. La Corte territoriale ha aggiunto che anche un’interpretazione complessiva del comportamento delle parti deponeva nello stesso senso giacché, ove i nuovi patti avessero avuto una finalità sostitut iva solo di alcune previsioni dell’originario atto costituivo, non avrebbe avuto senso fare di nuovo riferimento all’applicazione delle previsioni di legge vigenti per tutti gli istituiti non espressamente richiamati nei rinnovati patti tra i nuovi soci. Conclusivamente, il giudice di secondo grado, dato per scontato
che l’erede del socio defunto potesse ben tutelare i propri diritti nell’alveo delle previsioni dell’art. 2284 cod. civ., e in particolare il diritto alla liquidazione della quota del de cuius , concludeva con l’escludere che vi fosse stata nella specie alcuna illegittima estromissione dell’odierno ricorrente dalle scelte societarie, rientrando nel diritto potestativo dell’unico socio superstite (il COGNOME) alla morte di NOME COGNOME la scelta di sciogliere la società, procedendo alla liquidazione, con cessione dei beni sociali, tra i quali il locale di INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE in Roma.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato anche memoria.
Il ricorso lamenta:
« I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. e 2284 c.c. ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. là dove la Corte d’appello ha ritenuto che l’art. 12 dell’atto costitutivo della società RAGIONE_SOCIALE sia stato abrogato dalle disposizioni contenute nell’atto denominato ‘Modifica dei patti sociali’ del 14 maggio 2002.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto abrogato l’art. 12 dello statuto della società RAGIONE_SOCIALE, senza indagare né tenere conto della comune intenzione delle parti, per come risultante dalle circostanze in cui è intervenuta la modifica della compagine societaria, affidandosi invece a un’interpretazione meramente letterale e formalistica di alcune clausole statutarie, che non terrebbe adeguato conto delle circostanze e delle ragioni che hanno indotto le parti a concludere i patti sociali del maggio 2002 e del loro comportamento, sia anteriore che successivo alla conclusione del negozio, e dunque della comune intenzione delle parti. In particolare, la censura evidenzia che non sarebbe stato dato rilievo al ‘contesto familiare’ in cui si collocano le disposizioni statutarie e le successive clausole
contenute nell’atto di modifica dei patti sociali del 14 maggio 2002, tutte finalizzate a garantire la prosecuzione della società e la gestione della relativa attività alla famiglia COGNOME, come dimostrato dalla circostanza che il capitale sociale della società è rimasto immutato nel corso degli anni, anche a seguito del trasferimento in favore del COGNOME della quota della NOME COGNOME, ciò che dimostrerebbe che lo scopo perseguito dall’atto costitutivo (ossia garantire la proprietà della società e la gestione dell’azienda alla famiglia COGNOME) è rimasto immutato anche dopo le parziali modifiche coeve all’ingresso in società del COGNOME. Ne deriva che la motivazione resa dalla Corte territoriale sarebbe illogica e irrazionale, posto che non si comprenderebbe in base a quali ragioni, a fronte della cessione di una marginalissima parte delle quote societarie, NOME COGNOME avrebbe dovuto e/o voluto ridefinire i rapporti societari, tanto da eliminare una clausola di estrema rilevanza (quella dell’art.12), che avrebbe consentito il subentro automatico dei suoi eredi nella società (che, al di là della marginale quota di titolarità del sig. COGNOME, era e rimaneva di sua proprietà per il 95%).
Il motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha ricostruito la comune intenzione delle parti, la quale integra accertamento di fatto. In quanto tale, esso può essere può essere posto in discussione in questa sede di legittimità solo per omesso esame di fatto decisivo, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. È ben vero che tali fatti decisivi possono essere reperiti anche nei comportamenti di una delle parti stipulanti; devono, però, trattarsi di circostanze, appunto, decisive e che siano denunciate come tali. Di una siffatta denuncia, però, non v’è traccia nel motivo di ricorso, che deduce invece una violazione di legge, ai sensi del n. 3
dell’art. 360 cod. proc. civ., associata alla sostanziale richiesta di una inammissibile rivisitazione dell’accertamento di fatto operato dai giudici di merito.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME in proprio, quale socio, nonché quale liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, proposto avverso la sentenza definitiva n. 453/2021, con cui la Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando, ha dichiarato l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. , dell’atto di cessione d’azienda del 5 agosto 2010, intercorso tra il COGNOME, nella qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_SOCIALE, è affidato a cinque motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Avverso la medesima sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso incidentale, contenuto nel controricorso al ricorso principale del COGNOME, affidato a cinque motivi, resistito da NOME COGNOME con controricorso. RAGIONE_SOCIALE ha presentato anche memoria.
La Corte di appello, per quanto in questa sede rileva, ha ritenuto che il credito vantato da NOME COGNOME sia sorto a seguito del decesso di NOME COGNOME, suo dante causa, evento avvenuto in data 8 gennaio 2010 e, dunque, in epoca anteriore rispetto all’atto di cessione di azienda del 5 agosto 2010 per rogito AVV_NOTAIO (rep. n. 13742; racc. 51580), oggetto di domanda revocatoria. E tanto perché, in condivisione con le affermazioni della sentenza di primo grado, nella società di persone la morte di un socio ha effetti immediati e determina la trasformazione ope legis della sua quota nel corrispondente valore pecuniario di liquidazione, di cui diviene creditore l’erede e debitrice la società. Di talché ove, come nella specie, l’atto di disposizione di un bene
sociale sia successivo al sorgere del credito e sia a titolo oneroso, per ritenere accoglibile la domanda revocatoria ordinaria è necessaria e sufficiente la consapevolezza delle parti di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore e tale elemento soggettivo è integrato dalla semplice conoscenza, cui va equiparata l’agevole conoscibilità, nel debitore alienante e, in ipotesi di atto a titolo oneroso, nel terzo acquirente, di tale pregiudizio, consistente nella diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi. A parere del giudice territoriale, inoltre, la prova di tale consapevolezza può essere fornita con ogni mezzo, ivi compreso il ricorso a presunzioni, specie nell’ipotesi in cui si riscontri un’evidente sproporzione tra il prezzo di acquisto e l’effettivo valore di mercato del bene ceduto: circostanza, quest’ultima , che la sentenza di appello ha ritenuto verificata nella fattispecie laddove, in base alle risultanze della c.t.u. espletata, era emerso che il valore dell’azienda ceduta era pari ad € 4.309.088,50, quasi il doppio rispetto al prezzo di € 2.300.000,00 di cui all’atto di cessione, ciò che concretizzava l’ eventus damni e invertiva l’onere probatorio , onerando sul punto il disponente della prova liberatoria di insussistenza di alcun pregiudizio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, onere che nella specie non risultava assolto.
Vanno esaminati, innanzitutto, il primo motivo del ricorso principale (COGNOME) e il quarto motivo del ricorso incidentale (COGNOME) che, per la loro connessione, possono essere congiuntamente esaminati, e che, rispettivamente, lamentano:
Primo motivo del ricorso principale: «1) omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti ai
sensi dell’art. 360 c. 1, n. 5 c.p.c., avendo la Corte d’Appello di Roma recepito acriticamente i valori indicati dalla CTU, senza fornire puntuale specifica motivazione del perché siano state disattese le puntuali e dettagliate critiche formulate dal CTP (sulle quali peraltro non ha preso posizione il CTU).».
b. Quarto motivo del ricorso incidentale: «IV) I) Errores in giudicando ed in procedendo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5) del c.p.c. unitamente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 del c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) del c.p.c.: la Corte di appello non ha motivato le ragioni per le quali ha aderito acriticamente alla CTU, nonostante il tecnico nominato avesse errato nel rispondere al quesito oggetto di indagine, omettendo di valutare le prove documentali depositate dalla ricorrente e finanche di fornire i chiarimenti richiesti dal CTP: la stessa Corte ha errato altresì nel travisare le prove depositate dalle parti che, se valutate avrebbero condotto la Corte ad adottare una sentenza di rigetto delle azioni revocatorie di conferma della sentenza del tribunale.».
Le due censure sono entrambi inammissibili. L’accertamento del valore di un bene è accertamento di fatto, come tale censurabile in questa sede , ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., per omesso esame di fatto decisivo. La citata norma, come riformulata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la censura concernente deficienze argomentative
della decisione in punto di recepimento delle conclusioni della CTU, esigendo, piuttosto, l’indicazione delle circostanze secondo le quali quel recepimento, sulla base delle modalità con cui si è svolto, si sia tradotto nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti (Cass. n. 18391 del 2017, richiamata dalla stessa ricorrente incidentale COGNOME). Nella specie, tuttavia, non vi è, da parte di entrambi i ricorrenti, né la deduzione di fatti storici, bensì di valutazioni e argomentazioni in essi non sussumibile, né la deduzione di fatti decisivi. In particolare, nel ricorso COGNOME si fa riferimento all’utilizzo, da parte del CTU, di un solo comparativo -la redditività del ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ a Piazza RAGIONE_SOCIALE recante caratteristiche diverse, sotto vari profili, dall’azienda oggetto di valutazione. La stessa ricorrente, però, non qualifica tali differenze come ‘decisive’ ; anzi, pur rubricando il motivo come omesso esame di fatto decisivo, a conclusione dell ‘ illustrazione della censura stessa, fa riferimento all’ omesso accertamento di un fatto ‘ rilevante ‘ ai fini della decisione: ma la mera rilevanza è qualificazione diversa dalla decisività, che è, invece, predicato essenziale del fatto di cui si denuncia l’omesso esame (cfr. Cass. S .U. n. 8053 del 2014; più di recente, Cass. Sez. Lav. n. 29954 del 2022, ove è affermato che la “decisività” del fatto, il cui omesso esame costituisce un vizio della sentenza censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), deve essere, a pena di inammissibilità del motivo, chiaramente allegata dal ricorrente, che è tenuto a rappresentare non solo quale sia il fatto di cui sia stato omesso l’esame, ma
anche il rapporto di derivazione diretta tra l’omesso esame e la decisione, a lui sfavorevole, della controversia.
Il quarto motivo del ricorso COGNOME contiene, poi, anche un’altra censura : l’illegittima acquisizione, da parte del CTU, della documentazione relativa al RAGIONE_SOCIALE, non disposta dal giudice. Tale doglianza è infondata, alla luce di Cass. S.U. 3086/2022, a tenore della quale ‘In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti -non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico – tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio’.
Secondo motivo del ricorso principale: «2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., avendo la Corte d’Appello di Roma basato per intero la propria decisione su di un documento tecnico, recepito non avvedendosi dei plurimi errori di stima commessi dal CTU e non avendo rilevato il mancato adempimento dell’onere gravante sul sig. COGNOME di indicare l’ammontare del credito dallo stesso vantato», deducendo:
l’erronea valutazione dell’azienda operata dal CTU, lamentando che il consulente abbia preso in considerazione un solo comparabile, assolutamente inidoneo per
consistenza e morfologia, rifiutando di prendere in considerazione ‘la locazione esistente sul locale oggetto di causa, così come il valore delle transazioni che hanno interessato immobili siti nella stessa INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE‘;
l’omessa considerazione, da parte della Corte di appello, della circostanza che il COGNOME non aveva mai indicato l’ammontare del credito in relazione al quale agiva in revocatoria.
Il motivo è inammissibile perché, in entrambe le sue riportate articolazioni (la prima per la parte in cui non è ripetitiva del primo motivo di ricorso), non spiega in che modo esse possano integrare violazione dell’art. 2697 cod. civ. , né alcuno dei canoni ermeneutici di valutazione delle prove di cui agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
d) Terzo motivo del ricorso principale: «3) violazione artt. 112 e 132 n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c., avendo la Corte omesso di valutare l’eccezione di prescrizione del diritto alla liquidazione della quota sociale maturata nelle more del giudizio di appello e ritualmente sollevata dal AVV_NOTAIO COGNOME» , deducendo l’omissione di pronuncia sull’eccezione sollevata dal ricorrente in comparsa conclusionale d’appello e nella memoria di replica -di prescrizione, maturata nel corso del processo di appello, del diritto alla liquidazione della quota societaria in favore del COGNOME, che non lo ha mai esercitato. disatteso l’eccezione di prescrizione laddove 2901 cod. civ., ‘ non è richiesta la certezza in ordine
Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha implicitamente (pag. 7) ha statuito che, per integrare la nozione di credito rilevante ai fini dell’art. al fondamento del fatto costitutivo, al punto che anche il credito
eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria . ‘ Con tale argomentazione viene affermata l’irrilevanza dell’accertamento del credito vantato dall’attore nel giudizio di revocatoria: affermazione chiaramente implicante l’irrilevanza, altresì, dell’eccezione di prescrizione di quel credito, quale sollevata dall’attuale ricorrente.
e) Quarto motivo del ricorso principale: «4) violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360, c. 1 n. 3, per l’impossibilità di sottoporre a revoca l’alienazione di un bene che costituisce l’unico mezzo a disposizione per reperire la liquidità necessaria all’adempimento di un proprio debito scaduto, oltre che per l’insussistenza della c.d. scientia damni , atteso che, per arrecare un pregiudizio al COGNOME, il COGNOME avrebbe dovuto arrecare un pregiudizio a sé stesso», deducendo: e1) la mancata considerazione che, come denunciato sia nella memoria conclusionale che in quella di replica, il COGNOME non aveva indicato l’entità del credito preteso per la liquidazione della quota, mentre il ricorrente aveva evidenziato come, all’esito del pagamento del corrispettivo della cessione dell’azienda e dell’estinzione delle passività, nell e casse sociali fosse depositata la somma di oltre 2 milioni di euro, ampiamente idonea a liquidare la quota societaria di spettanza di controparte, se solo questa ne avesse mai fatto richiesta, dovendosi inoltre considerare che il COGNOME non avrebbe avuto alcun interesse a svendere l’azienda, il cui maggior ricavo avrebbe giovato anche a lui quale titolare del 5 % della partecipazione; e ulteriormente: e2) l’omessa considerazione dell’impossibilità di sottoporre a revoca l’alienazione di un bene costituente l’unico cespite
disponibile per reperire la liquidità necessaria all’adempimento di debiti scaduti.
Il motivo non può trovare accoglimento. Esso presenta anzitutto profili preponderanti di inammissibilità, per mancanza di accertamento nella sentenza impugnata dei fatti posti a base delle censure (esistenza in cassa di 2 milioni di euro; disponibilità del solo cespite patrimoniale oggetto della cessione di cui trattasi per far fronte ai debiti scaduti, che non possono ovviamente essere accertati nel giudizio di legittimità; né il giudizio di legittimità è la sede per rinnovare l’accertamento di fatto della scientia damni compiuto dal giudice di merito.
Per il resto, la doglianza sub e1) è infondata per le ragioni che verranno illustrate infra nell’esaminare i l terzo motivo del ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE
Quinto motivo del ricorso principale: «5) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., avendo la Corte d’Appello omesso di valutare dei fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, quali: la mancata indicazione del proprio diritto di credito, anche al fine di consentire la verifica della possibilità per il debitore di soddisfare le ragioni creditorie con il patrimonio residuo; l’impossibilità di sottoporre a revoca l’alienazione di un bene quale unico mezzo a disposizione per reperire la liquidità necessaria all’adempimento di un proprio debito scaduto; l’inesistenza della scientia damni , atteso che per arrecare un pregiudizio COGNOME il AVV_NOTAIO COGNOME avrebbe dovuto arrecare un pregiudizio a se stesso’.» , deducendo, qui riproposti sotto il profilo del vizio di motivazione, rilievi in gran parte già svolti nei precedenti motivi sotto il profilo della
violazione di norme di diritto. I fatti che il ricorrente assume non essere stati esaminati dalla sentenza impugnata sono: 1) la mancata quantificazione del credito da parte del COGNOME; 2) l’esistenza di fondi sufficienti agevolmente aggredibili; 3) l’assenza della scientia damni ; 4) la circostanza che la vendita in oggetto costituisse l’unico strumento per ripianare la grave situazione debitoria della società.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Quanto ai fatti sub 1) e 2), attinenti all’elemento dell’ eventus damni , si rinvia a quanto si dirà a proposito del terzo motivo del ricorso incidentale COGNOME.
Quanto al fatto sub 3), la censura è infondata, perché la Corte territoriale ha, invece, accertato la sussistenza della scientia damni , che il ricorrente si limita a contestare con argomenti di puro merito.
Quanto al fatto sub 4), la censura è inammissibile, attesa la genericità del suo contenuto e il difetto di autosufficienza del ricorso, che in proposito si limita rinviare genericamente agli atti di causa, da cui risulterebbe la prova che la vendita dell’azienda era imposta dalla necessità di far fronte ai debiti scaduti. Inoltre lo stesso ricorrente afferma di aver dedotto tale fatto in grado di appello, ma non afferma di averlo dedotto anche in primo grado, sicché deve concludersi che la deduzione fosse inammissibile già in quella sede in quanto effettuata in violazione del divieto di nova in appello.
Il ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE, per la parte non ancora esaminata, lamenta:
Primo motivo: «I) Errores in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. in relazione
all’art. 360, comma 1 del c.p.c. n. 3) – omesso esame circa un fatto rilevante della controversia in relazione all’art. 360, comma 1 del c.p.c. n. 5): l’atto di cessione di azienda in favore della RAGIONE_SOCIALE non era revocabile, né lesivo della posizione sostanziale della controparte, avendo il liquidatore della RAGIONE_SOCIALE utilizzato il ricavato della vendita per estinguere debiti sociali scaduti e per liquidare all’erede del socio defunto la propria quota di competenza.».
b) Secondo motivo del ricorso incidentale: «II. Errores in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 del c.p.c.: la Corte di appello non ha comunque deciso sull’eccezione sollevata in primo grado ed in sede di gravame dalla RAGIONE_SOCIALE in merito alla natura solutoria della vendita impugnata».
I due motivi possono essere congiuntamente esaminati.
Il secondo motivo è infondato, perché l’eccezione inerente alla natura della vendita era stata riproposta in appello, dall ‘ attuale ricorrente interamente vittoriosa davanti al Tribunale, in maniera inidonea. La stessa ricorrente, infatti, riferisce che la riproposizione era stata effettuata con la comparsa di risposta in appello nei seguenti termini: ‘ Per tutto quanto sopra esposto alla luce delle argomentazioni svolte nel corpo del presente atto e in tutti quelli del primo grado, a cui ci si riporta e che si intendono qui integralmente trascritti … chiede … ‘. Non vi è , dunque, alcuno specifico riferimento all’eccezione di cui trattasi, bensì il mero generico rinvio alle difese svolte in primo grado, contrariamente a quanto invece costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la riproposizione deve essere specifica e non può risolversi nel
generico rinvio alle difese di primo grado (cfr., da ultimo, Cass. n. 25840 del 2020: id. n. 22311 del 2020; id. n. 23925 del 2010).
Il primo motivo del ricorso incidentale, attinente al merito dell’eccezione relativa al carattere solutorio della vendita, resta conseguentemente assorbito.
c. Terzo motivo: «III) Errores in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2729 e 2697 c.c. del c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) del c.c., oltre che degli artt. 115, 100 e 132 del c.p.c. e dell’art. 111, comma 7 della Costituzione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 del c.p.c. – omesso accertamento di un fatto rilevante ai fini della controversia in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5) del c.p.c.: la Corte territoriale ha errato nel ritenere sussistenti i presupposti dell’azione revocatoria in assenza della prova dell’ eventus damni e comunque attraverso una motivazione meramente apparente, perplessa e contraddittoria circa l’esistenza del suddetto requisito».
La ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia accertato la sussistenza del presupposto dell’ eventus damni nonostante l’attore non avesse precisato l’entità del suo credito e avesse incassato 600.000 euro in sede di riparto parziale della liquidazione. La precisazione dell’entità del credito dell’attore è, ad avviso della ricorrente, indispensabile ai fini della valutazione del pregiudizio per le ragioni del creditore, che è valutazione di carattere relativo, in quanto il danno dipende in concreto, appunto, oltre che dalla consistenza patrimoniale del debitore, anche dall’entità del credito vantato dall’attore.
Il motivo è infondato quanto ai profili della violazione di legge e del difetto assoluto di motivazione e inammissibile quanto al profilo del vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo.
Secondo, infatti, la consolidata giurisprudenza di legittimità, la liquidità del credito è anzitutto irrilevante ai fini dell’azione pauliana ( ex multis , Cass. 11755/2018, 5619/2016, 1893/2012, 20002/2008). Inoltre, il presupposto oggettivo d ell’azione (cd. eventus damni ) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (cfr., da ult., Cass. 16221/2019, 19207/2018, 7767/2007). Il diverso principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, richiamata dal ricorrente (Cass. 5658/2021, 4212/2020, 19515/2019), secondo cui è onere del curatore fallimentare, che agisca in revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 66 legge fallim., provare anche la consistenza dei crediti ammessi al passivo, fa eccezione alla regola generale, sopra indicata, per ragioni connesse alla particolarità della fattispecie dell’azione revocatoria ex art. 66 legge fallim. Da un lato, infatti, tale azione viene esperita dal curatore, il quale rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore
stesso fallito e, dall ‘ altro, l’ onere in questione, per il principio della vicinanza della prova, non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell’atto impugnato, che non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa (Cass. 524/2023, 16221/2019, 1902/2015, 8931/2013).
Correttamente, perciò , la Corte d’appello ha statuito che , a fronte della modificazione del patrimonio del debitore, costituita dall’alienazione dell’azienda , comprensiva dell’immobile , gravasse sui convenuti l’onere di provare l’indifferenza dell’operazione, per essere il credito dell’attore comunque sufficientemente garantito dalla residua consistenza patrimoniale della società debitrice . Né, all’evidenza, può affermarsi che ciò non costituisca motivazione compiuta e comprensibile della decisone.
Quanto sin qui osservato dà conto anche delle ragioni dell’infondatezza delle residue censure riportate sub e1) nella sintesi del quarto motivo del ricorso principale COGNOME e dell’irrilevanza del fatto indicato sub 1) del quinto motivo del medesimo ricorso.
Quanto, infine, al fatto riportato sub 2) di quest’ultimo motivo, costituito dalla presenza, presso la società, di fondi sufficienti agevolmente aggredibili, va dichiarata l’inammissbilità della corrispondente censura di omesso esame ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., attesa la genericità del suo contenuto e il difetto di autosufficienza del ricorso, che in proposito si limita rinviare genericamente agli atti di causa, da cui risulterebbe la prova che sul conto corrente della società era depositata la somma di oltre due milioni di euro, che sarebbe stata sufficiente a soddisfare le ragioni del creditore. Inoltre, anche a questo proposito, la stessa
ricorrente non afferma di aver dedotto tale fatto anche nel giudizio di primo grado, sicché deve concludersi che la deduzione fosse inammissibile già in grado di appello in quanto effettuata in violazione del divieto di nova .
Quinto motivo del ricorso incidentale: «V) Errores in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2727 e 2729 del c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) del c.p.c., e dell’art. 132 del c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) del c.p.c.: la Corte di appello ha errato nel ritenere sussistenti i requisiti della ‘scientia fraudis’ sulla sola base delle conclusioni cui era giunto il CTU ed in assenza di alcun ulteriore indizio, grave preciso e concordante che potesse dimostrare, attraverso presunzioni che la RAGIONE_SOCIALE era a conoscenza della eventuale lesività del trasferimento.»
Il motivo è infondato quanto alla censura di utilizzo di un solo indizio, perché la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere non necessaria la pluralità degli indizi a base della presunzione (da ult., Cass. n. 2482 del 2019; n. 11162 del 2021); è inammissibile quanto alla censura della sussistenza dei requisiti della gravità e precisione dell’indizio, che integra questione di merito, non deducibile in questa fase di legittimità (cfr., da ult., Cass. 9054/2022, 18611/2021, 1234/2019).
Anche il ricorso principale del sig. COGNOME e il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE vanno, quindi, complessivamente respinti.
Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, stante la reciproca soccombenza nei rispettivi giudizi riuniti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quella incidentale del ricorso n.r.g. 19725/21, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuti e della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente nel ricorso n.r.g. 20160/21, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dispone la riunione del ricorso rubricato al n.r.g. NUMERO_DOCUMENTO al ricorso rubricato al n.r.g. 19725/21 ; dichiara l’ inammissibilità del ricorso rubricato al n.r.g. 20160/21; rigetta il ricorso principale e quello incidentale rubricati al n.r.g. 19725/21; compensa integralmente tra le parti le spese di lite, inerenti ai giudizi riuniti, relative alla presente fase di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quella incidentale nel ricorso n.r.g. 19725/21, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuti e della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente nel ricorso n.r.g. 20160/21, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024.