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Azione revocatoria: la prova della scientia damni

Un ente comunale ha intentato un’azione revocatoria per diversi atti di disposizione patrimoniale compiuti da un suo debitore. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ribadendo che, per gli atti successivi al sorgere del credito, il creditore deve dimostrare la consapevolezza del terzo acquirente (scientia damni) del pregiudizio arrecato. La Corte ha precisato che la valutazione di tale consapevolezza, se adeguatamente motivata dai giudici di merito, non è sindacabile in sede di legittimità.

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Azione Revocatoria: La Cassazione sulla Prova della Scientia Damni del Terzo Acquirente

L’azione revocatoria è uno strumento fondamentale a tutela dei creditori, ma quali sono i limiti e i presupposti per il suo accoglimento, specialmente quando sono coinvolti terzi acquirenti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul requisito della scientia damni, ovvero la consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie. Il caso analizzato riguarda la richiesta di un Comune di rendere inefficaci diversi atti dispositivi posti in essere da un proprio debitore.

I Fatti di Causa

Un Comune, creditore nei confronti di un soggetto, agiva in giudizio per ottenere la revoca di una serie di atti con cui il debitore aveva disposto del proprio patrimonio. Nello specifico, gli atti contestati erano:
1. Il trasferimento di un immobile alla propria moglie.
2. La successiva costituzione di un fondo patrimoniale su tale immobile.
3. La vendita di altri immobili a due distinti acquirenti terzi.
4. La costituzione di un’ipoteca volontaria a favore di un istituto di credito a garanzia di un mutuo.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto parzialmente la domanda, dichiarando inefficaci il trasferimento al coniuge e la costituzione del fondo patrimoniale, ma rigettando la domanda revocatoria nei confronti degli altri acquirenti e della banca.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, chiamata a pronunciarsi sui gravami proposti sia dal Comune che dai coniugi, confermava integralmente la sentenza di primo grado. I giudici d’appello ritenevano provata la scientia damni per gli atti compiuti tra i coniugi (trasferimento e fondo patrimoniale) ma la escludevano per le compravendite e la concessione dell’ipoteca.
Secondo la Corte territoriale, il Comune non aveva fornito prova sufficiente a dimostrare che i terzi acquirenti e l’istituto di credito fossero a conoscenza della situazione debitoria del venditore e del potenziale pregiudizio per il creditore.

Il Ricorso per Cassazione e il fulcro dell’azione revocatoria

Il Comune decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando una violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. Il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere necessaria la prova della conoscenza specifica del debito da parte del terzo. Secondo la tesi del Comune, per l’azione revocatoria di un atto successivo al sorgere del credito, sarebbe sufficiente dimostrare la generica consapevolezza del terzo che l’atto dispositivo potesse diminuire la garanzia patrimoniale del debitore, rendendo più difficile il soddisfacimento dei creditori.
Anche il debitore proponeva un ricorso incidentale, contestando la revoca degli atti compiuti in favore della moglie.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale del Comune e dichiarato inammissibile quello incidentale del debitore.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto ribadito il principio corretto in materia di azione revocatoria: per gli atti dispositivi a titolo oneroso successivi al sorgere del credito, è sufficiente la consapevolezza del debitore e del terzo acquirente riguardo alla diminuzione della garanzia patrimoniale. Non è necessaria una collusione specifica o la conoscenza esatta del credito per cui si agisce.

Tuttavia, la Corte ha chiarito che l’applicazione di questo principio si basa su un apprezzamento di fatto e delle prove che spetta esclusivamente al giudice di merito. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva motivato in modo congruo la sua decisione, evidenziando come mancassero elementi per provare la scientia damni dei terzi. Ad esempio, non era emersa alcuna conoscenza pregressa tra il debitore e gli acquirenti, né elementi che potessero far dubitare della solidità patrimoniale del venditore, soprattutto nel caso dell’ipoteca, concessa a fronte di un mutuo finalizzato alla valorizzazione del patrimonio stesso.

La Cassazione ha sottolineato che il ricorso del Comune, pur mascherato da violazione di legge, mirava in realtà a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, operazione preclusa in sede di legittimità. Inoltre, essendo le sentenze di primo e secondo grado conformi (c.d. “doppia conforme”), era inibita la possibilità di censurare il vizio di motivazione.

Anche il ricorso incidentale del debitore è stato giudicato inammissibile in quanto volto a rimettere in discussione l’accertamento fattuale operato dai giudici di merito, i quali avevano correttamente desunto la scientia damni dal rapporto di coniugio, dalla convivenza e dal mancato versamento del prezzo.

Conclusioni

L’ordinanza in commento riafferma un punto cruciale dell’azione revocatoria: la distinzione tra l’enunciazione del principio di diritto e la sua applicazione al caso concreto. Se da un lato è sufficiente la generica consapevolezza del pregiudizio (scientia damni), la prova di tale stato soggettivo in capo al terzo acquirente è una questione di fatto. La valutazione compiuta dal giudice di merito su questo punto, se logicamente e congruamente motivata, non può essere messa in discussione davanti alla Corte di Cassazione. La decisione evidenzia quindi l’onere probatorio a carico del creditore, che deve fornire elementi concreti (presunzioni, rapporti tra le parti, ecc.) per dimostrare la malafede del terzo, non potendo limitarsi a invocare il mero principio di diritto.

Cosa deve provare il creditore nell’azione revocatoria contro un atto a titolo oneroso successivo al sorgere del credito?
Il creditore deve provare la consapevolezza del debitore e del terzo acquirente (scientia damni) che l’atto di disposizione patrimoniale diminuisce la garanzia generica per i creditori. Non è richiesta la prova di una specifica collusione o della conoscenza da parte del terzo dello specifico credito per cui si agisce.

Perché la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Comune creditore?
La Corte ha rigettato il ricorso perché, pur condividendo il principio di diritto sull’azione revocatoria, ha ritenuto che il Comune stesse in realtà cercando di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. La decisione della Corte d’Appello sulla mancanza di prova della scientia damni dei terzi era stata considerata adeguatamente motivata.

Quali elementi possono dimostrare la ‘scientia damni’ del coniuge che acquista un bene dal coniuge debitore?
Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che elementi idonei a dimostrare in via presuntiva la scientia damni tra coniugi fossero il rapporto di coniugio stesso, il perdurare della convivenza nella casa oggetto del trasferimento e il mancato versamento del prezzo di acquisto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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