Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11649 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11649 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 25532-2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (P.I. P_IVA, nella persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME .
-ricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME come da procura in atti.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 2569/22 della Corte di Appello di Napoli, Sezione Specializzata delle Imprese, pronunciata inter partes in grado di appello e notificata il 19/07/22;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione il Fallimento RAGIONE_SOCIALE convenne, tra gli altri, la società odierna ricorrente a comparire dinanzi al Tribunale di Napoli, Sez. Imprese, onde ottenere nei confronti di quest’ultima: -l’accertamento e la declaratoria di inefficacia ex art. 67 l. fall. della cessione di macchinari e di imbarcazione effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE; in subordine accertare e dichiarare l ‘ inefficacia ex art. 2901 c.c. delle suddette operazioni; in via ancor più subordinata, accertare e dichiarare la inefficacia ex art. 64 l. fall. delle dette cessioni; in via ancora più subordinata accertare e dichiarare la risoluzione ex art. 1453 c.c. per simulazione assoluta e, conseguentemente, dichiarare la nullità e/o inopponibilità ex art. 1416 c.c. delle cessioni; per l’effetto condannare la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei beni ceduti ovvero, in caso di impossibilità e/o eccessiva difficoltà, al pagamento di una somma pari al controvalore di €. 73.080,00, ovvero della somma maggiore o minore che dovesse risultare anche in corso di causa. Nel giudizio si costituì la RAGIONE_SOCIALE che contestò le domande.
Con la sentenza n. 8613/19 il Tribunale di Napoli: -accolse la domanda nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e dichiarò inefficace nei confronti della curatela le cessioni del 5.11.08 e del 17.02.2009, condannandola alla restituzione dei beni ovvero alla restituzione del controvalore in denaro della somma già rivalutata di euro 53.247,48, oltre interessi legali dal deposito al soddisfo.
RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione in appello, impugnò dunque la detta sentenza, chiedendone l’annullamento e la riforma parziale (RG 1904/20).
Anche il Fallimento RAGIONE_SOCIALE propose autonomo ed anteriore appello parziale, notificato solo alla RAGIONE_SOCIALE (RG 1255/20), così come COGNOME propose autonomo appello parziale (RG 1763/20).
Si costituì nel giudizio di appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE il Fallimento RAGIONE_SOCIALE con comparsa di costituzione e risposta, insistendo per la previa riunione dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE a quello autonomamente proposto (in ragione della scindibilità ed autonomia delle diverse domande e
posizioni di cui al processo di primo grado) dal Fallimento nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE, nonché di quello proposto dal Di Fiore nei confronti del Fallimento.
La Corte di Appello di Napoli, in ragione dei plurimi appelli proposti avverso la medesima sentenza, ne disponeva la riunione (all’anteriore appello parziale RG 1255/20, proposto dal Fallimento Sitarc).
Con sentenza n. 2569/22, la Corte di Appello di Napoli, per quanto riguardava la posizione dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, accoglieva il terzo motivo del gravame proposto e, contestualmente, accoglieva però la domanda subordinata di revocatoria ex artt. 2901 c.c. e 66 l. fall. riproposta dalla Curatela nel giudizio di secondo grado. Pertanto, la Corte di Appello, per quanto qui di interesse, riformava la sentenza di primo grado come segue (punto 1 e punto 5 del PQM): ‘ 1) …. rigetta la domanda spiegata dal Fallimento in danno della RAGIONE_SOCIALE di revocatoria ex art. 67, co. 2, L.F. avente ad oggetto la cessione dell’imbarcazione, accogli e la subordinata domanda di revocatoria ex artt. 2901 c.c. e 66 L.F., riproposta dalla Curatela in questo grado in danno della RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la cessione dell’imbarcazione (meglio descritta nell’atto del 20.1.2009 per notar COGNOME) e, per l’effetto, dichiara inefficace detta cessione e condanna la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione del cespite, conferma, sia pure sulla scorta di una diversa motivazione, l’accoglimento della domanda di revocatoria ex artt. 2901 c.c. e 66 L.F., avente ad oggetto la cessione dei residui beni indicati in motivazione, e, per l’effetto, dichiara inefficaci dette cessioni e condanna la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei relativi beni; 5) …’.
7. La corte del merito ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) il primo motivo di appello – in ordine al dedotto omesso esame delle preliminari eccezioni sollevate, sull’asserito erroneo assunto della tardiva costituzione in giudizio – risultava infondato, in quanto la decisione gravata era sul punto conforme al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini dell’osservanza del termine fissato dall’art. 166 cit., stante l’esplicita previsione contenuta nello stesso articolo, per il suo computo a ritroso doveva aversi riguardo (in via esclusiva) all’udienza indicata nell’atto di citazione e non (anche) a quella eventualmente
successiva, cui la causa fosse stata rinviata d’ufficio, ai sensi dell’art. 168 bis, comma quarto, cod. proc. civ.; (ii) anche il secondo il secondo motivo di gravame – con il quale l’appellante imputa va al Tribunale il mancato esame della questione di decadenza ex art. 69 bis L.F., sebbene rilevabile d’ufficio era infondato, in quanto la natura decadenziale del termine di cui all’art. 69 bis cit. poteva ritenersi ormai recepita anche dalla giurisprudenza di legittimità e considerato anche che la decadenza non poteva essere rilevata d’ufficio, ai sensi dell’art. 2969 c.c. , salvo che la decadenza processuale non possa reputarsi dettata a protezione di un interesse pubblico superiore (Cass. 10.8.2007 n. 17630); (iii) nella specie, tuttavia, un superiore interesse pubblico alla definitività e certezza di atti negoziali privati non era evidentemente ravvisabile; (iv) il terzo motivo di gravame, nel quale l’appellante eccepi va violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. , oltre che dell’ art. 67 cit., censurando la sentenza per aver ritenuto la cessione dell’imbarcazione revocabile ai sensi dell’art. 67 cit., era invece fondato, quanto al primo profilo (quello concernente la data della vendita); (v) occorrendo esaminare, pertanto, la subordinata domanda revocatoria ex artt. 2901 c.c. e 66 l. fall., riproposta dalla curatela in grado di appello, tale domanda era invece fondata, sussistendo, infatti, tutti i presupposti richiesti dalle citate disposizioni, quali: a) crediti da cautelare; b) l ‘ eventus damni ; b) consilium fraudis/scientia damni ; (vi) con riguardo all’esistenza di una ragione di credito da cautelare, era ‘ superfluo indugiare, agendo evidentemente il curatore a tutela dei molteplici creditori insinuati al passivo (cfr. il verbale di approvazione dello stato passivo) e considerato che la revocatoria ordinaria, esperibile dal curatore nel corso della procedura fallimentare, ai sensi dell’art. 66 L.F., si caratterizza, rispetto a quella contemplata dall’art. 2901 c.c., proprio per il fatto che è rivolta a tutelare tutti i creditori del fallito e può investire gli atti tanto posteriori quanto anteriori al sorgere dei singoli crediti, ove essi abbiano determinato od aggravato lo stato d’insolvenza ‘; ( vii) doveva pertanto ritenersi la sussistenza dell’ eventus damni , considerato che questo presupposto andava individuato nel semplice «pericolo od incertezza per la realizzazione del diritto da parte del creditore» (così, Cass. 5.6.2000 n. 7452) e che «non è necessario che
sussista già un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità» (Cass., 17.7.2007 n. 15880); (viii) nella specie, la prova del mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio della SITARC per effetto dell’atto dispositivo risultava versata in atti, se solo si considerava che certamente per effetto della cessione in esame la posizione dei creditori si era aggravata, tenuto conto della maggiore incertezza del recupero coattivo del credito, a seguito della sostituzione di beni reperibili e aggredibili con facilità (un’imbarcazione) con altri beni di più difficile individuazione (denaro); (ix) q uanto all’elemento soggettivo della scientia damni in capo alla SITARC, occorreva considerarsi che, per aversi frode, ai sensi dell’art. 2901 c.c. non era necessaria in capo al de bitore la specifica conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca va alle ragioni del titolare del credito, essendo sufficiente l’effettiva consapevolezza del carattere pregiudizievole del proprio comportamento che investa genericamente la riduzione della consistenza del patrimonio tale da diminuire la garanzia per i creditori; (x) la suddetta consapevolezza nella specie non poteva essere posta in dubbio, attesa la notevole esposizione debitoria della società fallita al momento della stipulazione del contratto di vendita, poco più di sei mesi prima del fallimento; (xi) relativamente alla partecipatio fraudis del terzo acquirente, doveva porsi in risalto che, tenuto conto dell’esposizione debitoria della SITARC e della sua epoca di formazione, risultante dal verbale di approvazione dello stato passivo (versato in atti), ad integrare l’estremo soggettivo della partecipatio fraudis era sufficiente che il terzo acquirente fosse stato effettivamente consapevole del fatto che, attraverso l’atto stesso, il debitore venditore stava diminuendo la sua sostanza patrimoniale, mettendo così in pericolo il soddisfacimento delle ragioni dei creditori complessivamente considerati; (xii) avuto riguardo alla posizione dell’odierna appellante, significativa era, comunque, anche la circostanza che nel medesimo contesto temporale la RAGIONE_SOCIALE si era resa cessionaria di svariati altri beni, consapevole quantomeno della situazione di illiquidità e delle difficoltà operative, comprovate da quanto affermato nella datio in solutum
del maggio del 2008, e cioè la cessione del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE verso il Comune di Quarto in adempimento di un debito della medesima RAGIONE_SOCIALE verso la RAGIONE_SOCIALE del 2005.
8. La sentenza, pubblicata il 26.3.2025, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 164, 166, 167, 168 bis cod. proc. civ., nonché degli artt. 115 e 116, sempre codice di rito.
1.1 Il motivo è infondato.
Sostiene la ricorrente che la propria costituzione nel giudizio di prime cure, avvenuta venti giorni prima dell’udienza rinviata ex art. 168 bis, co mma 4 cod. proc. civ., sarebbe stata tempestiva. Con la conseguenza che tutte le eccezioni pregiudiziali e preliminari dalla stessa sollevate in comparsa si sarebbero dovute valutare, poiché tempestive.
Il motivo si sostanzia nella mera reiterazione delle osservazioni già sottoposte all’attenzione della Corte d’Appello di Napoli e già compiutamente e correttamente rigettate.
In realtà, RAGIONE_SOCIALE si è costituita nel giudizio di primo grado, come dalla stessa confermato, soltanto in data 20/03/2015 e dunque senza il rispetto dei termini di legge in relazione alla data della prima udienza (8 aprile 2015). odierna ricorrente sia incorsa nelle
Non residuano dubbi, pertanto, che l ‘ decadenze e preclusioni di cui agli artt. 38 e 167 cod. proc. civ.
Invero, ai fini della verifica della tempestività della costituzione del convenuto, “il termine di cui all’art. 166 c.p.c., al pari di tutti i termini a ritroso, deve essere calcolato considerando quale dies a quo , non computabile per il disposto dell’art. 155, comma 1 c.p.c., il giorno prima del quale va compiuta l’attività processuale, e, dunque, il giorno dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione, ovvero quello differito ai sensi
dell’art. 168 bis, comma 5, c.p.c., e quale dies ad quem , invece computabile in quanto termine non libero, il ventesimo giorno precedente l’udienza stessa” (così, espressamente Cass. n. 6601/2012).
Nella fattispecie in esame risulta che la prima udienza era stata differita d’ufficio al 10 aprile 2015 ai sensi dell’art. 168 bis, comma 4 c od. proc. civ. Non è condivisibile perché contraria ai principi espressi nella materia in esame dalla giurisprudenza di legittimità l’opinione della ricorrente secondo cui sarebbe predicabile un ‘ equiparazione tra il differimento operato nel giudizio di primo grado a quello di cui al comma 5 dell’art. 168 bis c od. proc. civ. Risulta infatti evidente la distinzione tra i due differimenti ora citati, posto che (i) nel primo caso (comma 4), il rinvio d’udienza non può far slittare anche il termine di costituzione del convenuto che deve, conseguentemente, essere calcolato in base alla data d’udienza indicata nell’atto introduttivo; (ii) nel secondo caso (comma 5), il differimento d’udienza comport a uno slittamento anche del termine per la costituzione del convenuto che deve, pertanto, essere calcolato a ritroso dalla data d’udienza , così come differita dal giudice istruttore.
Sul punto occorre richiamare l’orientamento secondo cui -ai fini dell’osservanza del termine di costituzione del convenuto, stante l’esplicita previsione contenuta nello stesso art. 166 cod. proc. civ. – per il suo computo a ritroso deve aversi riguardo (in via esclusiva) all’udienza indicata nell’atto di citazione e non (anche) a quella eventualmente successiva, cui la causa sia stata rinviata d’ufficio, ai sensi dell’art. 168 bis, comma quarto, cod. proc. civ., in ragione del calendario delle udienze del giudice designato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12490 del 28/05/2007). È stato anche affermato sempre nella giurisprudenza di questa Corte che ‘ il differimento della prima udienza ex art. 168-bis, comma 5, c.p.c. intervenuto dopo la scadenza del termine per la costituzione del convenuto ex art. 166 c.p.c. non determina la rimessione in termini dello stesso convenuto ai fini della sua tempestiva costituzione e, di conseguenza, restano ferme le decadenze già maturate a suo carico ai sensi dell’art. 167 c.p.c. ‘ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2394 del 03/02/2020; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8638 del 07/05/2020) .
Alla luce dei principi sopra ricordati e qui di nuovo affermati le doglianze articolate nel primo motivo risultano dunque infondate.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli ‘ artt. 38, 163, 164, 166, 167, 168 bis cpc nonche’ artt. 115 e 116 cpc violazione art. 25 della Costituzione’.
2.1 Anche il secondo motivo è infondato.
Orion ripropone, anche in tal caso, uno dei motivi di appello, insistendo per l’asserita incompetenza della sezione specializzata in materia di imprese, per essere di contro competente la sola sezione fallimentare a decidere la controversia. S ostiene che l’incompetenza in questione sarebbe rilevabile d’ufficio.
Sul punto va subito rilevato che l’eccezione in esame è stata formulata in primo grado tardivamente e pertanto risultava già inammissibile in quella sede sulla scorta delle motivazioni già sopra ricordate in relazione al primo motivo di ricorso. Peraltro, anche l’eccepito rilievo officioso avrebbe dovuto essere comunque speso e ntro l’udienza di cui all’art. 183 c od. proc. civ.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘ per violazione e falsa applicazione dell’art. 69 bis l.f. e dell’art. 2969 cc, con violazione e falsa applicazione anche degli artt. 163, 164, 166, 167, 168 bis cpc ‘.
3.1 RAGIONE_SOCIALE deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel non ritenere tempestiva l’eccezione di decadenza ex art. 69 bis l. fall. e che la stessa si sarebbe comunque dovuta rilevare d’ufficio. Ciò in quanto, secondo la ricorrente, si tratterebbe di norma speciale e riconducibile ad un interesse superiore, con conseguente rilevabilità da parte del giudicante.
3.2 La doglianza non è fondata.
Sul punto sono condivisibili le considerazioni già svolte dai giudici del merito, dovendosi ribadire ancora una volta la tardività e inammissibilità dell’eccezione di decadenza sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale aveva correttamente rilevato che ‘… la natura decadenziale del termine di cui all’art. 69 bis cit. può ritenersi ormai recepita anche dalla S.C., che ancora recentemente, quando si è riferita a tale termine,
lo ha qualificato come ‘decadenziale’ (cfr. Cass. 4.4.2017 n. 8680; 26.4.2017 n. 10233; 13.2.2019 n. 4244). Ciò posto, è noto che, in linea generale, la decadenza non può essere rilevata d’ufficio, ai sensi dell’art. 2969 c.c., salvo che la decadenza processuale non possa reputarsi dettata a protezione di un interesse pubblico superiore e, di conseguenza, sottratta alla disponibilità delle parti (cfr. Cass. 10.8.2007 n. 17630). Nella specie un superiore interesse pubblico alla definitività e certezza di atti negoziali privati non è evidentemente ravvisabile, sicché deve ritenersi che la decadenza non sia rilevabile d’ufficio ‘.
Occorre ribadire anche in questa sede la natura decadenziale del termine di cui all’art. 69 bis l. fall., con conseguenziale rilievo di parte dello stesso, ai sensi dell’art. 2 969 cod. civ. (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4244 del 13/02/2019).
Il quarto mezzo denuncia ‘ violazione e falsa applicazione artt. 2901 cc -violazione e falsa applicazione art. 112 cpc -violazione e falsa applicazione artt. 342 -343 -326 -332 cpc in riferimento all’art. 360, co. 1 n. 3 ‘.
4.1 Sostiene la società ricorrente che Corte territoriale, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., avrebbe accolto una domanda che il Fallimento non aveva proposto. Più in particolare, la Corte partenopea avrebbe accolto la domanda subordinata del Fallimento ex art. 2901 c.c. ed ex art. 66 l. fall., laddove tale ultima domanda non sarebbe stata mai proposta. Da ciò Orion deduce una extrapetizione.
4.2 La censura così proposta non ha pregio.
In realtà, la curatela fallimentare RAGIONE_SOCIALE aveva proposto, in via gradata e subordinata, domanda di revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., accolta, poi, dalla Corte d’Appello anche con riguardo alla cessione dell’imbarcazione.
Sul punto va chiarito che la Corte territoriale , nell’accogliere la domanda in questione, non ha richiamato il solo art. 2901 c.c., ma anche l’art. 66 l. fall., come desumibile implicitamente anche dal petitum della domanda avanzata in via subordinata dalla curatela. Come noto, infatti, l’art. 66 l. fall. sancisce semplicemente ed espressamente che: ‘il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitorie in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile ‘ .
Risulta evidente, dunque, che il curatore – per il sol fatto di aver intrapreso una azione revocatoria ordinaria, nell’interesse del fallimento e dunque della massa – avesse voluto introdurre domanda giudiziale riconducibile nel l’alveo applicativo de ll’art. 66 l. fall., senza necessità di eventuali ed ulteriori precisazioni. E che la Corte d’appello , laddove ha fatto espresso riferimento alla norma fallimentare, ha utilizzato un mero rafforzativo, senza incorrere in alcuna extrapetizione.
Il sesto mezzo denuncia invece ‘ violazione e falsa applicazione artt. 2901 cc e 66 l.f. -violazione e falsa applicazione art. 115 e 116 cpc -violazione e falsa applicazione art. 2697 ccin riferimento all’art. 360, co. 1 n. 3 ‘.
La società ricorrente propone infine anche un settimo motivo articolato come ‘ violazione e falsa applicazione artt. 2901 cc e 66 l.f. -violazione e falsa applicazione art. 115 e 116 cpc -violazione e falsa applicazione art. 2697 ccin riferimento all’art. 360, co. 1 n. 3 ulteriore profilo ‘.
7.2 Con il sesto e il settimo motivo la RAGIONE_SOCIALE deduce anzitutto che il fallimento, in ordine alle domande di revocatoria ordinaria, non avrebbe fornito la prova che il patrimonio residuo del debitore poi fallito era, al momento delle operazioni contestate, di dimensioni tali, in rapporto all’entità della propria complessiva esposizione debitoria, da esporre, con la conclusione della stessa, a rischio il soddisfacimento dei creditori.
7.3 Secondo Orion, sarebbe mancata la prova – il cui onere incombeva alla curatela attrice – della situazione economicopatrimoniale dell’impresa fallita, per come si presentava alle parti al momento del compimento dell’atto dispositivo impugnato, così come sarebbe mancata la prova dell ‘ incidenza di quest’ultimo sulla determinazione o sull’aggravamento del dissesto ed ancora in ordine alla consistenza e preesistenza di crediti rispetto all’atto revocato.
7.4 La ricorrente, altresì, contesta la pronuncia impugnata nella individuazione dell’elemento soggettivo, affermando che la Corte d’appello avrebbe effettuato una valutazione generica e priva di alcun riferimento a dati che ancorino con il necessario rigore la valutazione sul ricorrere o meno dell’elemento oggettivo ed anche soggettivo.
7.5 Le doglianze sono fondate limitatamente al profilo di contestazione dell’ eventus damni .
Sul punto giova ricordare che l’art. 66, comma 1, l. fall. compie un rinvio alla norme civilistiche in materia di azione revocatoria, attestando la natura derivata dell’azione proposta dal curatore ai sensi della richiamata norma, la quale, pur nella peculiarità del suo esercizio nell’ambito di una procedura concorsuale, rimane comunque retta dai requisiti sostanziali previsti dal disposto dell’art. 2901 c.c. Ne deriva che l’esercizio dell’azione pauliana ad opera del curatore comporta una deviazione dallo schema comune unicamente quanto a effetti, legittimazione e competenza, in ragione del contesto concorsuale da cui trae origine, ma non modifica i presupposti a cui sono correlati l’accoglimento dell’azione e la natura di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, sicché essa non postula un atto in frode suscettibile di aver determinato o aggravato lo stato di insolvenza (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 36033 del 22/11/2021).
Ciò posto, non sbaglia il mezzo in esame laddove sostiene che la Corte di appello, nel verificare i presupposti dell’azione sotto un profilo oggettivo, avrebbe dovuto esaminare la situazione economico-patrimoniale della azienda fallita così come si present ava alle parti all’epoca dell’atto dispositivo impugnato.
Orbene, la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare che il curatore fallimentare che intenda promuovere l’azione revocatoria ordinaria ha l’onere di provare tre circostanze per dimostrare la sussistenza dell’ eventus damni , costituite da: – la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; – la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; -il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto (così, vedi anche Cass. n. 36033/2021, cit. supra ).
Solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell’ eventus damni (Cass. 26331/2008, Cass. 19515/2019). E tale prova, nel caso in cui l’azione revocatoria ordinaria sia promossa ad opera di una procedura fallimentare ex
art. 66 l. fall., deve essere fornita dal curatore, non potendo trovare applicazione la regola generale prevista per l’azione pauliana secondo cui, a fronte dell’allegazione, da parte del creditore, delle circostanze che integrano l’ eventus damni , incombe sul debitore l’onere di provare che il patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare le ragioni della controparte (cfr. Cass. 1902/2015). Ciò in quanto il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito, mentre il convenuto, beneficiario dell’atto impugnato, non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa (così sempre, Cass. n. 36033/2021, cit. supra ). È dunque il fallimento ad essere onerato di fornire la prova che il patrimonio residuo del debitore fallito era di dimensioni tali, in rapporto all’entità della propria complessiva esposizione debitoria, da esporre a rischio il soddisfacimento dei creditori (Cass. 9565/2018, Cass. 2336/2018, Cass. 8931/2013).
7.6 Nel caso in esame il Collegio di merito ha tralasciato una simile indagine, limitandosi, ad affermare che sarebbe stato ‘ superfluo indugiare, agendo evidentemente il curatore a tutela dei molteplici creditori insinuati al passivo (cfr. il verbale di approvazione dello stato passivo) e considerato che la revocatoria ordinaria, esperibile dal curatore nel corso della procedura fallimentare, ai sensi dell’art. 66 L.F., si caratterizza, rispetto a quella contemplata dall’art. 2901 c.c., proprio per il fatto che è rivolta a tutelare tutti i creditori del fallito e può investire gli atti tanto posteriori quanto anteriori al sorgere dei singoli crediti, ove essi abbiano determinato od aggravato lo stato d’insolvenza ‘. Ed aggiungendo genericamente che dovesse pertanto ritenersi la sussistenza dell’ eventus damni , considerato che questo va individuato nel semplice ‘ pericolo od incertezza per la realizzazione del diritto da parte del creditore ‘ e che ‘ non è necessario che sussista già un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità ‘.
Nulla però è stato detto in ordine alla consistenza patrimoniale dell’impresa alla data della commissione degli atti dispositivi e, soprattutto, sulla
preesistenza di altri crediti che non sarebbero stati soddisfatti e che erano stati poi ammessi al passivo.
Si tratta, con tutta evidenza, di valutazioni (quelle espresse dai giudici del merito) generiche e prive di alcun riferimento a dati che ancorino con il necessario rigore la valutazione sul ricorrere dell’elemento oggettivo dell’azione alla specifica situazione venutasi a determinare, a seguito del perfezionamento degli atti in contestazione, rispetto alle ragioni creditorie più tardivamente ammesse al passivo e già esistenti in quel frangente.
7.7 Con riferimento al presupposto del consilium fraudis/scientia damni , le doglianze invece attingono il merito degli apprezzamenti già svolti dai giudici del merito con motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative, spingendosi le stesse a richiedere a questa Corte di legittimità un nuovo scrutinio della quaestio facti , peraltro sollecitato sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, con conseguenziale inammissibilità delle relative censure (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
Si impone pertanto, in accoglimento del sesto e settimo motivo, la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello competente per nuovo esame in relazione al presupposto dell’ eventus damni .
P.Q.M.
accoglie il sesto e settimo motivo nei limiti di cui in motivazione; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Napoli che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26.3.2025