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Azione revocatoria ordinaria: la prova del danno

Un istituto di credito aveva concesso un mutuo fondiario a una società, poi fallita, per estinguere un debito chirografario preesistente. Il tribunale aveva revocato l’ipoteca, ritenendola una garanzia per debito preesistente lesiva della par condicio creditorum. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha cassato la decisione, specificando che per l’azione revocatoria ordinaria non basta dimostrare la trasformazione del credito da chirografario a privilegiato. Il curatore fallimentare ha l’onere di provare il concreto pregiudizio, ovvero che il patrimonio residuo del debitore è diventato insufficiente a soddisfare gli altri creditori a seguito dell’atto. La Corte ha inoltre stabilito che, in caso di nullità della clausola sugli interessi per indeterminatezza, non si azzerano gli interessi ma si applica il tasso sostitutivo previsto dall’art. 117 TUB.

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Azione revocatoria ordinaria: la Cassazione chiarisce l’onere della prova

L’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. I Civile, n. 20801 del 25 luglio 2024, offre importanti chiarimenti sui presupposti dell’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore fallimentare. La decisione analizza il caso di un mutuo fondiario utilizzato per estinguere un debito preesistente, stabilendo principi cruciali sull’onere della prova del cosiddetto eventus damni, ovvero il pregiudizio effettivo per la massa dei creditori.

I Fatti di Causa

Una banca aveva concesso un mutuo fondiario a una società, le cui somme erano state interamente utilizzate per coprire un’esposizione debitoria pregressa della stessa società verso la medesima banca. In sostanza, un debito chirografario (non assistito da garanzie) era stato trasformato in un debito assistito da ipoteca. Successivamente, la società veniva dichiarata fallita.

Il curatore del fallimento, in sede di verifica del passivo, aveva eccepito la revocabilità dell’ipoteca ai sensi dell’art. 66 della Legge Fallimentare e 2901 del codice civile. Il Tribunale, in sede di opposizione, aveva accolto la tesi del curatore, revocando la garanzia ipotecaria. Secondo il giudice di merito, l’operazione costituiva un “negozio indiretto” che, munendo un credito preesistente di una garanzia prima inesistente, aveva creato un pregiudizio alla par condicio creditorum, integrando di per sé il requisito dell’eventus damni.

L’Azione Revocatoria Ordinaria e l’Onere della Prova

La banca ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione del Tribunale. La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso relativi alla revocatoria. I giudici hanno chiarito che, per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, non è sufficiente dimostrare la semplice trasformazione di un credito da chirografario a privilegiato. Questo atto, sebbene possa alterare l’ordine delle prelazioni, non costituisce automaticamente un danno per gli altri creditori.

Il presupposto oggettivo dell’azione, l’eventus damni, richiede una prova più rigorosa. Spetta al curatore, che agisce in giudizio, dimostrare che, a seguito dell’atto dispositivo (in questo caso, la concessione dell’ipoteca), il patrimonio residuo del debitore sia diventato insufficiente a soddisfare le ragioni degli altri creditori. In altre parole, il curatore deve provare che la capacità patrimoniale del debitore ha subito un mutamento qualitativo o quantitativo tale da rendere più incerta o difficile la riscossione dei crediti preesistenti.

La Questione della Clausola Interessi

L’ordinanza ha affrontato anche un’altra questione, relativa alla domanda di ammissione al passivo per la quota di interessi. Il Tribunale aveva escluso totalmente gli interessi dal passivo, dichiarando nulla la clausola contrattuale per indeterminatezza. La clausola, infatti, pur indicando come parametro l’Euribor, non specificava il divisore da utilizzare per il calcolo (360 o 365 giorni).

Su questo punto, la Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso della banca che sosteneva la determinabilità del tasso, ma ha accolto quello relativo alle conseguenze della nullità. La Corte ha stabilito che la nullità di una clausola sugli interessi per indeterminatezza non comporta l’azzeramento degli stessi. In applicazione dell’art. 117, comma 7, del Testo Unico Bancario (TUB), la clausola nulla viene sostituita di diritto dalla norma imperativa, che prevede l’applicazione di tassi sostitutivi. Pertanto, gli interessi erano dovuti, ma nella misura stabilita dalla legge.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha motivato la sua decisione sull’azione revocatoria richiamando la sua consolidata giurisprudenza. L’onere di provare la sussistenza dell’eventus damni grava sempre sul curatore fallimentare. Egli deve dimostrare non solo l’esistenza di crediti anteriori all’atto impugnato e rimasti insoddisfatti, ma anche la concreta diminuzione della garanzia patrimoniale generica a seguito di tale atto. Il semplice fatto che un creditore abbia ottenuto un vantaggio non è, da solo, prova del danno per gli altri. La decisione del Tribunale è stata cassata perché non ha verificato se, al momento della concessione dell’ipoteca, esistessero altri creditori e se il patrimonio residuo fosse divenuto incapiente a soddisfarli. Per quanto riguarda la clausola interessi, la Corte ha ribadito il principio di conservazione del contratto e di sostituzione automatica delle clausole nulle con norme imperative, come previsto dal sistema del diritto bancario a tutela della trasparenza e del corretto funzionamento del mercato.

Conclusioni

Questa ordinanza è di notevole importanza pratica. Per i curatori fallimentari, essa ribadisce la necessità di un’istruttoria rigorosa per poter esperire con successo un’azione revocatoria ordinaria: non basta allegare un pregiudizio astratto alla par condicio, ma occorre provare concretamente l’incapienza del patrimonio residuo del debitore. Per gli istituti di credito, la sentenza chiarisce che la nullità di una clausola sugli interessi per indeterminatezza non cancella il loro diritto a percepire un corrispettivo per il finanziamento, che verrà ricalcolato secondo i tassi sostitutivi di legge. La decisione, quindi, bilancia la tutela della massa dei creditori con la certezza dei rapporti giuridici e la stabilità dei contratti bancari.

Quando un curatore fallimentare può revocare un’ipoteca concessa per un debito preesistente?
Il curatore può chiedere la revoca se dimostra che l’atto di concessione dell’ipoteca ha causato un pregiudizio concreto agli altri creditori. Non è sufficiente provare che un debito non garantito è diventato garantito, ma è necessario dimostrare che, a seguito di ciò, il patrimonio residuo del debitore è diventato insufficiente a pagare gli altri debiti preesistenti.

Chi deve provare il danno nell’azione revocatoria ordinaria?
L’onere di provare il danno (eventus damni) grava interamente sul curatore fallimentare che esercita l’azione. Egli deve dimostrare sia l’esistenza di crediti anteriori all’atto da revocare e rimasti insoddisfatti, sia il mutamento peggiorativo del patrimonio del debitore che ha reso più difficile o incerto il loro soddisfacimento.

Cosa succede se la clausola che determina il tasso di interesse in un mutuo è nulla perché indeterminata?
Se la clausola è nulla per indeterminatezza (ad esempio, per mancata indicazione del divisore 360 o 365), il creditore non perde il diritto agli interessi. La clausola nulla viene sostituita di diritto con i tassi previsti dall’art. 117, comma 7, del Testo Unico Bancario, e gli interessi devono essere ricalcolati sulla base di tali tassi sostitutivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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