Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27768 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 27768 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15819/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE giusta procura speciale notarile in atti
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 853/2020 depositata il 5/2/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/9/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico RAGIONE_SOCIALE, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi gli AVV_NOTAIO per l’AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e NOME COGNOME per l’AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 15726/2015, rigettava l’azione revocatoria fallimentare introdotta da RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria (nel prosieguo, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) al fine di sentir dichiarare l’inefficacia di tre pagament i (di $ 339.250 ciascuno) costituenti il corrispettivo per la locazione di aeromobili.
La Corte distrettuale di Roma, con sentenza pubblicata in data 5 febbraio 2020, riteneva infondato l’appello presentato da RAGIONE_SOCIALE.
Escludeva, in particolare, l’esistenza di un rapporto di specialità fra l’art. 13 Reg. CE 1346/2000 e l’art. 14 l. 218/1995, giacché la prima norma addossa al soggetto che ha beneficiato di un atto potenzialmente pregiudizievole per la massa dei creditori l’onere di dimostrare che il pagamento è sottratto a mezzi di impugnativa, mentre la seconda, facendo applicazione del principio iura novit curia , si occupa della conoscenza della legge straniera da parte del giudicante.
Constatava che un simile rilievo inficiava il motivo di appello che lamentava l’errata gestione dell’onere della prova in prime cure e il deposito di produzione documentali in violazione dell’art. 183 cod. proc. civ..
Evidenziava che il tribunale aveva escluso che nei pagamenti potessero rinvenirsi anomalie da cui fosse possibile ricavare l’intenzione di RAGIONE_SOCIALE di favorire RAGIONE_SOCIALE, osservando che le contestazioni mosse a questo proposito dall’appellante risultavano inammissibili, dato che non avevano formato oggetto di specifica allegazione in primo grado.
Aggiungeva che peraltro l’istanza di riaprire l’istruttoria, al fine di provare la sussistenza del quinto requisito di cui all’art. 239 dell’Insolvency Act, peccava di genericità, poiché non erano stati indicati i mezzi di prova richiesti e i relativi temi.
Sosteneva, infine, che il requisito posto dall’art. 13 Reg. CE 1346/2000 doveva essere interpretato, secondo un canone di ragionevolezza, nel senso che non poteva essere la mera ed astratta possibilità di proposizione di un rimedio giurisdizionale ad escludere l’esenzione del pagamento dalla revocatoria, ma la ponderata prognosi dell’esito di quella impugnativa, prognosi che era stata formulata, in maniera argomentata e in termini condivisibili, all’interno della decisione impugnata nel senso della molto pi ù che probabile infondatezza dell’impugnativa dei pagamenti basata sull’intenzione di RAGIONE_SOCIALE di avvantaggiare RAGIONE_SOCIALE rispetto agli altri suoi creditori.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
Il AVV_NOTAIO Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 378 cod. proc. civ., sollecitando il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso assume che la Corte distrettuale abbia erroneamente ritenuto applicabile l’art. 14 l. 218/1995, ai sensi del quale l’accertamento della legge straniera è compito d’ufficio del giudice, escludendo la sussistenza di un rapporto di specialità fra questa norma e l’art. 13 Reg. CE 1346/2000.
Se fosse realmente applicabile il principio iura novit curia si svuoterebbe di senso -a dire di parte ricorrente – una norma chiarissima nel prevedere, attraverso una disciplina speciale, un preciso onere probatorio in capo alla parte convenuta in revocatoria.
Occorreva considerare, invece, che la regola generale secondo cui è compito del giudice nazionale accertare il contenuto della legge straniera viene meno in tutti quei casi, come quello di specie, in cui una norma speciale preveda uno specifico onere probatorio, in capo a una parte del giudizio, di dimostrare il contenuto di un singolo aspetto della legge di un altro paese.
5. Il motivo non è fondato.
5.1 È utile ricordare, innanzitutto, il quadro normativo di riferimento per la soluzione della questione in esame.
L’art. 4 Reg. CE 1346/2000, in materia di procedure di insolvenza, stabilisce che, ‘ salvo disposizione contraria del presente regolamento, si applica alla procedura di insolvenza e ai suoi effetti la legge dello Stato membro nel cui territorio è aperta la procedura, in appresso denominato «Stato di apertura» ‘ (par. 1); ‘ La legge dello Stato di apertura determina le condizioni di apertura, lo svolgimento e la chiusura della procedura di insolvenza. Essa determina in particolare: … m) le disposizioni relative alla nullità, all’annullamento o all’inopponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori ‘ (par. 2).
L’art. 13 del medesimo regolamento prevede che ‘ non si applica l’articolo 4, paragrafo 2, lettera m), quando chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori prova che: – tale atto è soggetto alla legge di uno Stato contraente diverso dallo Stato di apertura, e che – tale legge non consente, nella fattispecie, di impugnare tale atto con alcun mezzo ‘.
L’art. 14 l. 218/1995 (rubricato ‘ Conoscenza della legge straniera applicabile ‘) prescrive che ‘ l’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice. A tal fine questi può avvalersi, oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali, di informazioni acquisite per il tramite del RAGIONE_SOCIALE; può altresì interpellare esperti o istituzioni specializzate (comma 1). Qualora il giudice non riesca ad accertare la legge
straniera indicata, neanche con l’aiuto delle parti, applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana (comma 2).
5.2 Parte ricorrente sostiene che esiste un rapporto di genere a specie fra l’art. 14 l. 218/1995 e l’art. 13 Reg. CE 1346/2000, nel senso che la prima norma contiene -in tesi – una regola generale che affida al giudice il compito di accertare il contenuto della legge straniera, mentre la seconda deroga a questa disciplina attribuendo alla parte l’onere probatorio di dimostrare, fra l’altro (e in primo luogo), il contenuto dell’aspetto della legge straniera che viene di volta in volta in rilievo.
Un simile assunto contrasta con la lettera e, soprattutto, con la natura delle due norme, che non possono essere poste in correlazione, in termini di specialità, nel senso voluto dall’odierno ricorrente.
Invero, il contenuto della norma europea si rapporta, testualmente, al precedente art. 4, par. 2, lett. m), Reg. CE 1346/2000 ed introduce in forma esplicita un rapporto di specialità rispetto a quella disposizione, non certo all’art. 14 l. 218/1995.
D’altra parte, non è neppure ipotizzabile un rapporto di specialità nel senso voluto dall’odierna ricorrente, perché, a mente dell’art. 288 TFUE (ex art. 249 TCE), il regolamento, per sua natura, ha portata generale, disponendo in ordine a categorie considerate astrattamente e nel loro insieme, ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, cosicché non può introdurre in via particolare un’eccezione a una regola prevista dalla normativa nazionale di un singolo Stato membro.
La Corte di merito, dunque, ha correttamente escluso che l’art. 13 Reg. CE 1346/2000 abbia carattere speciale e derogatorio dell’art. 14 l. 218/1995, tenendo distinti gli ambiti di rispettiva operatività.
Infatti , gli artt. 4 e 13 Reg. CE 1346/2000 codificano l’uno la regola generale volta a individuare la legge nazionale applicabile alla procedura di insolvenza anche per quanto concerne la nullità, l’annullamento o l’inopponibilità degli atti pregiudizievoli per la massa dei creditori, l’altro l’eccezione a tale regola, attribuendo espressamente al beneficiario di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori l’onere della prova del ricorrere, ‘nella fattispecie’, dei presupposti per l’applicazione di una legge diversa in via di eccezione.
L’art. 14 l. 218/1995 riguarda, invece, un profilo totalmente diverso, costituito dalla conoscenza della legge straniera applicabile alla fattispecie in esame e dalle modalità con cui il giudice può compiere questo accertamento, che rimane del tutto estraneo al contenuto delle norme comunitarie in discorso e alle finalità dalle stesse perseguito.
I rapporti fra le due norme non si pongono, perciò, in termini di specialità dell’una rispetto all’altra, ma di complementarietà, nel senso che l’una (l’art. 13) deve essere applicata per attribuire l’onere probatorio in ordine al fatto che l’atto revocand o è soggetto alla legge nazionale di uno Stato diverso dallo Stato di apertura della procedura di insolvenza e che tale legge non consente, nella fattispecie, di impugnare tale atto con alcun mezzo, l’altra (l’art. 14) viene in rilievo, una volta acclarata la legge nazionale da applicare secondo le regole eurounitarie, per acquisire la conoscenza della norma straniera che disciplinava l’atto nel momento in cui lo stesso è stato posto in essere.
5.2 È opportuno a questo punto ricordare che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, occupandosi delle norme del regolamento in discorso, ha spiegato (con la sentenza n. 73 del 22 aprile 2021, COGNOME contro NOME) ‘ 22. … che l’articolo 13 del regolamento n. 1346/2000 prevede una deroga alla regola generale, sancita all’articolo 4, paragrafo 1, di tale regolamento, secondo la
quale la legge applicabile alla procedura di insolvenza e ai suoi effetti è quella dello Stato membro nel cui territorio è aperta la procedura (sentenza del 16 aprile 2015, Lutz, C-557/13, EU:C:2015:227, punto 34). 23. Ai sensi dello stesso articolo 13, l’ articolo 4, paragrafo 2, lettera m), del regolamento medesimo non trova applicazione nel caso in cui colui che abbia beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori provi che tale atto è soggetto alla legge di uno Stato contraente diverso dallo Stato nel cui territorio sia stata avviata la procedura di insolvenza e che tale legge non consenta, nella specie, di impugnare l’atto con alcun mezzo. 24. Come ricordato al considerando 24 del regolamento n. 1346/2000, tale deroga, volta a tutelare le aspettative legittime e la certezza delle transazioni negli Stati membri diversi da quello in cui la procedura di insolvenza è stata aperta, dev’essere interpretata restrittivamente e la sua portata non può andare al di là di quanto necessario per il conseguimento di tale obiettivo (sentenza del 15 ottobre 2015, RAGIONE_SOCIALE, C-310/14, EU:C:2015:690, punto 18 e giurisprudenza ivi citata). 25. Quanto all’obiettivo perseguito dall’articolo 13 del regolamento n. 1346/2000, la Corte ha dichiarato che quest’ultimo mira a tutelare il legittimo affidamento di chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori, prevedendo che tale atto rimarrà disciplinato, anche dopo l’apertura di una procedura di insolvenza, dal diritto che era ad esso applicabile alla data in cui tale atto è stato realizzato (sentenza dell’8 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE,C-54/16, EU:C:2017:433, punto 30 e giurisprudenza ivi citata)’.
In precedenza, la medesima Corte, con la sentenza C-310/2014 del 15 ottobre 2015, RAGIONE_SOCIALE, ha avuto occasione di chiarire che: ‘ 20. Orbene, da questa finalità si evince chiaramente che l’applicazione dell’articolo 13 del regolamento n. 1346/2000 esige che si tenga conto di tutte le
circostanze della fattispecie. Infatti, non potrebbe sussistere legittimo affidamento sul fatto che la validità di un atto sarà valutata, dopo l’apertura di una procedura di insolvenza, a prescindere da tali circostanze, laddove, se una procedura siffatta non viene avviata, esse dovrebbero invece essere tenute in considerazione. 21. Oltretutto, l’obbligo di interpretare in maniera restrittiva l’eccezione stabilita dall’articolo 13 del regolamento citato osta ad una interpretazione estensiva della portata di tale articolo, che consenta a colui che ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori di sottrarsi all’applicazione della lex fori concursus eccependo solo in maniera meramente astratta il carattere non impugnabile dell’atto interes sato sulla base di una disposizione della lex causae. 22. Pertanto, occorre rispondere alla prima questione che l’articolo 13 del regolamento n. 1346/2000 deve essere interpretato nel senso che la sua applicazione è assoggettata alla condizione che l’atto interessato non possa essere impugnato sul fondamento della lex causae, tenuto conto di tutte le circostanze della fattispecie’.
Ora, se l’art. 13 Reg. CE 1346/2000 è funzionale alla tutela del ‘legittimo affidamento di chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori, prevedendo che tale atto rimarrà disciplinato, anche dopo l’apertura di una procedura di insolvenza, dal diritto che era ad esso applicabile alla data in cui tale atto è stato realizzato’ e deve essere interpretato restrittivamente, in modo che la sua portata non vada ‘al di là di quanto necessario per il conseguimento di tale obiettivo’, ‘nel s enso che la sua applicazione è assoggettata alla condizione che l’atto interessato non possa essere impugnato sul fondamento della lex causae, tenuto conto di tutte le circostanze della fattispecie’ , allora non si può che constatare come la norma, per il conseguimento di una simile finalità, addossi al beneficiario dell’atto pregiudizievole per la massa dei creditori l’onere di provare, rispetto alla concreta fattispecie presa in esame,
che l’atto, alla data in cui era stato realizzato, era sottoposto alla legge di uno Stato contraente diverso dallo Stato di apertura della procedura concorsuale e che tale legge non consente di impugnare un simile atto con alcun mezzo.
Non si tratta quindi, come giustamente ha sostenuto la Corte territoriale, di provare il contenuto della norma straniera o la mera ed astratta possibilità di proposizione di un rimedio giurisdizionale ad escludere l’esenzione da revocatoria, bensì che le c aratteristiche del caso concreto, valutate al lume del disposto di legge applicabile all’atto alla data in cui esso è stato realizzato, facciano sì che lo stesso non sia revocabile.
6. Il secondo mezzo assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto applicabile l’esenzione prevista dall’art. 13 Reg. CE 1346/2000: l’art. 239 dell’Insolvency Act del 1986 prevede che i pa gamenti siano revocabili nel caso in cui, fra l’altro, la società debitrice, nell’effettuare il pagamento, sia stata influenzata dal desiderio (‘ influenced by the desire ‘) di avvantaggiare il beneficiario. RAGIONE_SOCIALE, essendo pacifico il ricorrere degli altri presupposti, non aveva fornito la prova -a dire di parte ricorrente -della sussistenza dei requisiti di fatto per la non impugnabilità dei pagamenti oggetto di revocatoria, con riferimento all’assenza del cd. ‘desire’.
La Corte di merito, inoltre, avendo consentito alla parte convenuta di fornire tardivamente la prova (in ordine al contenuto della legge inglese) di cui era onerata, doveva riaprire l’istruttoria, onde consentire alla procedura di dedurre istanze istruttorie a controprova rispetto alla prova tardivamente resa.
7. Il motivo è inammissibile.
La Corte distrettuale, dopo aver rappresentato che il primo giudice aveva escluso che nei pagamenti effettuati potessero rivenirsi anomalie da cui fosse possibile ricavare l’intenzione di RAGIONE_SOCIALE di favorire RAGIONE_SOCIALE, dapprima ha ritenuto che le contestazioni sollevate
a questo specifico proposito dall’appellante fossero inammissibili, dato che non avevano formato oggetto di specifica allegazione in prime cure, aggiungendo, poi, che la richiesta di riaprire l’istruttoria a questo proposito era generica.
Si tratta di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggere la decisione in ordine all’inammissibilità, in appello, delle contestazioni volte a sostenere la tesi che RAGIONE_SOCIALE fosse stata influenzata dal desiderio di avvantaggiare RAGIONE_SOCIALE, perché tardivamente prospettate e comunque perché sorrette da istanze istruttorie di estrema genericità.
L’omessa impugnazione della prima ragione offerta rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa all’altra, la quale in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (si vedano in questo senso, ex multis , Cass. 9752/2017, Cass., Sez. U., 7931/2013).
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Va disattesa, infine, la richiesta (contenuta alle pagg. 21 e 22 del controricorso) di condanna al risarcimento danni ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., non ravvisandosi la sussistenza dei presupposti della mala fede o colpa grave della parte soccombente.
Questa Corte, infatti, ha chiarito che la responsabilità di cui all’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. presuppone, sotto il profilo soggettivo, una concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente, perché agire in giudizio per far valere una pretesa non è di per sé condotta rimproverabile anche se questa si riveli infondata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 10.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 23 settembre 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente