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Azione revocatoria ordinaria: la prova dell’eventus damni

Una società in fallimento ha agito in giudizio per revocare la cessione di alcuni beni (macchinari e un’imbarcazione) a un’altra società. La Corte d’Appello aveva confermato la revoca basandosi sull’azione revocatoria ordinaria. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza, rilevando che i giudici di merito non avevano adeguatamente verificato il presupposto dell’eventus damni, ovvero il concreto pregiudizio per i creditori. Secondo la Suprema Corte, il curatore fallimentare ha l’onere di fornire una prova rigorosa della situazione patrimoniale del debitore al momento dell’atto, dimostrando che la cessione ha reso oggettivamente più difficile il soddisfacimento dei crediti. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo esame su questo punto specifico.

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Azione Revocatoria Ordinaria: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova sull’Eventus Damni

L’azione revocatoria ordinaria è uno strumento cruciale per la tutela dei creditori, specialmente nel contesto di una procedura fallimentare. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per delineare con precisione i contorni dell’onere probatorio che grava sul curatore fallimentare, in particolare riguardo al presupposto dell'”eventus damni”, ovvero il danno effettivo arrecato alla massa dei creditori. La decisione sottolinea la necessità di un’analisi rigorosa e non generica della situazione patrimoniale del debitore.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dall’azione intentata dal curatore di una società fallita contro un’altra impresa. L’obiettivo era ottenere la declaratoria di inefficacia della cessione di alcuni beni, tra cui macchinari e un’imbarcazione, avvenuta poco prima della dichiarazione di fallimento. Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, dichiarando inefficaci le cessioni.

La società acquirente proponeva appello, ma la Corte territoriale, pur riformando parzialmente la sentenza, confermava l’inefficacia della cessione, accogliendo la domanda subordinata di azione revocatoria ordinaria (ex art. 2901 c.c.) avanzata dal curatore. La società soccombente ricorreva quindi in Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, una valutazione errata da parte dei giudici di merito sui presupposti dell’azione, in particolare sulla prova del danno ai creditori.

L’Onere della Prova nell’Azione Revocatoria Ordinaria del Curatore

Il cuore della controversia portata dinanzi alla Suprema Corte riguarda l’individuazione e la prova dell’eventus damni. La società ricorrente sosteneva che il curatore non avesse fornito la prova che il patrimonio residuo del debitore, al momento della cessione, fosse di dimensioni tali da mettere a rischio il soddisfacimento dei creditori.

La Corte di Cassazione ha accolto questa doglianza, affermando un principio fondamentale: quando l’azione revocatoria ordinaria è promossa dal curatore fallimentare, l’onere della prova del pregiudizio grava interamente su quest’ultimo. Non si può applicare la regola generale secondo cui, una volta allegato il danno dal creditore, spetta al debitore dimostrare la sufficienza del proprio patrimonio residuo. Questo perché il curatore rappresenta sia la massa dei creditori sia il debitore fallito, mentre il terzo acquirente non è tenuto a conoscere la situazione patrimoniale dettagliata del suo dante causa.

I Tre Elementi Essenziali da Dimostrare

Secondo gli Ermellini, per dimostrare la sussistenza dell’eventus damni, il curatore deve provare rigorosamente tre circostanze:
1. La consistenza dei crediti vantati dai creditori ammessi al passivo.
2. La preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole.
3. Il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore a seguito dell’atto, tale da rendere oggettivamente più difficoltosa, incerta o dispendiosa la riscossione dei crediti.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché fondata su una valutazione generica e astratta. I giudici di merito si erano limitati a considerare “superfluo” un’indagine approfondita, facendo un generico riferimento al verbale di approvazione dello stato passivo e alla natura stessa dell’azione revocatoria, che mira a tutelare tutti i creditori. Tale approccio è stato ritenuto insufficiente.

Secondo la Cassazione, i giudici avrebbero dovuto esaminare la specifica situazione economico-patrimoniale dell’impresa al momento della cessione dei beni. Mancava un’analisi concreta sulla consistenza del patrimonio residuo e sulla sua idoneità a soddisfare i crediti preesistenti. La semplice sostituzione di un bene facilmente aggredibile (come un’imbarcazione) con denaro non è di per sé prova sufficiente del danno, se non inserita in una valutazione complessiva che dimostri un reale e concreto pericolo per la garanzia patrimoniale dei creditori.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La pronuncia stabilisce un importante principio per le procedure fallimentari. Il curatore che intende esperire un’azione revocatoria ordinaria non può fare affidamento su presunzioni o valutazioni generiche. È tenuto a condurre un’indagine approfondita e a fornire in giudizio prove concrete e specifiche che dimostrino come l’atto dispositivo abbia effettivamente compromesso la garanzia patrimoniale dei creditori. Deve ricostruire la situazione finanziaria del debitore al momento dell’atto e dimostrare che, a seguito di quell’operazione, la possibilità per i creditori di essere soddisfatti è divenuta concretamente più incerta o difficile. La sentenza eleva quindi lo standard probatorio richiesto ai curatori, a garanzia della certezza dei rapporti giuridici e della posizione del terzo acquirente.

Chi ha l’onere di provare il danno ai creditori (eventus damni) in un’azione revocatoria ordinaria promossa dal curatore fallimentare?
L’onere della prova grava interamente sul curatore fallimentare. Egli deve dimostrare che il patrimonio residuo del debitore, al momento dell’atto dispositivo, era di dimensioni tali, in rapporto all’esposizione debitoria, da esporre a rischio il soddisfacimento dei creditori.

È sufficiente per il curatore fare riferimento allo stato passivo approvato per dimostrare l’eventus damni?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una valutazione generica basata sul solo stato passivo è insufficiente. È necessaria un’indagine specifica sulla consistenza patrimoniale dell’impresa alla data degli atti dispositivi e sulla preesistenza di crediti che non sarebbero stati soddisfatti.

Quali sono i tre elementi che il curatore deve provare per dimostrare la sussistenza dell’eventus damni?
Il curatore deve provare: 1) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; 2) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; 3) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto, che ha reso più difficoltosa l’esazione del credito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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