Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16362 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16362 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8265/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME, domiciliata ex lege come da Pec.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME, domiciliata ex lege come da Pec.
–
contro
ricorrente –
–
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1306/2021 depositata il 29/11/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza n. 1306 del 2021 della Corte d’Appello di Torino , di conferma della pronuncia del giudice di prime cure di accoglimento della domanda di revocatoria ex art. 2901 cod. civ. proposta da Bene Banca nei confronti del venditore NOME e nei confronti dell’acquirente e coniuge NOME
Resiste con controricorso Bene Banca.
Resta intimato NOMECOGNOME
Il consigliere delegato (ed odierno relatore: v. Cass., Sez. Un., 10/04/2024, n. 9611) formulava proponeva proposta di definizione accelerata del ricorso; il difensore della ricorrente, munito di procura speciale, insisteva per la decisione; pertanto, il ricorso veniva avviato alla trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La banca resistente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 306 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2901 c.c., 2697 c.c., 2727 c.c. e 2729 c.c., nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 306 c.p.c. n. 5, in ordine alla seguente affermazione contenuta a pag. 21 ss. dell’impugnata sentenza’.
Lamenta che la corte di merito ha svolto un ragionamento presuntivo riferito a circostanze non gravi, né precise, e neppure
concordanti, ed ha invece omesso di considerare ‘fatti secondari decisivi in grado di fondare una presunzione semplice’, che l’avrebbero portata alla diversa decisione di escludere la ricorrenza dei presupposti dell’azione revocatoria.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente riproduce per cinque pagine la motivazione dell’impugnata sentenza, senza indicare, nello specifico, quale parte della suddetta sentenza andrebbe cassata, pretendendo in sostanza che sia questa Corte a ricavare le parti di motivazione da censurare, salvo poi dedurre doglianze -avverso il ragionamento svolto dalla corte di merito per affermare la ricorrenza, nel caso di specie, degli elementi dell’azione pauliana – formulate in maniera assertiva e generica, che finiscono per sollecitare un riesame del fatto e della prova, estraneo al giudizio di legittimità, se non nei limiti di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., inapplicabile al caso di specie, dato che i fatti decisivi -secondari o meno che siano- vengono solo invocati e, in manifesta violazione dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ., non viene detto se, dove e quando siano stati effettivamente oggetto di discussione tra le parti nel precedente contesto processuale.
Questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti
gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
Ne consegue che la denuncia con ricorso per cassazione della violazione o falsa applicazione dell’ art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass., 28/11/2022, n. 34950).
Orbene, con il motivo in scrutinio la ricorrente pretende di sottoporre a questa Corte una diversa interpretazione dei fatti di causa rispondente alla propria tesi difensiva, mentre dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte di merito, nel confermare la sentenza di prime cure, in punto di esistenza dell’elemento soggettivo della scientia damni in capo sia al disponente sia all’avente causa, ha valutato la situazione debitoria sempre più compromessa della società di famiglia nonché il comportamento del disponente, che ha compiuto il primo atto di alienazione in epoca di poco successiva alla costituzione della garanzia ed il secondo in epoca di poco precedente alla lettera di revoca dell’affidamento, e si è dunque
pronunciata in maniera conforme al summenzionato orientamento di legittimità, ricavando i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi dal complesso degli indizi, valutati nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (v. anche Cass. n. 9178/2018; Cass. n. 14151/2022; Cass., n. 9054/2022).
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 306 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2901 c.c., 2697 c.c., 2727 c.c. e 2729 c.c., nonché in relazione agli artt. 24, 111 Cost, nonché agli artt. 115, 116, 177, 100, 187,188 e 244 c.p.c., in riferimento alla mancata ammissione delle prove testimoniali ed in particolare alla seguente affermazione contenuta paggio 24 ss. dell’impugnata sentenza’.
Lamenta che la corte di merito ha errato là dove ha fatto ricorso al ragionamento presuntivo per affermare la scientia damni in capo al terzo, destinatario degli atti dispositivi, ed ha tuttavia mancato di ammettere la prova testimoniale contraria, che era stata puntualmente dedotta, era ammissibile e rilevante, ed era finalizzata a provare l’inesistenza dei presupposti dell’azione revocatoria ex adverso esperita.
2.1. Il motivo è inammissibile.
E’ pur vero che questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che ‘ Non è consentito fare ricorso alle presunzioni semplici per desumere, ai sensi dell’art. 2729 c.c., dal fatto noto uno ignoto, quando quest’ultimo ha costituito oggetto di prova diretta, in quanto, da un lato, ciò esclude che il fatto possa considerarsi “ignoto” e, dall’altro, lo stesso contrasto fra le risultanze di una prova diretta e le presunzioni semplici priva queste dei caratteri di gravità e precisione, con la conseguenza che il giudice di merito, il quale intenda basare la ricostruzione
del fatto su presunzioni semplici, ha prima l’obbligo di illustrare le ragioni per cui ritiene inattendibili le prove dirette che depongono in senso contrario, non potendosi limitare ad una generica valutazione di maggiore persuasività delle dette presunzioni’ (Cass., 01/09/2023, n. 25635).
Va al riguardo invero ribadito che è
l’apprezzamento delle istanze istruttorie operato dalla corte di merito nel rilevare ‘l’inconferenza delle prove richieste’, per un verso in relazione al ‘complesso delle ragioni’ svolte per affermare, sulla base della decisività delle acquisite risultanze probatorie documentali, l’esistenza della scientia damni del terzo, per altro verso in relazione sia alla irrilevanza dei capi di prova orale dedotti, nella misura in cui era mancata l’allegazione, questa soltanto decisiva, della cessazione della convivenza e della coabitazione tra i coniugi, sia alla superfluità della c.t.u., essendo irrilevante, ai fini della verifica dei presupposti dell’azione revocatoria, accertare il valore degli immobili.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. Nullità della sentenza in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. in ordine alle
seguenti contraddittorie affermazioni contenute a pag. 21 dell’impugnata sentenza’.
Lamenta che la corte di merito parla indifferentemente -ma dunque, secondo il ricorrente, contraddittoriamente ed illogicamente – di scientia damni ovvero di partecipatio fraudis .
Lamenta, inoltre, che la corte di merito si è pronunciata senza considerare un precedente di legittimità (viene invocata Cass., 1286/2019) secondo cui, ai fini della verifica dei presupposti dell’azione revocatoria, non è sufficiente il solo legame di parentela tra il venditore e l’acquirente, bensì occorre un legame ‘qualificato’ tra le parti dell’atto dispositivo, che in quel caso era dato dal fatto che il terzo era coobbligato con i disponenti per la fideiussione prestata.
3.1. Il motivo è infondato.
Premesso che il terzo comma dell’art. 2901 cod. civ. prevede, in caso di atto dispositivo a titolo oneroso, che ‘il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione’, con il motivo in scrutinio il ricorrente censura solo isolati passaggi motivazionali, asserendone la reciproca contraddittorietà, mentre dalla lettura complessiva della motivazione risulta che la corte di merito, del tutto correttamente: a) ha rilevato che gli atti dispositivi erano successivi al sorgere del credito; b) ha altresì rilevato che le parti erano coniugi, separati di fatto, ma ancora conviventi e coabitanti; c) sulla base di tali circostanze ha desunto la dimostrazione dell’esistenza dell’elemento soggettivo, presupposto dell’azione revocatoria, anche in capo al terzo.
Al di là, dunque, del riferimento ad un precedente di questa Corte, che -a detta della ricorrente – avrebbe valorizzato l’esistenza di un vincolo di solidarietà tra i disponenti ed il terzo, ma che peraltro ribadisce il principio per cui la prova della participatio fraudis del terzo può essere ricavata anche da
presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (Cass., 1286/2019; Cass., 05/03/2009, n. 5359), dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte di merito ha attribuito rilievo non solo al mero rapporto di coniugio, ma anche alla sostanziale coabitazione tra debitore e terzo, come pure alla situazione di complessiva difficoltà economica della società di famiglia, circostanze tutte rispetto alle quali ha altresì rilevato non essere stata fornita alcuna prova contraria.
La corte territoriale ha pertanto svolto un ragionamento logico-deduttivo del tutto conforme agli insegnamenti di legittimità, secondo cui la gravità, precisione e concordanza richieste dalla legge vanno ricavate da un giudizio globale e non atomistico degli indizi, e dalla loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro, in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., n. 12002/2017; Cass., n. 5374/2017). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto della controparte a fornire la prova contraria.
All’inammissibilità e info ndatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
Non è a farsi luogo a condanna della ricorrente ai sensi del combinato disposto degli artt. 380-bis e 96, comma terzo e quarto, cod. proc. civ., in quanto per anomalia del pct la proposta di decisione accelerata risulta nel fascicolo telematico priva di
motivazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 9.200,00, d cui euro 9.000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza