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Azione revocatoria: onere della prova del curatore

Una banca si è vista revocare una garanzia ipotecaria dal curatore fallimentare di una società debitrice. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che nell’azione revocatoria spetta sempre al curatore l’onere di provare l’effettivo pregiudizio per gli altri creditori (eventus damni). Non è sufficiente affermare che la concessione di un’ipoteca per un debito preesistente costituisca di per sé un danno, ma occorre dimostrare l’esistenza di altri creditori anteriori e la concreta diminuzione delle loro possibilità di soddisfarsi.

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Azione Revocatoria: La Cassazione sull’Onere Probandi del Curatore

L’azione revocatoria è uno strumento fondamentale a tutela dei creditori, specialmente in ambito fallimentare. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza su un aspetto cruciale: l’onere della prova del pregiudizio (eventus damni) quando l’azione è esercitata dal curatore. La decisione ribadisce che non basta un’ipotesi di danno, ma serve una dimostrazione concreta, un principio che rafforza la certezza del diritto nelle operazioni di garanzia.

I Fatti di Causa

Una banca aveva concesso un finanziamento a una società, garantito da un’ipoteca su un immobile di quest’ultima. Successivamente, la società veniva dichiarata fallita. La banca presentava quindi domanda di ammissione al passivo fallimentare per il proprio credito, chiedendo di essere riconosciuta come creditore ipotecario, e quindi privilegiato.

Il curatore del fallimento si opponeva, eccependo in via di revocatoria ordinaria l’inefficacia dell’ipoteca. Secondo il curatore, l’operazione di finanziamento era servita a trasformare un precedente debito non garantito (chirografario) in un debito garantito, pregiudicando così gli altri creditori. Sia il Giudice Delegato che il Tribunale in sede di opposizione accoglievano la tesi del curatore, ammettendo il credito della banca solo in via chirografaria e revocando di fatto il privilegio ipotecario.

La banca, ritenendo errata la decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che il curatore non avesse fornito prova adeguata del presupposto fondamentale dell’azione revocatoria: l’effettivo pregiudizio per la massa dei creditori.

L’Azione Revocatoria e il Principio dell’Onere della Prova

L’azione revocatoria, disciplinata dall’art. 2901 c.c. e richiamata in ambito fallimentare dall’art. 66 della Legge Fallimentare, permette di rendere inefficaci gli atti di disposizione patrimoniale che un debitore compie in danno dei propri creditori. Per poter agire, è necessario dimostrare la sussistenza di due elementi:

1. L’elemento oggettivo (eventus damni): il pregiudizio effettivo arrecato alle ragioni dei creditori, che consiste nella diminuzione, quantitativa o qualitativa, del patrimonio del debitore, tale da rendere più difficile o incerta la riscossione dei crediti.
2. L’elemento soggettivo (scientia damni o consilium fraudis): la consapevolezza del debitore (e in certi casi del terzo) del pregiudizio arrecato ai creditori.

La questione centrale affrontata dalla Cassazione riguarda proprio l’onere della prova dell’elemento oggettivo quando ad agire è il curatore fallimentare. I giudici di merito avevano ritenuto che la semplice trasformazione di un debito chirografario in ipotecario fosse di per sé prova sufficiente del pregiudizio. La Suprema Corte ha corretto questa impostazione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della banca, cassando il decreto del Tribunale. I giudici hanno chiarito che il curatore fallimentare che esercita l’azione revocatoria ha sempre l’onere di provare la sussistenza dell’eventus damni. Questo onere non può essere considerato assolto semplicemente dimostrando che è stata concessa un’ipoteca per un debito preesistente.

Il curatore deve, invece, dimostrare due circostanze precise:

1. L’esistenza effettiva di altri creditori, con crediti sorti anteriormente all’atto impugnato, le cui ragioni siano rimaste insoddisfatte.
2. Che, per effetto dell’atto di disposizione (in questo caso, la concessione dell’ipoteca), il patrimonio residuo del debitore sia diventato di natura o dimensione tali da rendere concretamente più incerta o difficile la soddisfazione di tali creditori.

La Corte ha sottolineato che non si può applicare la regola generale secondo cui, una volta che il creditore allega il pregiudizio, spetta al debitore dimostrare che il suo patrimonio residuo è sufficiente. Nel contesto fallimentare, questa regola è invertita perché il curatore rappresenta sia la massa dei creditori sia il debitore fallito, e non si può porre a carico del terzo beneficiario dell’atto (la banca) l’onere di conoscere la situazione patrimoniale completa del debitore.

Il Tribunale, pertanto, ha errato nel non aver verificato se, al momento della concessione dell’ipoteca, esistessero effettivamente altri crediti e se questi fossero stati poi ammessi al passivo, vedendo ridotte le loro possibilità di realizzo a causa della nuova garanzia.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante richiamo al rigore probatorio nell’ambito dell’azione revocatoria fallimentare. La decisione stabilisce un principio di garanzia per gli operatori economici, in particolare per gli istituti di credito, chiarendo che la revoca di una garanzia non può essere automatica. Il curatore non può limitarsi a una valutazione astratta del pregiudizio, ma deve fornire una prova concreta e specifica del danno arrecato alla massa dei creditori. Questa pronuncia riafferma la necessità di un’analisi dettagliata caso per caso, evitando presunzioni di danno che potrebbero penalizzare ingiustamente atti di per sé legittimi, e garantendo maggiore certezza nei rapporti giuridici.

In un’azione revocatoria fallimentare, chi deve provare il pregiudizio ai creditori (eventus damni)?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare l’esistenza dell’eventus damni ricade sempre sul curatore fallimentare che promuove (o eccepisce) l’azione. Non spetta al creditore beneficiario dell’atto dimostrare l’assenza di pregiudizio.

È sufficiente dimostrare che un debito da chirografario è stato trasformato in ipotecario per provare l’eventus damni?
No. La Corte ha chiarito che la semplice trasformazione di un debito non garantito in un debito garantito non è di per sé sufficiente a dimostrare il pregiudizio. Il curatore deve provare che esistevano altri creditori anteriori e che le loro concrete possibilità di soddisfarsi sono state rese più incerte o difficili dall’atto impugnato.

Perché l’onere della prova del pregiudizio ricade sul curatore e non sul creditore che ha beneficiato dell’atto?
La Cassazione spiega che la regola generale è invertita nel contesto fallimentare. Il curatore rappresenta sia i creditori che il debitore fallito e ha accesso alla documentazione contabile. Al contrario, il terzo beneficiario dell’atto (come una banca) non è tenuto a conoscere l’intera situazione patrimoniale del suo dante causa. Pertanto, per il principio di vicinanza della prova, l’onere spetta a chi ha più facile accesso agli elementi per dimostrare il fatto, cioè il curatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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