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Azione Revocatoria: onere della prova dell’eventus damni

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso di una società di leasing, confermando l’inefficacia di alcuni atti di compravendita immobiliare. La sentenza chiarisce che, nell’ambito di un’azione revocatoria promossa dal curatore fallimentare, la prova dell’eventus damni (il pregiudizio per i creditori) è a carico del curatore stesso. Tale prova è considerata raggiunta quando si dimostra che l’atto dispositivo, come la vendita della quasi totalità del patrimonio immobiliare a fronte di un ingente debito, ha reso più difficile e incerto il soddisfacimento dei creditori. La Corte ribadisce che il curatore deve provare che il patrimonio residuo del debitore è insufficiente, e non spetta al convenuto dimostrare il contrario.

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Azione Revocatoria: la Cassazione chiarisce l’onere della prova sull’Eventus Damni

L’azione revocatoria è uno strumento cruciale per la tutela dei creditori, specialmente nel contesto di una procedura fallimentare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui presupposti per il suo esercizio, con particolare riferimento all’onere della prova del cosiddetto eventus damni, ovvero il pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie. La pronuncia analizza il caso di una società che, prima di fallire, aveva venduto la quasi totalità dei suoi beni immobiliari.

I Fatti di Causa

Una società, gravata da un ingente debito nei confronti dell’erario, vendeva numerose unità immobiliari a una società di leasing e a un’altra società immobiliare. Successivamente, la società venditrice veniva dichiarata fallita. Il curatore fallimentare, proseguendo un’azione già intentata dall’agente di riscossione, chiedeva che tali vendite fossero dichiarate inefficaci nei confronti della massa dei creditori.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte di Appello accoglievano la domanda, ritenendo che le vendite avessero pregiudicato i creditori. Secondo i giudici di merito, la società si era spogliata della quasi totalità del suo patrimonio immobiliare, rendendo di fatto impossibile per i creditori soddisfare le proprie pretese. La società di leasing acquirente, soccombente in appello, decideva quindi di ricorrere alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La società ricorrente basava il suo ricorso su tre motivi principali:

1. Violazione delle norme sull’onere della prova: Si lamentava che la curatela non avesse adeguatamente dimostrato l’eventus damni, ovvero la consistenza dei crediti, la loro anteriorità rispetto agli atti di vendita e il peggioramento qualitativo e quantitativo del patrimonio del debitore.
2. Omessa valutazione di un fatto decisivo: La Corte d’Appello non avrebbe esaminato lo stato passivo del fallimento per verificare la preesistente condizione di decozione della società.
3. Errata applicazione delle regole sulla prova: La ricorrente sosteneva che i giudici avessero erroneamente posto a suo carico l’onere di dimostrare che il patrimonio residuo della società fallita era sufficiente a soddisfare i creditori.

Azione Revocatoria: La Prova del Pregiudizio ai Creditori

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi due motivi, ritenendoli infondati. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: nell’azione revocatoria promossa dal curatore fallimentare, spetta a quest’ultimo dimostrare l’eventus damni. Questo non significa provare l’insolvenza del debitore al momento dell’atto, ma piuttosto dimostrare che l’atto dispositivo ha reso oggettivamente più difficile o incerto il recupero del credito.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che la prova fosse stata fornita. La curatela aveva infatti dimostrato che la società debitrice aveva liquidato la quasi totalità del suo patrimonio immobiliare a fronte di un debito erariale molto consistente. Questa operazione, di per sé, integrava quel ‘mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio’ che rende più difficoltosa l’esazione dei crediti, configurando quindi l’eventus damni.

L’Onere della Prova e la Decisione della Suprema Corte

Anche il terzo motivo è stato respinto. La Cassazione ha chiarito un punto fondamentale sull’onere della prova. Sebbene sia vero che spetta al curatore (che rappresenta sia i creditori sia il debitore fallito) provare che il patrimonio residuo era insufficiente a soddisfare i debiti, nel caso di specie la Corte d’Appello non aveva invertito tale onere.

L’affermazione dei giudici di merito, secondo cui la società di leasing non aveva fornito prova di ulteriori beni in capo alla venditrice, non era la base della decisione (ratio decidendi), ma solo un argomento rafforzativo. La decisione si fondava, infatti, sulla prova positiva già fornita dalla curatela circa il pregiudizio arrecato ai creditori. Inoltre, la Cassazione ha evidenziato che la società ricorrente non aveva contestato in appello questo specifico punto, rendendo tale motivazione della Corte territoriale una ratio decidendi autonoma e non più sindacabile.

Le Motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda sulla corretta applicazione dei principi che regolano l’onere della prova nell’azione revocatoria fallimentare. I giudici hanno stabilito che la prova dell’eventus damni è stata correttamente fornita dal curatore dimostrando che l’atto dispositivo (la vendita di quasi tutti gli immobili) aveva diminuito in modo significativo la garanzia patrimoniale generica per i creditori. La Corte ha ritenuto irrilevanti le censure della ricorrente, poiché la decisione dei giudici di merito era solidamente basata sulla dimostrazione del pregiudizio concreto, e non su un’inversione dell’onere probatorio. Il riferimento alla mancata prova contraria da parte della convenuta è stato qualificato come un mero argomento aggiuntivo (obiter dictum) che non inficiava la logica giuridica della sentenza impugnata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela dei creditori nel contesto delle procedure concorsuali. Le implicazioni pratiche sono chiare: un’impresa non può legittimamente spogliarsi dei propri asset principali se ciò rende più difficile per i creditori ottenere quanto loro dovuto. Per esperire con successo un’azione revocatoria, il curatore non deve necessariamente provare uno stato di insolvenza conclamato al momento dell’atto, ma è sufficiente dimostrare che la capacità del patrimonio di fungere da garanzia è stata concretamente e significativamente compromessa. La sentenza sottolinea anche l’importanza di una strategia processuale attenta: la mancata contestazione di un punto specifico in appello può creare una ratio decidendi autonoma, precludendo la possibilità di sollevare la questione in Cassazione.

Chi deve provare il danno ai creditori (eventus damni) in un’azione revocatoria promossa dal curatore fallimentare?
Spetta al curatore fallimentare l’onere di provare che l’atto dispositivo compiuto dal debitore ha causato un pregiudizio alle ragioni dei creditori, rendendo più difficile o incerto il soddisfacimento dei loro crediti.

È necessario dimostrare lo stato di insolvenza del debitore al momento dell’atto per vincere un’azione revocatoria?
No, non è necessario dimostrare lo stato di insolvenza. È sufficiente provare l’eventus damni, inteso come la diminuzione qualitativa o quantitativa del patrimonio che pregiudica la garanzia dei creditori.

Su chi ricade l’onere di provare che, nonostante l’atto di disposizione, il debitore aveva ancora un patrimonio sufficiente a pagare i debiti?
L’onere di provare che il patrimonio residuo del debitore fallito era insufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori ricade sul curatore fallimentare. Non spetta al convenuto (l’acquirente del bene) dimostrare il contrario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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