Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21235 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21235 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14894/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in LODI INDIRIZZO COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
nonché da
COGNOME elettivamente domiciliato in LODI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale – contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati
in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti- nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1241/2023 depositata il 14/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
n. 3
Svolgimento del processo
NOME COGNOME con ricorso notificato il 29.06.2023, impugna la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1241/2023, emessa il 15.03.2023, pubblicata il 14.04.2023 e notificata il 03.05.2023; NOME COGNOME con successivo ricorso notificato 30.06.2023 impugna la medesima sentenza. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE quale mandataria con rappresentanza di BANCA RAGIONE_SOCIALE a socio unico.
Per quanto ancora di interesse in questa sede, Banco Popolare RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avanti al Tribunale di Lodi, al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2901 c.c., dell’atto di compravendita datato 07.10.2011
intercorso tra NOME e NOME COGNOME e dell’atto di compravendita datato 17.06.2011 effettuato da NOME COGNOME in favore del fratello NOME (quest’ultima domanda rinunciata in prima udienza), e l’accertamento del proprio credito nei confronti di NOME COGNOME con conseguente condanna del predetto al pagamento della complessiva somma di €198.276,52.
Per quanto di rilievo ai fini della presente impugnazione, l’attrice allegò i) di essere creditrice nei confronti del Consorzio RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione, di cui COGNOME NOME era amministratore, della somma di € 198.276,52 relativa allo scoperto di conto corrente; ii) che il debito era garantito dalla fideiussione rilasciata da NOME COGNOME in data 28.04.2006 e dalla sua estensione nel limite di € 450.000,00, sottoscritta il 31.01.2007;iii) che il debitore aveva trasferito in data 07.10.2011 alla figlia NOME, allora ventenne, al prezzo di € 110.000,00, alcuni beni immobili di sua proprietà già gravati dall’usufrutto in favore della madre del COGNOME, così pregiudicando le ragioni della creditrice. Si costituirono NOME e NOME COGNOME contestando la fondatezza della domanda.
Il primo giudice, dopo avere affermato l’esistenza del credito vantato dalla Banca, la sua anteriorità rispetto all’atto dispositivo e la sussistenza dell’eventus damni , respinse la domanda di revocatoria rilevando che non risultava la prova della scientia fraudis in capo al sig. NOME COGNOME posto che parte attrice si era limitata a dedurre l’anteriorità della situazione debitoria rispetto al compimento dell’atto e il rapporto di parentela sussistente tra il debitore (sig. NOME COGNOME e il terzo (sig.ra NOME COGNOME; che la sussistenza del saldo debitorio non appariva sufficiente a desumere un possibile pregiudizio alle ragioni creditorie, tenuto conto che, in data
a
successiva all’atto dispositivo il saldo del conto corrente intestato alla debitrice principale risultava diminuito € 76.032,99; che la sperequazione del corrispettivo pattuito rispetto al prezzo di mercato dell’immobile non appariva rilevante, in quanto contestata da parte convenuta e non provata da parte attrice; ritenendo irrilevante l’esistenza di un vincolo di parentela tra i convenuti, ritenuto da solo non sufficiente a costituire elemento presuntivo della participatio fraudis in capo a NOME COGNOME considerava non provato l’elemento soggettivo in capo alla sig.ra COGNOME in quanto estranea alla compagine sociale e all’epoca dei fatti ventenne e iscritta all’università. Parimenti riteneva che l’attrice non aveva dedotto alcun ulteriore elemento presuntivo (quale, ad esempio, l’anomalia nel pagamento del corrispettivo) quale prova della scientia/participatio fraudis .
Proposto appello, la Corte adita rivalutava gli elementi indiziari dedotti dagli estratti conto depositati (docc. 9 e ss) che evidenziavano un saldo debitore negativo costante per tutto il rapporto, con uno scoperto assestato sull’importo di € 140.000,00 alla data del 30.09.2011, sino a raggiungere, una settimana prima dell’ atto dispositivo, l’importo di € 160.401,99, mantenutosi tale per tutto il 2011 e anche nel prosieguo, tant’è che il rapporto di conto corrente era stato revocato dalla banca nell’aprile 2013 con richiesta di restituzione dell’importo di € 161.929,48, con la conseguenza che la riduzione del saldo negativo per un breve periodo non poteva valere ad escludere la consapevolezza in capo al debitore di avere arrecato -disponendo di un proprio immobile -un pregiudizio alla Banca che, per tutto il corso del rapporto ha sempre vantato un credito nei confronti della società di cui COGNOME era, oltre che fideiussore, amministratore; Riteneva che il tribunale, inoltre, aveva omesso di valorizzare la circostanza che, nell’arco di poco
meno di quattro mesi, NOME COGNOME si era spogliato della titolarità di due immobili cedendoli a componenti del suo nucleo familiare, condotta che lascia fondatamente presumere che i trasferimenti fossero destinati a mettere al riparo da eventuali azioni esecutive dei creditori buona parte del patrimonio immobiliare del debitore); assumeva che la mancata prova della non congruità del corrispettivo col valore dell’immobile non impediva di ritenere esistente l’elemento soggettivo, essendo al riguardo sufficiente che il debitore sia conscio di avere, con l’atto dispositivo, reso più difficile il soddisfacimento del credito, ipotesi che si verifica ogni qualvolta ad un bene immobile facilmente aggredibile si sostituisce il danaro. Quanto invece alla prova della partecipatio fraudis di NOME COGNOME premesso che detto requisito è integrato dalla consapevolezza che, in conseguenza dell’atto, vengano sottratte le garanzie spettanti ai creditori e che non è richiesto in capo al terzo la conoscenza specifica del debito facente carico all’alienante e delle sue caratteristiche (Cass. 5741/2004), il tribunale non avrebbe considerato che, per giurisprudenza costante, tale prova può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa l’esistenza di un rapporto di parentela tra debitore e terzo, tale da rendere estremamente inverosimile che quest’ultimo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 10928 del 09/06/2020). A parere della Corte di merito, deponevano nel senso della verosimile conoscenza da parte di NOME COGNOME della situazione debitoria del padre, l’opacità sulla provenienza della provvista utilizzata dalla giovane per acquistare l’immobile, l’assenza di un motivo sotteso al trasferimento di un immobile non libero perché gravato da usufrutto, la coabitazione tra i due, la contemporanea dismissione di un ulteriore immobile in favore di altro componente del nucleo familiare.
Entrambi i ricorsi avverso l’impugnata sentenza sono affidati a due motivi.
Motivi della decisione
Va pregiudizialmente disposta la riunione di ricorsi ex art. 335 c.p.c., dovendosi ritenere come incidentale il ricorso di NOME COGNOME in quanto successivo al primo.
Essi vanno trattati congiuntamente in quanto affidati a due motivi di uguale tenore.
I MOTIVO: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’. Si deduce che la Corte di Appello di Milano abbia fondato il proprio convincimento, in ordine alla ritenuta sussistenza del requisito soggettivo in capo al terzo acquirente, su di una pluralità di elementi presuntivi, costituiti da materiale indiziario privo degli indefettibili caratteri della precisione e gravità, sui quali ha omesso il necessario vaglio finale di concludenza. Gli elementi indiziari considerati dal Giudice di seconde cure, in buona sostanza, difetterebbero, da un lato, dei requisiti di gravità e precisione e, dall’altro, presenterebbero un’intrinseca reciproca discrepanza in ordine al fatto presunto, configurando così una violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e dei criteri inferenziali normativamente previsti. La Corte di Appello di Milano, oltre ad aver selezionato materiale indiziario privo degli indefettibili caratteri della precisione e gravità, nel proprio ragionamento inferenziale, non avrebbe nemmeno ricercato tutte le conseguenze probabili sulla stregua del criterio dell’ id quod plerumque accidit , omettendo altresì il vaglio finale di concludenza (c.d. controprova o verifica di consistenza dell’elemento o complesso indiziario da assurgere a prova presuntiva).
1.1. Il motivo è inammissibile. Diversamente da quanto compiuto dal Giudice di prime cure, la Corte ha ricostruito e valutato i fatti di causa attribuendo valore determinante alle circostanze che di seguito si riassumono: rapporto di parentela tra dante causa e avente causa; opacità della provenienza della somma di denaro utilizzata dalla giovane figlia del disponente COGNOME; assenza di un motivo sotteso al trasferimento di un immobile gravato da usufrutto; coabitazione tra padre e figlia; contemporanea dismissione di un altro immobile in favore del fratello.
1.2. I plurimi fatti ravvisati quali indici della scientia damni delle parti rappresentano, in via congiunta, indici sintomatici da cui poter desumere la consapevole partecipazione del terzo all’atto pregiudizievole, che può essere provata anche da presunzioni semplici, ivi compreso il solo vincolo parentale tra il debitore e il terzo unito al rapporto di convivenza, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (Sez. 6 -3, Ordinanza n. 10928 del 09/06/2020; Sez. 3 -, Ordinanza n. 1286 del 18/01/2019 ; Sez. 2, Sentenza n. 1068 del 18/01/2007). ). Gli indizi, pur se singolarmente privi di valenza probatoria, possono infatti acquisire efficacia dimostrativa se valutati nella loro convergenza globale secondo un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (Cass. Sez. III ordinanza n. 10543 del 22 aprile 2025; Cass. Sez. III ordinanza n. 9348 del 9 aprile 2025; Cass. 12/03/2024, n. 6625).
1.3. Pertanto, correttamente, la Corte di merito ha dato valore ai plurimi indici presuntivi che la fattispecie evidenzia, correggendo l’errore valutativo commesso dal primo giudice; mentre, di contro, il motivo non offre alcuna
argomentazione valida a mettere in discussione il ragionamento presuntivo effettuato alla luce di consolidati principi.
II MOTIVO: ‘Nullità della sentenza e del procedimento per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’ Con tale mezzo si deduce che la Corte d’appello di Milano abbia posto a fondamento del proprio convincimento elementi indiziari che non avrebbero dovuto trovare ingresso nel paradigma valutativo, in quanto costituenti allegazioni nuove (oltre a quelle attinenti al vincolo parentale), introdotte dalla società RAGIONE_SOCIALE solo con l’atto di impugnazione, con questo violando del divieto dei nova , sancito dell’art. 345 c.p.c., il quale riguarda, non solo le domande ed eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni in fatto nuove, ovvero quelle non esplicate in primo grado.
2.1. Il motivo è assorbito da quanto sopra rilevato in ordine alla plausibilità e sufficienza dell’elemento di presunta conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie tratto dall’ essere padre e figlia parenti conviventi, rendendo quindi del tutto superflua l’analisi delle ulteriori circostanze prese in considerazione.
2.2. Non va in proposito nondimeno sottaciuto che il secondo comma dell’art. 345 c.c. estende il divieto di ius novorum , non solo alle nuove domande ( primo comma ), ma anche alle nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, le c.d. eccezioni in senso stretto, mentre il terzo comma riguarda i nuovi documenti. Incompatibile con tale principio è l’affermazione, insistita in ricorso, secondo cui la deduzione di nuovi argomenti inerenti alla medesima allegazione (di scientia fraudis) , varrebbe anche a rendere inoperativo il divieto di nuove prove in appello ex art. 345 cod. proc. civ.,
perché un conto sono le preclusioni processuali, che rispondono ad un criterio d’ordine regolativo del processo, altro è l’introduzione di fonti di prova da cui i fatti a supporto della mera difesa possono emergere (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 16814 del 17/06/2024; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 4867 del 23/02/2024 ; Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 2963 del 01/02/2023)
La deduzione di violazione del divieto di nova nell’atto di appello, pertanto, non si attaglia alla fattispecie analizzata dal giudice dell’appello, tenuto a operare un nuovo scrutinio degli elementi di prova della scientia damni del terzo desumibili ex actis in base al suo libero apprezzamento. È evidente che nel caso di specie non è prospettabile nessuno dei divieti presi in considerazione dalla norma in parola, in ragione del fatto che ognuna delle circostanze indiziarie esaminate dalla Corte distrettuale è stata tratta dai documenti prodotti tempestivamente nel giudizio di primo grado che il giudice ha valutato liberamente, traendo argomenti a supporto della consapevolezza della terza acquirente, in ciò valutando diversamente, quanto all’esito, i fatti dedotti o desumibili dagli atti di causa (Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022; Sez. L -, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021; Sez. L, Sentenza n. 11906 del 06/08/2003).
All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità di entrambi i ricorsi, principale e incidentale.
Attesa la reciproca soccombenza va disposta la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra i ricorrenti, in via principale e incidentale .
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE e a carico dei ricorrenti, in via principale e incidentale , seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi, principale e incidentale. Compensa tra i ricorrenti, in via principale e incidentale, le spese del giudizio di legittimità. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 7 .200,00, di cui € 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 16/5/2025