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Azione revocatoria ordinaria: vendita e tutela del credito

L’erede di un socio di maggioranza ottiene la revoca della vendita dell’azienda sociale tramite un’azione revocatoria ordinaria. La Cassazione conferma che una notevole sproporzione tra prezzo di vendita e valore di mercato è sufficiente a presumere la consapevolezza del pregiudizio da parte dell’acquirente, tutelando così il creditore.

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Cessione d’azienda e tutela del creditore: i chiarimenti della Cassazione sull’azione revocatoria ordinaria

Quando un’azienda viene venduta, quali tutele ha un creditore se ritiene che tale operazione possa impedirgli di recuperare quanto gli spetta? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, analizzando i presupposti dell’azione revocatoria ordinaria, uno strumento cruciale per la protezione del credito. Il caso esaminato riguarda la cessione di un’importante attività commerciale da parte del socio superstite, a seguito della quale l’erede del socio di maggioranza ha agito in giudizio per veder dichiarata l’inefficacia della vendita.

I Fatti del Caso: La Cessione di un’Attività Commerciale

La vicenda trae origine da una società di persone, proprietaria di una nota attività di bar e ristorante, partecipata al 95% da un socio e per il restante 5% da un altro. A seguito del decesso del socio di maggioranza, suo figlio, in qualità di erede, matura un credito nei confronti della società per la liquidazione della quota paterna, come previsto dal Codice Civile in assenza di patti sociali contrari.

Il socio superstite, divenuto liquidatore della società, decideva di cedere l’intera azienda, comprensiva dell’immobile, a una terza società. L’erede, ritenendo che tale vendita pregiudicasse la sua possibilità di veder soddisfatto il proprio credito, ha avviato un’azione legale per far dichiarare l’inefficacia dell’atto di cessione.

La Decisione della Corte: l’Azione Revocatoria Ordinaria ha Successo

Sia in appello che in Cassazione, i giudici hanno dato ragione all’erede. La Corte Suprema ha rigettato i ricorsi presentati sia dal liquidatore che dalla società acquirente, confermando la sentenza che dichiarava l’inefficacia della vendita. La decisione si fonda su un’attenta analisi dei requisiti necessari per l’accoglimento dell’azione revocatoria.

Le Motivazioni: i Principi dell’Azione Revocatoria Ordinaria

La Corte di Cassazione ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia di azione revocatoria ordinaria, offrendo importanti chiarimenti.

L’Esistenza del Credito: Non Serve la Certezza Assoluta

Un primo punto cruciale riguarda la natura del credito. I ricorrenti sostenevano che, non essendo il credito dell’erede ancora precisamente quantificato, l’azione non potesse essere accolta. La Corte ha respinto questa tesi, affermando che per agire in revocatoria non è necessaria la liquidità del credito. È sufficiente un credito anche litigioso o soggetto ad accertamento, poiché l’azione ha una funzione cautelare e conservativa della garanzia patrimoniale.

Il Pregiudizio al Creditore (Eventus Damni) e l’Onere della Prova

Perché l’azione abbia successo, è necessario dimostrare un pregiudizio per il creditore (eventus damni). Questo non significa necessariamente che il debitore diventi insolvente, ma che l’atto di disposizione renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito. La vendita dell’unico o principale bene del debitore, come in questo caso l’azienda, integra di per sé questo requisito. Una volta che il creditore dimostra questa modifica qualitativa o quantitativa del patrimonio del debitore, l’onere della prova si inverte: spetta al debitore e al terzo acquirente dimostrare che il patrimonio residuo è ampiamente sufficiente a soddisfare le ragioni del creditore.

La Consapevolezza del Danno (Scientia Damni) dell’Acquirente

Il punto più interessante della decisione riguarda la prova della consapevolezza del danno (scientia damni) da parte del terzo acquirente. La Corte ha stabilito che non è necessaria la prova di una collusione specifica. La consapevolezza può essere provata anche tramite presunzioni. Nel caso di specie, la notevole sproporzione tra il prezzo di acquisto (2,3 milioni di euro) e il valore di mercato dell’azienda, stimato dal consulente tecnico in quasi il doppio (4,3 milioni di euro), è stata ritenuta un elemento presuntivo sufficientemente grave, preciso e concordante per dimostrare la consapevolezza, o quantomeno la facile conoscibilità, da parte dell’acquirente del pregiudizio che l’operazione arrecava al creditore.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame offre preziose indicazioni pratiche. Per i creditori, rafforza la tutela patrimoniale, chiarendo che è possibile agire in revocatoria anche con un credito non ancora liquido e che la prova del pregiudizio può essere agevolata in caso di vendita di beni rilevanti. Per chi acquista beni, specialmente da società in liquidazione o in situazioni debitorie complesse, emerge un chiaro monito: un prezzo di acquisto significativamente inferiore al valore di mercato può costituire un grave indizio di scientia damni, esponendo l’acquirente al rischio di vedere il proprio acquisto revocato. È quindi fondamentale un’attenta due diligence non solo sul bene, ma anche sulla situazione patrimoniale del venditore.

Per esercitare un’azione revocatoria ordinaria, il credito deve essere certo e già quantificato?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’azione revocatoria ha una funzione cautelare e conservativa. Pertanto, è sufficiente l’esistenza di una ragione di credito, anche se litigiosa, non ancora accertata nel suo preciso ammontare o sottoposta a condizione.

Chi deve provare che, dopo la vendita di un bene, il patrimonio del debitore è insufficiente a soddisfare il creditore?
L’onere della prova è inizialmente a carico del creditore, che deve dimostrare l’atto di disposizione e la conseguente modifica (quantitativa o qualitativa) della garanzia patrimoniale. Una volta provato ciò, l’onere si sposta sul debitore, il quale deve dimostrare che il suo patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare ampiamente le ragioni del creditore.

Come si può dimostrare che l’acquirente di un bene era a conoscenza del pregiudizio arrecato al creditore?
La consapevolezza del pregiudizio (scientia damni) da parte del terzo acquirente può essere dimostrata tramite presunzioni. Secondo la Corte, una evidente sproporzione tra il prezzo di acquisto e l’effettivo valore di mercato del bene costituisce una presunzione grave, precisa e concordante sufficiente a ritenere provata tale consapevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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