Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10277 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10277 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6821/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL
-ricorrente-
-ricorrenti- e sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
contro
FINO 1 RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE e prima ancora RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore, NOME
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente- e ne confronti di
COGNOME NOMECOGNOME
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 966/2021, depositata il 17/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza n. 966/2021, resa pubblica in data 17/08/2021, accogliendo parzialmente l’appello di RAGIONE_SOCIALE, acquirente del credito di euro 342.368,51 vantato da Unicredit S.p.A. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, garantito con fideiussione prestata in data 21/09/2009 dai coniugi COGNOME e con ipoteca giudiziale di secondo grado, ha riformato la sentenza n. 1599/2017 del Tribunale di Ancona e, per l’effetto, ha dichiarato inefficaci nei confronti dell’appellante sia l’atto con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano trasferito a NOME COGNOME la proprietà di un immobile sito nel comune di Numana e di una porzione di fabbricato sito in Ancona sia quello con cui gli stessi disponenti avevano alienato a NOME COGNOME un appartamento sito in Ancona.
Segnatamente, la corte d’appello ha ritenuto accertato l’ eventus damni , perché con più atti di disposizione contestualmente posti in essere i coniugi COGNOME si erano spogliati del loro
patrimonio e non avevano ulteriori beni utilmente aggredibili e, inoltre, ha presunto la sussistenza della consapevolezza da parte dei disponenti e dei terzi acquirenti di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie dai seguenti indizi: la contestualità degli atti dispositivi, il fatto che un mese prima gli stessi immobili erano confluiti in un fondo patrimoniale, la riserva del diritto di abitazione sull’appartamento venduto alla Foglia, con la quale sussisteva un vincolo di parentela essendo la stessa nuora dei disponenti.
NOME COGNOME nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME con autonomi ricorsi di analogo contenuto, basati su quattro motivi, ricorrono per la cassazione della sentenza della corte d’appello.
Fino RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso ad entrambi i ricorsi.
NOME COGNOME già contumace nei precedenti giudizi di merito, non svolge attività difensiva in questa sede.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Atteso che il ricorso principale di NOME COGNOME (notificato il 23/02/2022) e quello successivo, quindi, incidentale, ex art. 371 cod.proc.civ., dei coniugi COGNOME–COGNOME (notificato il 26/02/2022) hanno lo stesso contenuto, essi saranno oggetto di trattazione congiunta.
Con il primo i ricorrenti denunziano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Censurano la statuizione con cui il giudice a quo ha ritenuto sussistente l’ eventus damni , contestando l’entità del debito del creditore procedente, perché il credito iniziale di euro 342.378,51 verso la RAGIONE_SOCIALE, di cui i coniugi disponenti si erano costituiti fideiussori, era stato ridotto dal Tribunale di Ancona, all’esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, a euro
132.007,00, e l’altro co -fideiussore, NOME COGNOME aveva pagato una cospicua parte di detto importo, perciò il credito a tutela del quale era stata chiesta la revocazione degli atti dispositivi ammontava a euro 70.000,00; di conseguenza, l’ eventus damni avrebbe dovuto essere accertato parametrando il pregiudizio alle ragioni creditorie sull’importo di euro 70.000,00 e tenendo conto che era stato pignorato sin dal 2019 un quinto della pensione di euro 1.650,00 del COGNOME, che la banca istante aveva pignorato altri due immobili di proprietà della COGNOME e che, come documentalmente provato, la debitrice principale, la RAGIONE_SOCIALE risultava proprietaria di un immobile del valore di circa due milioni di euro, sufficiente a garantire il creditore, benché su di esso gravassero altre ipoteche a favore di altri creditori.
Il motivo è inammissibile per plurime ragioni:
a) è dedotto in palese violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ. Anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, COGNOME e altri c/ Italia, la quale ha ribadito che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso <> se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950 e successiva giurisprudenza conforme). I ricorrenti affermano assertivamente il verificarsi di talune circostanze -pignoramenti, estinzioni parziali del credito, consistenza del patrimonio del debitore principale -che non
sarebbero state esaminate dalla corte d’appello, ma la censura non è stata formulata in modo da renderla chiara ed intellegibile in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il relativo fondamento sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non le è possibile sopperire con indagini integrative.
la denunciata violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. non è accompagnata dall’assolvimento dei corrispondenti oneri di allegazione. Essa risulta formulata in maniera generica e senza soddisfare l’onere di indicare il dato extratestuale dal quale evincere la esistenza del fatto omesso nonché il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione tra le parti; ciò non consente di attribuire al fatto asseritamente omesso i caratteri del tassello mancante alla plausibilità cui è giunta la sentenza rispetto a premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario (Cass 20/06/2024, n. 17005);
la denunciata violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ. difetta di specificità. Le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 28/10/2020, n. 23745) hanno chiarito che l’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, 1° comma, n. 4 cod. proc. civ., impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare a questa Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa. La censura in esame, per come formulata, non consente d’individuare, né di comprendere in maniera immediata ed
inequivocabile le ragioni dell’impugnazione e si appalesa, come si è detto, priva di specificità.
3) Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n.3 e n. 5 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui il giudice a quo ha ritenuto presenti i presupposti soggettivi dell’azione revocatoria , deducendoli dal fatto che presso lo stesso notaio, nella medesima data, gli alienanti avevano disposto degli unici beni di cui erano titolari, solo un mese prima i medesimi beni erano confluiti in un fondo patrimoniale, sui beni oggetto degli atti revocandi risultava iscritta ipoteca, sussisteva un vincolo di parentela tra alienate e acquirente, essendo la COGNOME la nuora della venditrice.
I ricorrenti contestano che dagli indici presuntivi indicati dalla corte territoriale potesse desumersi la consapevolezza che acquistando i beni oggetto dell’atto revocando sarebbero state pregiudicate le ragioni creditorie: innanzitutto, perché gli atti di vendita seppure conclusi in pari data erano stati stipulati da parti diverse, in aggiunta, perché il corrispettivo pagato era congruo rispetto al valore dei beni e non vi era, relativamente al COGNOME, un rapporto di parentela con gli alienanti.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che il ragionamento presuntivo, per vero, costituisce <> (Cass. 27/05/2024, n.14788) e che <> (Cass. 25/09/2023, n. 27266), deve ribadirsi che <> (Cass. 21/03/2022, n. 9054), in quanto <> (Cass. 26/02/2020, n. 5279); la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità, criticando la ricostruzione del fatto, attribuendo al fatto un altro ipotetico significato ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione.
Ai suddetti principi si è correttamente attenuta la corte territoriale, la quale ha preso le mosse da plurimi indizi, la cui gravità, precisione e concordanza non sono inficiate dalle censure dei ricorrenti, atteso che <>, essendo, invece, <<sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'"id quod plerumque accidit" (così Cass. 15/03/2018, n . 6387).
Con il terzo motivo sono denunziate la violazione e falsa applicazione dell'art. 92, 2° comma, cod.proc.civ., per avere la corte d'appello disposto la compensazione parziale delle spese nella misura di 1/3 nonostante la reciproca soccombenza.
La tesi è che, essendo stato accolto solo uno dei motivi di appello proposti dalla RAGIONE_SOCIALE, la compensazione delle spese avrebbe dovuto essere totale e non parziale.
Il motivo è infondato.
La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell'art. 92, 2° comma, cod. proc. civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un'esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. 31/01/2014, n. 2149 cui adde Cass. 20/12/2017, n. 30592 e Cass. 26/05/2021, n. 14459).
5) Con il quarto i ricorrenti imputano al giudice a quo di aver violato e falsamente applicato l'art. 92, 2° comma, cod.proc.civ., avendo posto le spese di C.T.U. totalmente a carico degli appellati, nonostante l'appellante fosse risultata parzialmente vittoriosa e nonostante le spese di lite fossero state compenate nella misura di 1/3.
Il motivo è infondato.
Non viola l'art 92 cod.proc.civ. il giudice di merito che, dopo avere dichiarato la compensazione delle spese fra le parti, pone a carico di una delle parti quelle della consulenza tecnica di ufficio, in
quanto tale pronuncia sta solo ad indicare che la compensazione ha natura parziale (Cass. 13/09/2019, n. 22868; Cass. 19/05/1979, n. 2885).
All'infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi.
Attesa la reciproca soccombenza va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra il ricorrente principale e i ricorrenti incidentali. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi, principale e incientale. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra il ricorrente principale e i ricorrenti incidentali. Condanna il ricorrente principale e i ricorrenti incidentali al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell'art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali all'ufficio del merito competente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 21 febbraio 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME