Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23206 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23206 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9803/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE p. Iva P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME per procura in atti.
-ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del curatore fallimentare Avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dal l’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con l’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
-intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, depositata in data 8.10.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania – decidendo sull’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione – ha rigettato il relativo gravame proposto nei confronti della sentenza n. 3874/2017 emessa dal Tribunale di Catania in data 11.9.2017, con la quale erano stati dichiarate inefficaci nei confronti della curatela fallimentare, ai sensi degli artt. 2901 c.c. e 66 l. fall., gli atti di trasferimento immobiliare conclusi con rogiti notarili del 23 maggio 2007 e del 27 dicembre 2007, atti con i quali erano stati trasferiti da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE e a RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (poi cancellata dal registro delle imprese e sostituita in giudizio da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, quale suo socio unico) numerose unità immobiliari (azioni revocatorie che erano state intentate originariamente da RAGIONE_SOCIALE e poi proseguite dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, dopo la dichiarazione di fallimento della società disponente).
La Corte di appello ha osservato e rilevato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) in relazione al primo e secondo motivo di appello con i quali si contestava la dimostrazione dell’ eventus damni , le censure erano infondate in quanto la curatela procedente non avrebbe dovuto dimostrare lo stato di insolvenza della società disponente, quanto piuttosto l’ eventus damni , inteso come diminuzione qualitativa e quantitativa del patrimonio posto garanzia dei
creditori al momento ed a causa degli atti dispostivi impugnati, prova che nel caso di specie era stata fornita dalla curatela, che aveva dimostrato che con gli atti dispositivi in questione era stata liquidata la quasi totalità del patrimonio della società debitrice, a fronte di un ingente debito erariale; (ii) era stata infatti dismessa la ‘ pressoché totale possidenza immobiliare agevolmente attingibile in via esecutiva laddove -come osservato dal Tribunale e non contestato col gravame -nessun riscontro (aveva) fornito RAGIONE_SOCIALE della sussistenza in capo alla alienante di ulteriori elementi patrimoniali idonei a far fronte ugualmente alla esposizione debitoria tributaria come sopra evidenziata e che … era pari pressoché al doppio del patrimonio netto già nell’esercizio 2006, antecedente alla vendita’.
La sentenza, pubblicata in data 8.10.2020, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., dell’art. 66 l. fall. , nonché dell’art. 2697 c.c. , in relazione all’accertamento dei presupposti dell’azione di revocatoria ordinaria promossa dal curatore, non avendo ritenuto il Collegio del gravame che la curatela del RAGIONE_SOCIALE fosse onerata della prova relativa alla consistenza dei crediti vantati dai creditori ammessi al passivo nei confronti della fallita, della preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole e dello svantaggioso mutamento, qualitativo o quantitativo, del patrimonio del debitore per effetto dell’ atto di disposizione .
Con il secondo mezzo si deduce ‘ Omessa valutazione di un elemento decisivo con riferimento all’art. 360, comma I, n. 5 c.p.c. per aver omesso
ogni accertamento sullo stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE ai fini di verificare la preesistente condizione di decozione funzionale della fallita ‘.
2.1 I primi due motivi possono trovare una trattazione congiunta e sono infondati.
2.1.1 Ritiene il Collegio che la motivazione impugnata, sebbene in modo sintetico, abbia, comunque, dato conto della sussistenza del requisito relativo all ‘eventus damni e dei suoi presupposti applicativi (in tema di revocatoria ordinaria ‘ continuata ‘ dal curatore fallimentare), seguendo in realtà i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità nella materia in esame (cfr. pag. 8 della motivazione impugnata).
Sul punto non può essere dimenticato che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, in tema di azione revocatoria ordinaria promossa dalla procedura fallimentare ex art. 66 l.fall., il curatore, per dimostrare la sussistenza dell’ eventus damni , ha l’onere di provare che l’atto dispositivo posto in essere dal fallito, tenuto conto della consistenza dei crediti ammessi al passivo, della preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al suo compimento e del conseguente mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore, è tale da rendere oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura eccedente la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori (Cass. Sez. 1, 04/05/2025, n. 11649; Cass. Sez. 1, 29/04/2025, n. 11296; v. anche: Sez. 3, Ordinanza n. 19515 del 19/07/2019).
La Corte territoriale ha infatti evidenziato la ricorrenza nel caso di specie del presupposto dell’ eventus damni, precisando che la curatela aveva dimostrato che, con gli atti dispositivi impugnati, era stata liquidata la quasi totalità del patrimonio della società debitrice, a fronte di un ingente debito erariale, essendo s tata infatti dismessa la ‘ pressoché totale possidenza immobiliare agevolmente attingibile in via esecutiva ‘.
Si tratta di un accertamento in fatto, che ha evidenziato – in coerenza con i principi sopra ricordati proprio quella condizione di ‘ mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore ‘ , tale ‘ da rendere oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito ‘ , in relazione al compimento dell’atto di disposizione patrimoniale oggetto di impugnativa.
2.1.2 Nel resto le doglianze attingono il merito della valutazione delle prove – già scrutinate dai giudici delle precedenti fasi – e che risulta non sindacabile in questo giudizio di legittimità.
A ciò va aggiunto che anche la censura – articolata, più in particolare, nel secondo motivo e declinata sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. – è inammissibile, perché, per come formulata , non è dato comprendere la decisività del ‘fatto’, del cui omesso esame si duole la società ricorrente (non essendo stato chiarito in che modo il mancato omesso esame dello stato passivo avesse inficiato l’apprezzamento dell’ eventus damni ), e perché le relative censure risultano formulate in modo del tutto generico.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., dell’art. 66 l. fall ., dell’art. 166 cod. proc. civ., dell’art. 167 cod. proc. civ., e dell’art. 2697 c.c. , sul rilievo che il Collegio del gravame avrebbe ritenuto onerato il convenuto in revocatoria della prova in ordine alla sussistenza di un patrimonio residuo del debitore disponente sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori.
3.1 Il terzo motivo è inammissibile.
È pur vero che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, in tema di revocatoria ordinaria esercitata dal fallimento, non può trovare applicazione la regola secondo cui, a fronte dell’allegazione, da parte del creditore, delle circostanze che integrano l'”eventus damni”, incombe sul debitore l’onere di provare che il patrimonio residuo è sufficiente a soddisfare le ragioni della controparte, in quanto, da un lato, il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito e, dall’altro, in ossequio al principio della vicinanza della prova, tale onere non può essere posto a carico del convenuto, beneficiario dell’atto impugnato, che non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale del suo dante causa. Ne consegue che in tale evenienza il Fallimento è onerato di fornire la prova che il patrimonio residuo del debitore fallito era di dimensioni tali, in rapporto all’entità della propria complessiva esposizione debitoria, da esporre
a rischio il soddisfacimento dei creditori (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9565 del 18/04/2018; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 28286 del 09/10/2023).
Tuttavia, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata e qui censurata – secondo cui Unicredit avrebbe mancato di fornire un ulteriore riscontro di elementi patrimoniali diversi in capo alla debitrice – rappresenta, in realtà, solo un rafforzativo della valutazione della prova nel suo complesso, non avendo comportato alcun ribaltamento degli oneri probatori posti a carico delle parti, per come fissati dalla giurisprudenza di legittimità nella materia qui in esame e per come sopra ricordati (e qui riaffermati).
Del resto, non può essere sottovalutato che, sul punto qui da ultimo in discussione, la Corte distrettuale ha compiuto -come detto -un accertamento in fatto in ordine alla avvenuta positiva dimostrazione da parte della curatela fallimentare della sussistenza dell’ eventus damni (ritenendolo provato sulla base della documentazione versata in atti), di talché non risulta neanche ipotizzabile, nel caso di specie, una concreta violazione dei principi che dispongono la ripartizione degli oneri probatori (quale regola di giudizio del processo), in assenza di una decisione (quella impugnata), che sia stata resa in applicazione (e in eventuale violazione) di tale regola.
A ciò va aggiunto che la Corte territoriale ha espressamente affermato, per quanto qui interessa, che ‘… come osservato dal Tribunale e non contestato col gravame -nessun riscontro (aveva) fornito Unicredit Leasing della sussistenza in capo alla alienante di ulteriori elementi patrimoniali idonei a far fronte ugualmente alla esposizione debitoria tributaria …’ .
Ebbene, la mancata contestazione ‘col gravame’ da parte di Unicredit costituisce, invero, un’ulteriore ratio decidendi, che non risulta essere stata impugnata con l’odierno ricorso per cassazione.
Ne discende il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000 in favore del Fallimento e in euro 7.000 in favore di Riscossione Sicilia s.p.a. per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2025