Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20550 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20550 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2966/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Bari INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 1646/2022 depositata il 10/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Banca Carime S.p.A., poi UBI Banca S.p.A. e ora Intesa Sanpaolo S.p.A., conveniva in giudizio i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME. L’istituto di credito chiedeva di dichiarare l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto di costituzione di un fondo patrimoniale, stipulato il 9 marzo 2012, avente ad oggetto immobili di proprietà dei convenuti.
A fondamento della domanda, la parte attrice deduceva di essere creditrice dei coniugi COGNOME in virtù di garanzie fideiussorie da questi rilasciate a copertura delle obbligazioni assunte dalla società RAGIONE_SOCIALE Secondo la banca, la costituzione del fondo patrimoniale pregiudicava la garanzia patrimoniale generica sui beni dei debitori, integrando gli estremi sia del consilium fraudis sia dell’ eventus damni richiesti per la revocatoria ex art. 2901 c.c.
I convenuti, costituitisi in giudizio, contestavano la sussistenza del credito vantato dalla banca attrice. Eccepivano inoltre la nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust (legge n. 287/1990), deducendo che le relative clausole contrattuali riproducessero lo schema predisposto dall’ABI, già censurato dalla Banca d’Italia con provvedimento del 2005.
Con la sentenza n. 3078/2020, il Tribunale di Bari rigettava l’eccezione di nullità delle fideiussioni, ritenendola priva di riscontro probatorio. In particolare, rilevava che i convenuti non avevano prodotto né lo schema ABI contestato né il provvedimento della Banca d’Italia invocato, e che difettava la prova di un’uniforme adozione di tali clausole nel mercato bancario.
Nel merito, il giudice accertava che il credito vantato dalla banca era anteriore all’atto dispositivo impugnato. Rilevava inoltre che, nel costituire il fondo patrimoniale, i convenuti erano consapevoli del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie dell’istituto, integrando così il requisito del consilium fraudis . Il Tribunale evidenziava altresì che la costituzione del fondo patrimoniale aveva comportato una concreta diminuzione della garanzia patrimoniale generica per il creditore, configurando l’ eventus damni . Pertanto, ritenuti integrati tutti i presupposti di legge per l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., il Tribunale dichiarava l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale nei confronti della banca attrice. Con sentenza n. 1646/2022 pubblicata il 10/11/2022, la Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza impugnata e rigettava
l’appello proposto dai sig.ri COGNOME e COGNOME.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla nullità parziale della fideiussione omnibus, dalla stessa proposta in primo grado e ribadita in appello, e comunque rilevabile ex officio, con conseguente nullità della sentenza impugnata (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Sostiene che detta garanzia sarebbe nulla per violazione della normativa antitrust , con conseguente inammissibilità della domanda revocatoria ex art. 2901 c.c. promossa dalla banca, per mancanza del relativo titolo.
Inoltre, sottolinea come una declaratoria di nullità parziale travolgerebbe l’art. 6 della fideiussione, ossia la clausola derogatoria alla disciplina dell’art. 1957 c.c., per cui, non avendo la banca avviato le sue iniziative giudiziarie contro il debitore principale nei sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, sarebbe venuta meno pure l’obbligazione dei garanti.
A nulla poi rileverebbe l’anteriorità delle intese anticoncorrenziali rispetto al provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005, attesa la sua applicabilità anche a tali intese e l’ininfluenza del suo mancato deposito così come degli schemi ABI ivi censurati, stante la loro facile reperibilità e assimilabilità ai fatti noti, in quanto recepiti nell’ordinanza della Suprema Corte n. 29810/2017.
4.1. Con il secondo motivo denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 132, comma 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
La motivazione della sentenza sarebbe meramente apparente, in quanto non renderebbe percepibile il percorso logico-giuridico che ha condotto il giudice del gravame a respingere la domanda di decadenza ex art. 1957 c.c.
E ciò, perché, dopo aver riferito che, a seguito della decisione delle Sezioni Unite n. 41994/2021, le fideiussioni omnibus censurate dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55/2005 per violazione della disciplina antitrust sono nulle parzialmente, ‘non ha poi tratto le dovute conseguenze, in termini appunto di nullità parziale delle clausole negoziali in commento’ (v. pp. 51 -52, ricorso).
4.1.1. I motivi di ricorso, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Non ricorre, anzitutto, il vizio di omessa pronuncia dedotto ai sensi dell’art. 112 c.p.c. Infatti, la Corte d’appello ha espressamente affrontato la questione della nullità parziale della fideiussione omnibus, osservando che, pur essendo astrattamente configurabile la nullità per violazione della normativa antitrust, nel caso concreto i ricorrenti non avevano fornito la prova del contenuto delle clausole censurate, della loro adozione uniforme nel mercato bancario e della loro incidenza causale nella conclusione del contratto (cfr. p. 9 ss. sentenza impugnata n. 1646/2022).
La doglianza si risolve, dunque, in una mera contestazione della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, senza che venga denunciata una reale omissione decisoria né siano formulate critiche idonee a scalfire la ratio decidendi della pronuncia impugnata (v., da ultimo, Cass. civ., Sez. V, Ord., 13 marzo 2025, n. 6687; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 10 marzo 2025, n. 6397; Cass. civ., Sez. V, Ord., 11 gennaio 2025, n. 730).
Parimenti inammissibili sono le censure motivate sotto il profilo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto non emergono anomalie motivazionali riconducibili agli standard indicati dalle Sezioni Unite (Cass., n. 8053/2014), come una motivazione inesistente, apparente o affetta da insanabili contraddizioni logiche.
La Corte territoriale ha illustrato con chiarezza le ragioni per cui ha ritenuto valida la fideiussione, specificando che non era emersa prova sufficiente circa l’illiceità delle clausole o la loro influenza sulla formazione del contratto, né era stata formalmente dedotta la decadenza ex art. 1957 c.c.
4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza di secondo grado per violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
Contestano la decisione della Corte d’appello per aver ritenuto tardiva la loro eccezione di decadenza della Banca ex art. 1957 c.c., lamentando una motivazione inesistente o apparente ovvero
un error in procedendo o forse meglio in iudicando commesso dal Giudice di Appello che ha fatto cattiva applicazione della disciplina delle preclusioni processuali ed in specifico dell’art. 167 c.p.c.’ (v. p. 55, ricorso).
4.3.1. Il motivo è inammissibile.
Esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 n. 4 e 6 c.p.c.
Il motivo è formulato in termini generici e cumulativi, e la doglianza si sostanzia in realtà nella mera contestazione della valutazione delle emergenze processuali e probatorie compiuta dalla c orte d’appello, la quale ha espressamente affrontato e rigettato la questione relativa alla presunta decadenza della banca dal beneficio fideiussorio ex art. 1957 c.c.
La Corte ha infatti ritenuto che tale eccezione, oltre a non risultare formalmente proposta, sarebbe comunque inapplicabile nella fattispecie, motivando in modo logico, coerente e conforme ai canoni costituzionali di sufficienza della motivazione (cfr. Cass., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. civ., Sez. V, ord. 9 ottobre 2024, n. 26349).
La motivazione offerta dalla corte territoriale consente di ricostruire in modo chiaro l’iter logico -giuridico seguito, escludendo qualsivoglia vizio di apparenza o contraddittorietà. Le ulteriori censure, incentrate su un presunto difetto di motivazione, sono pertanto assorbite, risultando inammissibili per le medesime ragioni già illustrate nell’esame dei primi due motivi.
4.4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1957, 2901 e 1419 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., ‘nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che la decadenza della Banca ex art. 1957 c.c. non possa essere oggetto d’indagine nel giudizio per revocatoria’ (cfr. p. 55, ricorso).
Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente affermato che ‘nel giudizio per revocatoria, un accertamento con efficacia di
giudicato circa la sussistenza del credito vantato da chi agisce in revocatoria, potrebbe portare ad un insanabile contrasto di giudicati, qualora nel giudizio in cui si discute sulla esistenza del credito si dovesse pervenire ad una decisione contrastante con quello del giudizio per revocatoria’ (v. p. 56, ricorso). Problema che, nel giudizio de quo, non si porrebbe, dal momento che non si discute di ‘un accertamento sulla esistenza o meno di un credito, ma della esistenza e validità del contratto (la fideiussione) in forza del quale il creditore abbia fondato la sua legittimazione ad agire’ (v. p. 63, ricorso). Nel caso, poi, sulla base dell’eccezione di nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust , la Corte d’appello avrebbe dovuto respingere la revocatoria ex art. 1957 c.c., per essere la Banca decaduta dalla possibilità di agire nei confronti del garante.
4.4.1. Lamentano che la statuizione della c orte d’appello secondo cui la questione relativa alla decadenza della banca ex art. 1957 c.c. non poteva costituire oggetto di esame nel giudizio di revocatoria, trattandosi di un profilo afferente esclusivamente all’accertamento del credito, e dunque estraneo all’oggetto del processo.
La doglianza è inammissibile.
Giusta principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, quando la decisione impugnata si fonda su una pluralità di rationes decidendi autonome, ciascuna delle quali giuridicamente sufficiente a sorreggere la pronuncia, la mancata impugnazione di anche solo una di esse comporta l’inammissibilità della censura relativa alle altre, per difetto di interesse (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 2 gennaio 2025, n. 48; Cass. civ., Sez. V, Ord., 1° aprile 2025, n. 8608).
Nella specie la c orte d’appello ha basato la propria decisione su due rationes decidendi distinte: da un lato, l’assenza di prova circa l’illiceità delle clausole fideiussorie censurate e l’assenza di elementi
idonei a dimostrare che, senza le clausole vietate, il contratto non sarebbe stato stipulato; dall’altro, la non rilevanza, ai fini dell’azione revocatoria, della questione relativa alla decadenza della banca. I ricorrenti si limitano a censurare esclusivamente questa seconda ratio decidendi , omettendo ogni critica alla prima. Ne discende, in applicazione dei principi sopra richiamati, l’inammissibilità del motivo per carenza di interesse.
Va peraltro evidenziato che la c orte d’appello ha correttamente escluso l’esistenza di una pregiudizialità necessaria tra il giudizio di revocatoria e l’eventuale giudizio sul credito garantito, rilevando che l’art. 2901 c.c. richiede la semplice esistenza di una ‘ragione di credito’, anche non definitivamente accertata, ai fini della legittimazione all’azione.
In tale prospettiva, correttamente il giudice di secondo grado ha escluso l’applicabilità dell’istituto della sospensione necessaria del processo (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 26 marzo 2025, n. 8031).
4.5. Con il quinto motivo, i ricorrenti, in subordine ai precedenti motivi, denunziano, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. ‘nella parte in cui la sentenza appellata ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’azione ex art. 2901 c.c., e ciò in relazione all’elemento oggettivo, soggettivo e al credito’ .
Lamentano non essere sufficiente la mera aspettativa creditoria per agire in revocatoria, dovendo la Banca dimostrare l’esistenza e la validità del credito.
Deducono che quest’ultima non ha assolto ai propri obblighi informativi e contabili (per non aver rendicontato, al debitore e ai garanti, come aveva impiegato le somme giacenti sul conto corrente), contestando l’esistenza di detto credito. Così come l’eventus damni, dal momento che la costituzione del fondo patrimoniale, non determinando alcun trasferimento della proprietà o del possesso dei relativi immobili a terzi, non avrebbe
pregiudicato la Banca, che avrebbe potuto soddisfarsi col ricavato della vendita degli immobili della obbligata principale (RAGIONE_SOCIALE, per un valore superiore a 5milioni di euro, come da perizia in atti. Altrettanto inesistenti sarebbero i requisiti del consilium fraudis e della scientia decotionis , dal momento che il fondo patrimoniale è stato costituito circa tre anni prima della richiesta di pagamento della Banca, quando non vi sarebbe stata morosità né in capo all’obbligata principale né ai garanti.
Infine, sostiene che l’atto dispositivo de quo avrebbe natura onerosa e non gratuita, come sarebbe stato erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello, essendo stato compiuto per compensare i figli del lavoro svolto nell’impresa familiare. Pertanto, ai fini della configurabilità del consilium fraudis , sarebbe stata necessaria la partecipatio fraudis , nel caso insussistente.
4.5.1. Il motivo è inammissibile.
Con tale motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., contestando la decisione della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto integrati i presupposti dell’azione revocatoria, in particolare quanto alla sussistenza del credito, dell ‘eventus damni e del consilium fraudis.
La censura non riveste tuttavia i requisiti di contenuto e forma richiesti dall’art. 360, 1 comma n. 3, c.p.c. e dall’art. 366, 1 comma n. 4, c.p.c., risultando, di fatto, diretta non a far valere un effettivo vizio di sussunzione della fattispecie nella norma regolatrice, bensì a sollecitare una rivalutazione del merito, mediante una lettura alternativa degli elementi probatori.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di cui all’art. 360, 1 comma n. 3, c.p.c. deve essere dedotto non solo mediante l’indicazione della norma violata, ma anche attraverso la specifica individuazione delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata che si assumono in contrasto con essa e con il relativo orientamento interpretativo della giurisprudenza prevalente (cfr.
Cass. civ., Sez. III, 26 luglio 2024, n. 20870; Cass. civ., Sez. V, Ord., 3 settembre 2024, n. 23540).
Nella specie i ricorrenti si limitano a reiterare argomentazioni già prospettate nei precedenti gradi di giudizio, senza confrontarsi criticamente con la motivazione resa dalla Corte territoriale, che ha, invece, esaminato analiticamente le risultanze istruttorie, giungendo -con argomentazioni logiche, coerenti e conformi ai principi giurisprudenziali -alla conclusione della sussistenza di tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda revocatoria (cfr. pp. 11-14 della sentenza impugnata).
In tal modo, la doglianza si risolve in una critica al convincimento del giudice di merito in ordine all’apprezzamento delle prove, che, come noto, è insindacabile in sede di legittimità, salvo il caso -qui non ricorrente -di motivazione apparente, perplessa, illogica o incomprensibile (Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. civ., Sez. lav., 7 agosto 2024, n. 22358).
A tale stregua, non risulta invero prospettata una violazione di legge in senso proprio, né un’effettiva incoerenza logico -giuridica della motivazione, ma soltanto un’alternativa lettura dei fatti già esaminati e valutati in modo adeguato dalla Corte d’appello.
4.6. Con il sesto motivo i ricorrente denunciano, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 115, 116, 177, 187, 188, 189, 191, 210, 230, 244 e 263 c.p.c., avuto riguardo alla mancata ammissione delle loro istanze istruttorie, avanzate in primo grado e ribadite in appello.
Si dolgono dell’erroneità del rigetto delle loro istanze.
4.6.1. Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti contestano la valutazione probatoria svolta dalla Corte d’appello, lamentando in particolare l’omessa ammissione di mezzi istruttori richiesti, tra cui la prova testimoniale.
Atteso che l’attività di valutazione delle prove da parte del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, salvo il caso di motivazione illogica o fondata su erronei principi di diritto (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 8 febbraio 2024, n. 3580; Cass. civ., Sez. I, Ord., 29 novembre 2023, n. 33173) , va d’altro canto osservato che i ricorrenti non allegano né la decisività del mezzo istruttorio richiesto né le ragioni per cui la prova avrebbe potuto condurre a una diversa decisione.
La doglianza si risolve, pertanto, in una generica contestazione dell’operato del giudice del merito, senza il necessario rispetto degli oneri di specificità imposti dagli artt. 360 e 366 c.p.c.
In proposito, va richiamato l’orientamento consolidato secondo cui ‘sono inammissibili le censure relative alla mancata ammissione della prova testimoniale ove non si alleghi, con specificità, la decisività della prova stessa e le ragioni della sua pertinenza rispetto ai fatti decisivi per il giudizio’ (cfr. Cass. civ., Sez. III, Ord., 7 febbraio 2025, n. 3114; Cass. civ., Sez. II, Ord., 28 novembre 2024, n. 30630).
Va d’altro canto osservato che la c orte d’appello ha ritenuto le prove richieste -sia quelle dirette a contestare la sussistenza del credito della banca, sia quelle volte a dimostrare la natura onerosa del fondo patrimoniale -superflue e irrilevanti rispetto al thema decidendum . La motivazione resa è congrua, logica e rispettosa dei principi di diritto applicabili, avendo i giudici di merito escluso l’ammissione di prove non decisive e correttamente argomentato tale esclusione.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società Intesa San Paolo s.p.a., seguono la soccombenza.
I ricorrenti vanno altresì condannati al pagamento di somma, liquidata come in dispositivo, ex art. 96, 3° co., c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento in favore della controricorrente società Intesa San Paolo s.p.a.: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 12.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza