Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16847 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16847 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 16863/2022 proposto da :
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata presso il domicilio digitale indicato dal difensore.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla sua mandataria RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata presso il domicilio digitale indicato dal difensore -controricorrente- nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria con rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata
e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in ROMA INDIRIZZO, pec:
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 160/2022 depositata il 27/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
Banca Carige Italia SpA ottenne nei confronti di NOME COGNOME quale fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE, giusta fideiussione del 7/12/2009, due decreti ingiuntivi, esponendo di essere creditrice della società per diverse esposizioni bancarie derivanti dall’inadempimento della stessa ad un contratto di factoring. Sulla base di tali titoli la Banca convenne con due distinti giudizi, ciascuno relativo ad uno dei crediti vantati, il fideiussore, che aveva garantito il credito fino ad € 117.000,00 poi elevato ad € 338.000, e la nonna di questi, NOME COGNOME, davanti al Tribunale di Rovigo, per sentir pronunciare l ‘inefficacia ex art. 2901 c.c. di un atto di compravendita, stipulato in data 18/10/2013, con cui il COGNOME aveva trasferito alla COGNOME tutti i beni immobili di sua proprietà siti nel comune di Medaglino San Vitale.
In entrambi i giudizi la banca affermò che il prezzo pattuito era esiguo rispetto al valore di mercato, che il La Rosa era a conoscenza della situazione debitoria della società, essendone stato l’amministratore unico, e che la COGNOME non poteva non essere consapevole del pregiudizio
che l’atto arrecava alle ragioni creditorie, in ragione dello stretto rapporto di parentela e di convivenza con il nipote.
Si costituì, peraltro tardivamente e in relazione ad uno solo dei crediti vantati dalla Banca, la sola NOME COGNOME rimanendo il NOME contumace. La convenuta affermò che il rapporto obbligatorio con il nipote aveva avuto origine dalla concessione di un mutuo, con cui essa gli aveva erogato dei prestiti p er l’acquisto della casa di abitazione, sicché l’atto di compravendita oggetto di revocatoria era in realtà finalizzato alla restituzione degli importi erogati e, pertanto, costituendo adempimento di un debito scaduto non era suscettibile di essere revocato.
I due giudizi vennero riuniti e il Tribunale di Rovigo, con sentenza n. 159 del 2020, accolse le domande riconoscendo, in entrambi i giudizi riuniti, sussistenti i requisiti dell’ eventus damni e della scientia fraudis. La COGNOME propose appello, censurando la sentenza di primo grado con due motivi. In primo luogo impugnò il capo di sentenza che aveva ritenuto sussistente la propria consapevolezza circa il pregiudizio arrecato al creditore al momento della stipula dell’atto di compravendita, e si dichiarò estranea alla compagine societaria della società RAGIONE_SOCIALE L’ atto di compravendita avrebbe dovuto esser qualificato quale ‘ datio in solutum ‘ , per l’adempimento dell’obbligo di restituzione delle somme date a mutuo al nipote nel 2007 sicchè, trattandosi di atto dispositivo anteriore al sorgere del credito, sarebbe stata necessaria la prova, non fornita, della dolosa preordinazione in capo al terzo acquirente.
Con un secondo motivo la COGNOME lamentò che il Tribunale non avesse rilevato che il rapporto con il nipote nasceva da un debito ampiamente scaduto , e cioè dal prestito di € 110.000,00 erogato per l’acquisto della casa, come tale non soggetto ad azione revocatoria. Lamentò altresì
che neppure era stata dimostrata l’esiguità del prezzo convenuto rispetto al valore reale dell’abitazione.
Si costituirono in giudizio la Banca Carige S.P.A. e il Credito Fondiario SpA chiedendo il rigetto del gravame; successivamente si costituì, in sostituzione di Credito Fondiario, la RAGIONE_SOCIALE in qualità di mandataria con rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE
L a Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 27/1/2022, rigettò il gravame ritenendo che l’appellante non av esse fornito prova della datio in solutum, e che l’elargizione di somme dalla RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE fosse avvenuta a titolo di mutuo, ritenendo più verosimile che i versamenti fossero stati effettuati con spirito di liberalità, come evincibile peraltro dalla causale di uno di essi ‘regalo nonna’ . Né vi era alcuna prova che la cessione della proprietà di un compendio immobiliare avvenuta nel 2013, molti anni dopo rispetto alla stipula del mutuo e alla erogazione delle somme, costituisse adempimento di debito scaduto, mancando la prova della pattuizione, tipica del contratto di mutuo, dell’obbligo di restituzione. Anche il motivo di appello volto a dimostrare la mancanza di prova della consapevolezza in capo al terzo acquirente che il proprio dante causa fosse vincolato verso i creditori e che l’atto arrecasse pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente, fu rigettato, ritenendo che detta prova fosse ricavabile a mezzo di presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza del vincolo parentale tra il debitore e il terzo ed il rapporto di convivenza tra i due, sicché era inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria del disponente. Anche la circostanza che l’atto dispositivo fosse stato compiuto poco prima dell ‘ emissione dei due decreti ingiuntivi e che il prezzo della compravendita fosse esiguo rispetto al valore di mercato costituivano , secondo la Corte d’appello, prova della
dolosa partecipazione della COGNOME all’atto posto in essere dal nipote in frode ai creditori.
Avverso la sentenza che, rigettando il gravame e confermando integralmente la pronuncia di primo grado, ha condannato la COGNOME alle spese del grado, la stessa propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Resistono, con distinti controricorsi, RAGIONE_SOCIALE in persona della mandataria RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del credito di Banca Carige SpA, e RAGIONE_SOCIALE quale mandataria con rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE
La prima controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo – carenza di motivazione ex art. 132, comma 2 n. 3 e art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 , comma 1 n. 3 c.p.c.la ricorrente lamenta che la corte del merito non ha adeguatamente motivato circa la sussistenza della sua consapevolezza, e dunque della sua complicità con il La Rosa, nel causare un depauperamento del patrimonio dello stesso in danno di Banca Carige SpA. e della società Credito Fondiario S.p.V. La Banca, a suo avviso, non avrebbe dato alcuna prova della consapevolezza del terzo e della complicità con il nipote, limitandosi a generiche illazioni, senza rilevare la totale estraneità di essa Licari alle vicende della società debitrice, di cui, peraltro, il nipote non era più amministratore unico al momento della stipula dell’atto revocato. Sui bonifici erogati dalla nonna in favore del nipote nel 2007 vi sarebbe la dicitura ‘anticipo acquisto immobili in favore di NOME ‘ , a comprovare la natura onerosa della datio in solutum posta in essere con la stipula dell’atto di compravendita. Non emergerebbe, pertanto, da cosa il giudice del merito abbia fatto discendere la consapevolezza, in capo ad essa
ricorrente, di un credito di Banca Carige nei confronti del La Rosa, quando, al momento della stipula dell’atto pubblico nel 2013, non esisteva alcun credito, sorto solo nell’aprile del 2014, con la notifica del decreto ingiuntivo, né sarebbe stata dimostrata la dolosa preordinazione del terzo in relazione all’atto dispositivo.
Con il secondo motivo -violazione dell’art. 2901 comma 1 n. 2 c.p.c. -la ricorrente insiste sulla mancata motivazione circa la partecipazione del terzo alla dolosa preordinazione dell’alienante debitore, ripetendo sostanzialmente gli stessi argomenti già svolti con il primo motivo.
Con il terzo motivo -violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. la ricorrente lamenta che il ragionamento del giudice d’appello si sia basato soltanto su supposizioni e non anche su elementi certi, valorizzando il rapporto di parentela intercorrente tra essa COGNOME e il nipote NOME COGNOME, senza tenere conto che la stipula del rogito faceva seguito ad un debito scaduto e che non vi era alcun credito della Banca nei confronti del COGNOME al momento della stipula dell’atto.
Il ricorso è inammissibile.
Al di là della specifica inammissibilità di cui al terzo motivo di ricorso, con cui si prospetta la violazione dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. pur in presenza di pronuncia cd. ‘doppia conforme’, inammissibilità derivante dall’essere le due pronunce di merito di primo e secondo grado del tutto sovrapponibili e dalla mancata dimostrazione, da parte della ricorrente, della diversità degli elementi di fatto su cui le stesse pronunce si basano, è palese che tutte le censure, sia quelle contenute nel primo motivo, riferite all’apparenza della motivazione , sia quelle contenute nel secondo, relative alla pretesa violazione dell’art. 2901, comma 2° c.c., non superano il vaglio della ammissibilità risolvendosi in un terzo grado di merito, avendo tutti i motivi natura fattuale ed essendo volti ad evocare, da parte di questa Corte, un riesame dei fatti
e delle prove. E’ sufficiente ricordare che la sentenza impugnata ha accertato, con ampia e diffusa motivazione, che i versamenti effettuati dalla COGNOME al nipote nel 2007, erano stati connotati da spirito di liberalità, come desumibile, sia dall’espressa causale di uno di essi ‘regalo nonna’ , sia dall’assenza di qualsivoglia elemento , negli altri versamenti che potesse far pensare alla erogazione di un mutuo.
La Corte d’Appello ha peraltro specificato, con una ratio non impugnata in questa sede, che non vi era alcuna prova della pattuizione, tipica del contratto di mutuo, dell’ obbligazione di restituzione delle somme erogate. Anche in relazione alla pretesa mancata prova della partecipatio fraudis del terzo, rispetto alla dolosa preordinazione del debitore nel porre in essere atti in frode al creditore, la sentenza impugnata ha motivato in modo diffuso, coerente e più che adeguato al minimo costituzionale richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte. Essa ha infatti ritenuto più che plausibile, sulla base di argomenti presuntivi -che peraltro la ricorrente neppure censura con riferimento all’art. 2729 c.c. -che la nonna, convivente con il nipote e a lui legata da uno stretto rapporto affettivo, non potesse che essere a conoscenza della dolosa preordinazione dell’atto disposi tivo posto in essere dal nipote ai danni dei creditori, tanto più considerata la vicinanza temporale tra la notifica dei decreti ingiuntivi e la stipulazione del rogito relativo al compendio immobiliare.
Va a tal proposito osservato che nell’impugnata sentenza la corte di merito ha fatto invero applicazione del consolidato principio secondo cui in tema di revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia anteriore al sorgere del credito la condizione per l’esercizio dell’azione è, oltre al “consilium fraudis” del debitore, la “participatio fraudis” del terzo acquirente, cioè la conoscenza da parte di quest’ultimo della dolosa preordinazione dell’alienazione ad opera del disponente rispetto
al credito futuro; tale elemento psicologico, ex art. 2901, comma 1, n. 2, c.c., quale oggetto di prova a carico del soggetto che lo allega, può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, con un apprezzamento, riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass., 3, n. 13265 del 14/5/2024; Cass., 3, n. 18315 del 18/9/2015, Cass., 1, n. 11577 del 9/5/2008).
Alle suesposte considerazioni consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
La ricorrente va altresì condannata al pagamento di somma, liquidata come in dispositivo, in favore di ciascuna parte controricorrente, ex art. 96, 3° co., c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna delle controricorrenti: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 6.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione