Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10841 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10841 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8611/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO ROMAINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
-controricorrenti-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME
-intimati-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 118/2022 depositata il 14/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2016, Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecco, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia, ex art. 2901 c.c., del contratto di compravendita con il quale COGNOME e COGNOME avevano trasferito alla COGNOME un immobile sito in Casatenovo (LC).
La domanda revocatoria veniva proposta in quanto COGNOME e COGNOME risultavano obbligati nei confronti della banca in qualità di fideiussori della RAGIONE_SOCIALE la cui esposizione debitoria era progressivamente aumentata.
A seguito della risoluzione dei rapporti da parte dell’istituto bancario e della successiva costituzione in mora, la Banca otteneva dal Tribunale di Monza un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per l’importo di euro 196.753,59,00 oltre interessi. Tuttavia, all’atto dell’avvio delle procedure esecutive, emergeva che i fideiussori avevano nel frattempo alienato l’unico bene immobile di loro proprietà.
Con sentenza n. 714/2019 il Tribunale di Lecco rigettava le domande di inefficacia ex art. 2901 c.c. e di simulazione di detta alienazione.
Con sentenza n. 339/2020, depositata il 10 gennaio 2022, la Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, accoglieva l’appello interposto da Intesa Sanpaolo S.p.A. e da RAGIONE_SOCIALE, dichiarando l’inefficacia nei loro confronti del contratto di compravendita del bene in oggetto.
La Corte territoriale osservava che nessuna delle parti convenute aveva fornito prova idonea dell’effettivo pagamento del prezzo, non risultando depositati gli estratti integrali dei conti correnti. In particolare, l’acquirente COGNOME si era limitata a produrre una schermata dell’home banking, recante i soli bonifici effettuati tra l’11 marzo 2016 e il 28 dicembre 2016, senza fornire evidenza dei movimenti in entrata, necessari a dimostrare la reale disponibilità delle somme versate.
Il giudice d’appello riteneva inoltre che le circostanze complessive dell’operazione tra cui la cessione dell’unico immobile di proprietà dei venditori, le modalità di pagamento e la stretta tempistica dei bonifici -fossero idonee a fondare la presunzione della participatio fraudis da parte dell’acquirente. Tale consapevolezza risultava ulteriormente avvalorata dal mancato accollo del mutuo da parte della COGNOME e dalla mancata iscrizione dell’ipoteca legale sull’immobile, nonostante fosse prevista nell’atto di compravendita. Infine, la Corte accertava la permanenza della signora COGNOME nell’immobile ceduto, prima in virtù di un contratto di comodato e successivamente sulla base di un contratto di locazione, circostanza ritenuta significativa ai fini della valutazione dell’intento fraudolento delle parti.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi. Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., articolando tre principali profili di censura.
In primo luogo, la ricorrente contesta l’imputazione dell’onere probatorio a suo carico, sostenendo che le circostanze valorizzate dalla Corte territoriale integrerebbero meri argomenti difensivi e non vere e proprie eccezioni. Ne conseguirebbe, ad avviso della ricorrente, che l’onere della prova della participatio fraudis gravava sulla parte creditrice, la quale non avrebbe assolto a tale onere, non essendo i fatti accertati nel corso del giudizio sufficienti a fondare una presunzione grave, precisa e concordante circa la consapevolezza dell’acquirente del pregiudizio arrecato alla banca.
In secondo luogo, la ricorrente censura l’erronea valutazione da parte della Corte d’appello in ordine alla pretesa anomalia nei mezzi di pagamento. A suo dire, è stato documentalmente accertato in giudizio -senza che le controparti abbiano sollevato specifiche contestazioni -che il prezzo di vendita è stato integralmente corrisposto mediante bonifici tracciabili. Il ricorso a carte prepagate per effettuare alcuni versamenti non integrerebbe, di per sé, un indice di simulazione o di elusione, né sarebbe sufficiente a dimostrare un intento fraudolento.
Infine, la ricorrente lamenta l’illogicità della motivazione impugnata, nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto plausibile -sulla base di meri indizi -che le somme versate a titolo di prezzo siano state restituite dagli alienanti all’acquirente, ipotizzando quindi una fittizia circolazione del denaro. Tale ricostruzione, secondo la ricorrente, non solo sarebbe priva di qualsiasi fondamento probatorio, ma si scontrerebbe anche con il
fatto che Intesa Sanpaolo S.p.A. non avrebbe mai contestato le risultanze documentali depositate, da cui emergerebbe l’effettiva esecuzione e la non restituzione dei pagamenti effettuati, con conseguente esclusione della natura simulata o fraudolenta dell’atto dispositivo.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, commi 898 e seguenti, della Legge n. 208/2015, in materia di utilizzo del denaro contante.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente attribuito valore indiziario negativo ai prelievi di denaro in contanti effettuati dall’acquirente, ritenendoli sintomatici della scientia damni o della participatio fraudis rispetto al pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie di Intesa Sanpaolo S.p.A.
Lamenta che viceversa tali operazioni non sono state effettuate in violazione di alcuna disposizione normativa, né della disciplina antiriciclaggio vigente, e che, pertanto, l’utilizzo del contante non può essere ritenuto di per sé rilevante ai fini della prova della consapevolezza dell’acquirente circa il danno derivante dalla compravendita. L’utilizzo di strumenti di pagamento leciti -ancorché in contanti -non può, dunque, fondare alcuna presunzione di partecipazione fraudolenta all’atto dispositivo.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Si duole che c orte d’appello abbia omesso di considerare la documentazione prodotta in giudizio, da cui risultava: (i) l’avvenuto pagamento anticipato, tramite bonifico bancario, del prezzo da parte dell’acquirente a favore degli alienanti; (ii) il pagamento, da parte della stessa acquirente, delle rate del mutuo scadute dalla data della compravendita fino alla sua costituzione in giudizio; (iii)
la prosecuzione dei pagamenti delle rate successive fino all’estinzione del mutuo, avvenuta nel maggio 2019.
Evidenzia che tali elementi risultavano documentalmente comprovati e non sono stati oggetto di contestazione da parte della Banca Intesa Sanpaolo S.p.A. Ritiene, pertanto, che l’omessa valutazione di tali fatti abbia inciso in maniera determinante sulla decisione impugnata, poiché giustificherebbe l’assenza di un atto formale di accollo del mutuo, che non avrebbe potuto -per contro -essere considerato, come fatto negativo, elemento indiziario a sostegno della participatio fraudis .
4.4. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando l’omessa pronuncia su una domanda subordinata.
In particolare, sostiene che la Corte d’appello, nell’accogliere la domanda revocatoria, avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta, formulata in via subordinata sin dal giudizio di primo grado, volta all’accertamento del diritto alla restituzione dell’importo di euro 100.000,00, corrispondente al prezzo della compravendita oggetto di revoca.
Tale omissione integrerebbe un vizio di omessa pronuncia su una domanda ritualmente introdotta e mai espressamente rigettata, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.
4.5. Con il quinto deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 2697 e 2729 c.c., nonché agli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Si duole che corte territoriale abbia erroneamente ritenuto provata la sussistenza della participatio fraudis in capo alla terza
acquirente, nonostante parte attrice (Intesa Sanpaolo S.p.A.) non avesse assolto all’onere probatorio gravante ex art. 2697 c.c., né avesse articolato specifiche istanze istruttorie volte a dimostrarla. L’accoglimento della domanda sarebbe stato, pertanto, fondato su un ragionamento presuntivo privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 c.c., e in assenza di una contestazione in giudizio da parte della banca rispetto alle produzioni documentali dell’acquirente. Da ciò deriverebbe una violazione dei criteri di valutazione della prova e un’omessa considerazione di circostanze decisive ai fini del decidere.
Il primo e il quinto motivo di ricorso, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.
In tema di azione revocatoria ordinaria, ai sensi dell’art. 2901, comma 1, n. 2, c.c., quando l’atto dispositivo è anteriore al sorgere del credito, la legittimazione all’esercizio dell’azione è subordinata, oltre che alla sussistenza del consilium fraudis in capo al debitore, anche alla participatio fraudis del terzo acquirente, ossia alla consapevolezza da parte di quest’ultimo della preordinazione dolosa dell’atto dispositivo in pregiudizio del futuro creditore.
Tale elemento soggettivo, il cui onere probatorio grava sul creditore procedente, può essere accertato mediante il ricorso a presunzioni semplici, che costituiscono strumento legittimo di prova, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità qualora adeguatamente motivata (Cass. civ., Sez. I, ord. 14 maggio 2024, n. 13265).
La prova presuntiva, infatti, si fonda su un procedimento logicodeduttivo che, muovendo da fatti noti, consente di risalire a fatti ignoti secondo criteri di verosimiglianza.
In particolare, trattandosi di elemento psicologico ( scientia damni ), per sua natura intrinseco alla sfera soggettiva del convenuto, e dunque difficilmente dimostrabile con prova diretta, l’ordinamento
consente di desumerlo da circostanze oggettive sintomatiche, idonee a delineare, secondo canoni di normalità e probabilità, la consapevolezza del pregiudizio arrecato al creditore (Cass. civ., Sez. III, 19 febbraio 2020, n. 4175).
Nella specie la corte territoriale ha dato conto di plurimi elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti -tra cui l’alienazione dell’unico bene di proprietà del debitore, le modalità di pagamento del corrispettivo, la mancata trascrizione dell’ipoteca legale e la permanenza della venditrice nell’immobileda cui ha logicamente inferito la consapevolezza dell’acquirente circa il pregiudizio arrecato al creditore.
Tali argomentazioni, adeguatamente esplicitate, risultano conformi al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando l’atto di disposizione ha ad oggetto l’unico cespite patrimoniale del debitore, l’esistenza e la consapevolezza del pregiudizio possono dirsi in re ipsa (Cass. civ., Sez. III, 19 febbraio 2020, n. 4175, cit.).
5.1. Il secondo motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare ( in materia di sanzioni amministrative per violazione della normativa antiriciclaggio ), la violazione dell’importo massimo consentito deve fare riferimento al valore dell’intera operazione economica alla quale il trasferimento è funzionale -c.d. criterio oggettivo- e si realizza anche quando il trasferimento si sia attuato mediante il compimento di varie operazioni, ciascuna di valore inferiore o pari al massimo consentito (Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2023, n. 17971).
5.2. Il terzo motivo è inammissibile.
L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Non integra, invece, il vizio rilevante ex art. 360, n. 5, c.p.c. la semplice mancata valutazione di singoli elementi istruttori, qualora il fatto storico cui tali elementi si riferiscono sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, anche se la sentenza non dia conto dettagliato di tutte le risultanze probatorie (Cass. civ., Sez. II, ord. 20 giugno 2024, n. 17005).
5.3. Il quarto motivo è inammissibile.
Come affermato dalla corte di merito nell’impugnata sentenza , gli estratti conto e la documentazione versata in atti risultano idonei a fondare, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, il convincimento secondo cui il prezzo di vendita sarebbe stato fraudolentemente restituito dalla sig.ra COGNOME ai venditori.
Ne consegue che il rigetto della domanda subordinata formulata dall ‘odierna ricorrente deve intendersi implicitamente evincentesi dalla motivazione della sentenza impugnata.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza