Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13265 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13265 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 8838/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, per questa atto rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima in persona del suo procuratore dottAVV_NOTAIO, giusta procura del 17/9/RAGIONE_SOCIALE autenticata dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO Notaio in San Donato Milanese, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, int. 3, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME
avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 2032/2019, depositata in data 13 agosto 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/5/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME si costituiva fideiussore per i debiti di varie società (atto del 3 aprile 2000 con cui l’RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, ha concesso un mutuo di euro 516.456,90 in favore della RAGIONE_SOCIALE; atto del 26/11/2002 con cui la RAGIONE_SOCIALE concedeva alla RAGIONE_SOCIALE un mutuo di euro 980.000,00; atto del 13 gennaio 2006 con cui la Banca Toscana erogava alla società RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 325.922,50; atto della Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE con erogazione in favore della società RAGIONE_SOCIALE per euro 480.000,00).
In data 27 gennaio 2009 NOME COGNOME prometteva di vendere al proprio marito NOME COGNOME la propria quota del 50% di un immobile, costituito da un appartamento, sito in INDIRIZZO Fiorentino, INDIRIZZO, mappa 29, particella 32, sub 1, cat. A/3. Il contratto preliminare veniva trascritto il 28 gennaio 2009. Nel preliminare il promissario acquirente NOME COGNOME, proprietario del residuo 50%, si riservava di indicare la persona da denominare nel contratto definitivo.
Altro contratto preliminare, stavolta non trascritto, veniva stipulato il 24 2009, sempre tra la COGNOME, il COGNOME e – stavolta NOME COGNOME.
Dopo la stipula del preliminare la MPS notificava precetto il 10/10/2009 alla RAGIONE_SOCIALE (terza datrice di ipoteca) per la somma di euro 1.074.481,98.
Con successivo atto di precetto del 4/8/2009 la RAGIONE_SOCIALE intimava alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento della somma di euro 409.499,98.
Il 19/10/2009 veniva emesso decreto ingiuntivo in favore della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e della garante NOME COGNOME per euro 174.181,06.
L’RAGIONE_SOCIALE procedeva ad iscrivere ipoteca giudiziale il 22/10/2009 sulla quota di 1/2 della piena proprietà dell’immobile sopra descritto, in forza del decreto ingiuntivo emesso.
L’1/6/2009 la RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE iscriveva altra ipoteca giudiziale per la somma di euro 1.000.000,00.
Con atto di precetto del 20/11/2009 la Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE intimava a NOME COGNOME di pagare la somma di euro 182.547,06, portata dal decreto ingiuntivo.
A seguito del mancato pagamento, la Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE, con atto notificato il 30/1/2010, provvedeva a pignorare nei confronti di NOME COGNOME, marito della COGNOME, «tutte le somme e i crediti dovuti da quest’ultimo a favore della stessa in virtù del preliminare di compravendita del 27/1/2009».
Altro pignoramento presso terzi veniva notificato dalla RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE il 7/8/2009, avente ad oggetto lo stesso identico credito nascente dal preliminare di compravendita.
In data 12/1/2010 veniva stipulato il contratto definitivo, con cui NOME COGNOME vendeva la propria quota di proprietà in favore di NOME COGNOME, che vendeva l’altra quota, indicando quale persona che acquistava i diritti e assumeva gli obblighi, ex art. 1404 c.c., NOME COGNOME.
Pertanto, l’immobile era acquistato dalla COGNOME, nonostante vi fossero iscritte due ipoteche giudiziali, l’1/6/2009 e il 22/10/2009, dopo la trascrizione del contratto preliminare di compravendita del 27 gennaio 2009, trascritto il 28 gennaio 2009.
Nell’atto di compravendita si dava regolarmente atto dell’esistenza delle due ipoteche, una della RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE e l’altra della Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE, «ipoteche iscritte sul bene immobile oggetto di preliminare e della successiva vendita».
Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo terminava con sentenza del 23/9/2011 del tribunale di RAGIONE_SOCIALE che, in accoglimento della domanda proposta dalla banca, accertava l’esistenza alla data del pignoramento di un credito di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME per euro 200.000,00.
La Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE promuoveva azione revocatoria chiedendo: accertarsi l’inefficacia del contratto preliminare di compravendita del 26/1/2009; revocare ai sensi dell’art. 2901 c.c. l’atto di dichiarazione di nomina e compravendita del 12/1/2010, posto in essere tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali venditori per un mezzo ciascuno, e NOME COGNOME quale acquirente per l’intero.
Il tribunale di RAGIONE_SOCIALE dichiarava l’inefficacia relativa ex art. 2901 c.c. nei confronti dell’attrice e dell’intervenuta del contratto definitivo stipulato in data 12/1/2010.
Proponeva appello NOME COGNOME e si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del credito di Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE accoglieva parzialmente l’appello, dichiarando la nullità della sentenza nella parte in cui aveva dichiarato l’inefficacia relativa ex art. 2901 c.c. nei confronti
dell’attrice (ora RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) del contratto del 12/1/2010, «limitatamente alla quota, alienata dal COGNOME alla COGNOME di 1/2 dell’immobile adibito a civile abitazione».
In particolare, la Corte d’appello, per quel che ancora qui rileva, reputava sussistente la scientia damni del terzo, e quindi della COGNOME, con riferimento alla quota di ½ di proprietà COGNOME.
La Corte territoriale valorizzava gli elementi già valutati dal giudice di prime cure: l’attestazione contenuta nel contratto definitivo del 12 giugno 2010 dell’inopponibilità all’acquirente ex art. 2645bis c.c., delle ipoteche giudiziali iscritte successivamente alla trascrizione del contratto di compravendita del 27/1/2009 (essendo, dunque, la COGNOME edotta dell’esistenza di tali gravami contro la COGNOME, pur se non opponibili alla COGNOME per l’effetto prenotativo del preliminare trascritto); la circostanza che la COGNOME si stava spogliando del cespite immobiliare sul quale le banche avevano iscritto le ipoteche giudiziali; la presenza delle iscrizioni ipotecarie sottendeva l’esistenza di crediti garantiti dall’immobile; ai fini della stipula del contratto definitivo non si era utilizzato il preliminare non trascritto del 20/4/2009, cui avevano partecipato tutte e tre le parti, ma quello del 27/1/2009, cui avevano partecipato soltanto la COGNOME e il COGNOME, «e ciò con l’intento di avvalersi dell’effetto prenotativo in danno dei creditori»; il rapporto di conoscenza tra le parti in causa faceva presumere la notorietà «delle vicissitudini economiche della COGNOME»; l’operazione commerciale intercorsa tra le parti rendeva edotto l’acquirente, che era consapevole delle iscrizioni ipotecarie, «della diminuzione della garanzia patrimoniale delle banche rappresentata dall’immobile».
Inoltre, la Corte d’appello evidenziava che il primo giudice aveva fatto corretta applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale per cui, in tema di preliminare di vendita per
persona da nominare, ove l’acquisto del terzo, per electio amici del promissario acquirente, sia impugnato in revocatoria, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901, primo comma, n. 2, c.c. «deve essere valutato riguardo al nominato al momento di accettazione della nomina, mentre, se tale valutazione dà esito negativo, prevalgono gli stati soggettivi del nominante, trovando applicazione l’art. 1391 c.c.» (Cass., sez. 3, 12 maggio 2015, n. 9595).
Quanto alla COGNOME, dunque, l’elemento soggettivo dovrà essere valutato alla data del rogito del 12/1/2010, in quanto la stessa non era parte del preliminare del 26/1/2009.
La Corte d’appello, però, accoglieva l’appello con riferimento alla porzione dell’immobile ceduta da NOME COGNOME.
In questo caso, il giudice di prime cure, si era limitato ad affermare che «valgono sul punto le considerazioni sopra svolte a proposito dell’atto dispositivo COGNOME», senza soffermarsi sulle specifiche motivazioni in relazione all’atto dispositivo COGNOME.
Per la Corte territoriale, in realtà, il credito delle banche nei confronti del COGNOME era sorto dopo l’atto dispositivo del 12/1/2010.
Il tribunale aveva ritenuto che il credito delle banche era sorto a seguito del pignoramento presso terzi eseguito il 7/10 agosto 2009 da parte della RAGIONE_SOCIALE di risparmio di RAGIONE_SOCIALE e il 30/1/2010 da parte della Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE.
12.1. Per la Corte d’appello, dunque, il credito della RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE era anteriore al rogito del 12/1/2010, in quanto il tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 7-8 febbraio 2012, confermata in appello con sentenza passata in giudicato, aveva definitivamente accertato l’esistenza del credito di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME della somma di euro 200.000,00 alla data del pignoramento, eseguito nell’agosto 2009, così come originato dal
preliminare del 26/1/2009. In tal caso si trattava del credito dell’istituto nei confronti del COGNOME, quale debitor debitoris .
12.1. Quanto, però, al credito di MPS il pignoramento è intervenuto in data 30/1/2010, ma il giudice di prime cure aveva erroneamente ritenuto che fosse anteriore all’atto dispositivo del COGNOME, che invece era del 12/1/2010.
In tal caso, dunque, «deve ritenersi carente uno dei presupposti per l’esperimento dell’azione revocatoria e cioè che il COGNOME fosse debitore di MPS in data anteriore all’atto dispositivo che, invece, è intervenuto prima del pignoramento presso terzi di RAGIONE_SOCIALE».
Il pignoramento infatti era del 30/1/2010, mentre l’atto dispositivo era anteriore risalendo al contratto di compravendita definitivo del 12/1/2010.
Tra l’altro, aggiungeva la Corte d’appello, non era possibile esaminare il profilo della «dolosa preordinazione dell’atto anteriore al sorgere del credito da parte del debitore del terzo (art. 2901, nn. 1 e 2, c.c.), trattandosi di questione che esula dal thema decidendum ».
Anche se poi il giudice d’appello rileva che «in ogni caso», l’iter motivazionale del tribunale, da un lato, «consentirebbe di ritenere provata una preordinazione dolosa del COGNOME sulla base degli stessi elementi addotti per sostenerne la scientia damni », ma dall’altro «difetterebbe tale presupposto, inteso quale partecipazione alla preordinazione dolosa, nei riguardi del 3º acquirente».
Nella comparsa di costituzione della RAGIONE_SOCIALE ci si era soffermati in merito al consilium fraudis del COGNOME e della COGNOME, «riferendosi, invece, quanto alla COGNOME, alla sua mera scientia damni ».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Restavano intimati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «illegittimità del provvedimento impugnato ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (per violazione degli articoli 112 e 345 c.p.c.)».
In particolare, l’appellante COGNOME avrebbe eccepito, per la prima volta nel giudizio di appello, l’anteriorità dell’atto dispositivo del 12/1/2010 rispetto al debito di NOME COGNOME nei confronti della banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE, sorto il 30/1/2010.
Tale thema non era stato sollevato in sede di primo grado, ma esclusivamente nel giudizio d’appello.
Si tratterebbe di una eccezione in senso stretto, quindi preclusa alla parte.
Al contrario, la Corte d’appello, non solo l’ha presa in considerazione, ma ha accolto l’eccezione ponendola a fondamento della sua decisione.
In tal modo avrebbe violato l’art. 345 c.p.c., come pure l’art. 112 c.p.c.
Del resto, la Corte territoriale, dopo aver accolto tale eccezione, ha poi proseguito affermando che non era possibile esaminare il profilo della dolosa preordinazione dell’atto anteriore al sorgere del credito da parte del debitore del terzo, «trattandosi di questione che esula dal thema decidendum , così come cristallizzato in primo grado».
Pertanto, o l’eccezione dovrà essere qualificata in senso stretto e quindi, dichiarato inammissibile ex art. 345 c.p.c., oppure si doveva ritenere ammissibile tale eccezione, con conseguente ampliamento del thema decidendum , con la necessaria conseguente valutazione
anche del «profilo della dolosa preordinazione, intimamente connesso alla questione dell’anteriorità dell’atto dispositivo».
Il motivo è infondato.
2.1. Invero, costituisce principio consolidato di legittimità quello per cui l’eccezione in senso lato possono essere sempre fatte valere d’ufficio dal giudice, tranne le ipotesi in cui i fatti costitutivi dell’eccezione costituiscano il presupposto di azioni costitutive oppure sia la legge ad individuare l’eccezione in senso proprio.
Infatti, per questa Corte, a sezioni unite, in relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di
merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile (Cass., Sez. U., 3 febbraio 1998, n. 1099; in tal senso poi Cass., Sez. U., 25 maggio 2001, n. 226).
Pertanto, il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ” ex actis “, poiché il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove pure le questioni rilevabili d’ufficio fossero soggette ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass., sez. 2, 31 ottobre RAGIONE_SOCIALE, n. 27998; Cass., sez. 1, 20 marzo 2017, n. 7107).
Con chiarezza, si è precisato che nel processo civile, le eccezioni in senso lato consistono nell’allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio ai sensi dell’art. 2697 c.c., con cui sono opposti nuovi fatti o temi di indagine non compresi fra quelli indicati dall’attore e non risultanti dagli atti di causa. Esse si differenziano dalle mere difese, che si limitano a negare la sussistenza o la fondatezza della pretesa avversaria, sono rilevabili d’ufficio – non essendo riservate alla parte per espressa previsione di legge o perché corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva – e sono sottratte al divieto stabilito dall’art. 345, comma 2, c.p.c., sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo e anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (Cass., sez. 3, 6 maggio 2020, n. 8525;
per il processo tributario vedi Cass., sez. 5, n. 8855 del 2019; con riferimento al rilievo d’ufficio della nullità del contratto cfr. Cass., Sez. U., 22 marzo 2017, n. 7294; Cass., Sez. U., n. 26243 del 2014).
2.2. Pertanto, nella specie, sulla base degli atti la Corte d’appello ha correttamente evidenziato che, in ordine alla cessione della porzione di ½ dell’immobile di proprietà di NOME COGNOME, con la compravendita definitiva del 12/1/2010, il debito nei confronti degli istituti di credito era successivo, essendosi cristallizzato con l’atto di pignoramento presso terzi del 30/1/2010 della Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE.
2.3. Di qui l’applicazione dell’art. 2901, primo comma, n. 2, c.c., ultima parte, per cui, ai fini della revocatoria, oltre all’atto dispositivo, e dall’eventus damni , devono concorrere le seguenti condizioni: «che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione».
Per questa Corte, infatti, in tema di azione revocatoria, quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare l'” animus nocendi ” richiesto dall’art. 2901, comma 1, n. 1, c.c. (in caso di atti a titolo gratuito) è sufficiente il mero dolo generico e, cioè, la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato ai creditori, non essendo invece necessaria la ricorrenza del dolo specifico, vale a dire la consapevole volontà di pregiudicare le ragioni creditorie (Cass., sez. 3, 4 settembre 2023, n. 25687; Cass., sez. 3, 27 febbraio 2023, n. 5812;).
Per gli atti a titolo oneroso, quando l’atto di disposizione sia anteriore al sorgere del credito la condizione per l’esercizio dell’azione è, oltre al ” consilium fraudis ” del debitore, la ” participatio fraudis ” del terzo acquirente, cioè la conoscenza da parte di quest’ultimo della dolosa preordinazione dell’alienazione ad opera
del disponente rispetto al credito futuro; tale elemento psicologico, ex art. 2901, comma 1, n. 2, c.c., quale oggetto di prova a carico del soggetto che lo allega, può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, con un apprezzamento, riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass., sez. 3, 18 settembre 2015, n. 18315).
Si è evidenziato in dottrina che nel caso in cui il sorgere del credito sia posteriore all’atto da revocare, è diversa la misura dell’intenzione fraudolenta, che è richiesta nel debitore, dal momento che la revoca potrà essere pronunciata solo quando l’atto di disposizione sia stato dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito.
2.4. Nel caso, invece, in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, come accaduto per la COGNOME, e con riferimento alla sua porzione di proprietà ceduta, la prova della partecipatio fraudis del terzo, può essere ricavata da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di rapporto di convivenza extramatrimoniale tra il debitore ed il terzo (Cass., sez. 6-3, 9 giugno 2000 vendi, n. 10928). In tal caso l’unica condizione per l’esercizio della revocatoria è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore (Cass., sez. 6-3, 18 giugno 2019, n. 16221; Cass., sez. 1, 27 settembre RAGIONE_SOCIALE, n. 23326; Cass., sez. 3, 30 dicembre 2014, n. 27546; Cass., sez. 1, 5 luglio 2013, n. 16825; Cass., sez. 3, 9 febbraio 2012, n. 1896, per cui ai fini della valutazione della scientia damni da parte del 3º si richiede che questi fosse consapevole del pregiudizio arrecato nel momento di compimento dell’atto oggetto di
revocatoria; Cass., sez. 2, 17 agosto 2011, n. 17327; Cass., sez. 3, 5 marzo 2009, n. 5359).
2.5. Pertanto, nella specie la Corte d’appello ha correttamente tenuto conto delle circostanze di fatto, emergenti dagli atti, e sottolineate nell’appello articolato dalla COGNOME, che il contratto definitivo di compravendita è stato stipulato il 12/1/2010, mentre il debito del COGNOME nei confronti della banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE è cristallizzato al 30/1/2010, con la notificazione del pignoramento presso terzi, trovando, dunque, applicazione dell’art. 2901, n. 2, ultima parte, c.c., ed essendo necessario dimostrare come si evince dalla giurisprudenza citata, la partecipatio fraudis del terzo acquirente, cioè la conoscenza da parte di quest’ultimo della dolosa preordinazione dell’alienazione ad opera del disponente rispetto al credito futuro.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «illegittimità del provvedimento impugnato ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo della controversia (ovvero per omesso esame delle argomentazioni fattuali dell’odierna ricorrente, in merito all’elemento soggettivo della signora COGNOME)».
In particolare, la Corte d’appello, una volta ritenuta ammissibile l’eccezione sollevata per la prima volta in sede di gravame, avrebbe dovuto esaminare tutti i fatti dedotti in giudizio sul punto.
La Corte territoriale ha ritenuto mancante il requisito della partecipazione della COGNOME alla dolosa preordinazione del COGNOME «anche perché l’odierna ricorrente non avrebbe esaminato».
In realtà, la società ha compiutamente dato atto di una serie di fatti ed elementi che «costituiscono il corredo, per l’appunto, dell’elemento della partecipazione della signora COGNOME alla dolosa preordinazione del signor COGNOME».
Di sicuro, il COGNOME, alla data del contratto definitivo del 12/1/2010, era perfettamente consapevole della gravissima situazione patrimoniale del coniuge. Ciò era dimostrato anche dalla iscrizione di 2 ipoteche giudiziali nel giugno e nell’ottobre del 2009 da parte delle banche. Tra l’altro, lo stesso COGNOME aveva ricevuto nell’agosto 2009, da parte della RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE, la notifica dell’atto di pignoramento presso terzi.
Analoghe osservazioni vanno fatte per la signora NOME COGNOME. Questa è divenuta destinataria dell’obbligo a contrarre solo a seguito della dichiarazione di nomina formalizzata dal promittente acquirente COGNOME nell’atto di compravendita del 12/1/2010, sicché, nella valutazione dell’elemento soggettivo, si sarebbe dovuto fare esclusivo riferimento a tale data.
La ricorrente cita poi un precedente di questa Corte (Cass., n. 9595 del 2015) per il quale lo Stato soggettivo del terzo acquirente persona nominata in sede di contratto definitivo deve essere apprezzato «con riferimento al momento in cui la nomina è stata accettata e quindi, nel caso di specie, al momento della conclusione del contratto definitivo».
Quando la COGNOME ha acquistato l’immobile risultavano iscritte sullo stesso 2 ipoteche, una di MPS e l’altra della RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE.
L’esistenza di 2 ipoteche giudiziali ha certamente ingenerato nella COGNOME la piena consapevolezza del pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato alle ragioni creditorie delle banche.
Inoltre, la COGNOME ha anche sfruttato l’effetto prenotativo del contratto preliminare di compravendita del 27 gennaio 2009, a dimostrazione della partecipazione della COGNOME «all’ingegnosa macchinazione posta in essere al fine di sottrarre il bene alla garanzia creditoria».
Tra l’altro nel corso dell’interrogatorio formale la COGNOME avrebbe «confessato di conoscere il signor COGNOME e la signora COGNOME fin dal 1975 di essere a conoscenza del preliminare di compravendita stipulato tra gli stessi».
4. Il motivo è fondato.
4.1. Una volta acclarato che la Corte d’appello poteva tenere conto dell’eccezione nuova sollevata dalla COGNOME con l’atto d’appello, in relazione alla circostanza di fatto, desumibile dagli atti che il contratto definitivo di compravendita del 12/1/2010, con riferimento specifico alla porzione (1/2) nella titolarità del COGNOME, era anteriore al sorgere del credito delle banche, o meglio della Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE nei confronti del COGNOME, quale debitor debitoris , con il pignoramento presso terzi notificato il 30/1/2010, trovava applicazione l’art. 2901, n. 2, ultima parte, c.c..
Pertanto, la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare i documenti prodotti dalle parti, e segnatamente le 2 ipoteche giudiziali iscritte sull’immobile oggetto di causa, prima dell’atto di compravendita definitivo del 12/1/2010, e segnatamente l’ipoteca giudiziale del 1/6/2009 della RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE per l’importo di euro 1.000.000,00, oltre all’ipoteca giudiziale del 22/10/2009 di MPS.
Entrambe le ipoteche giudiziali risultano indicate nel contratto definitivo di compravendita del 12/1/2010.
Altro elemento che la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare è costituito dal contratto preliminare non trascritto del 20 aprile 2009, nel quale erano presenti tutte e tre le parti, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La peculiarità della fattispecie in oggetto, pone poi la questione del contratto per persona da nominare, in quanto nel contratto preliminare trascritto del 27/1/2009, NOME COGNOME, quale
promissario acquirente, ha acquistato la metà dell’immobile, di proprietà di NOME COGNOME, per persona da denominare, provvedendo poi alla nomina di NOME COGNOME contestualmente alla stipula del contratto definitivo del 12/1/2010, con gli effetti di cui all’art. 1404 c.c.
Sul punto si osserva l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale che, peraltro, appare ormai risolto.
5.1. In precedenza infatti si è ritenuto che, in tema di preliminare di vendita per persona da nominare, ove l’acquisto del terzo per ” electio amici ” del promissario acquirente sia impugnato in revocatoria, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901, primo comma, n. 2, cod. civ. deve essere valutato riguardo al nominato e al momento di accettazione della nomina, mentre, se tale valutazione dà esito negativo, prevalgono gli stati soggettivi del nominante, trovando applicazione l’art. 1391 cod. civ. (Cass., sez. 3, 12 maggio 2015, n. 9595).
Si è ritenuto, infatti, che nel contratto per persona da nominare, i rapporti tra il dichiarante (nella specie il COGNOME) e la persona nominata (COGNOME) sono regolati dalla disciplina della rappresentanza volontaria e il contraente che si è riservata la facoltà di nomina assume la funzione di rappresentante del terzo nell’arco di tempo che corre dalla conclusione del contratto la dichiarazione di nomina.
In tal caso rileva soprattutto il comma 2º dell’art. 1391 c.c., il quale radica sulla persona del rappresentato (e, dunque, del nominato accettante, ossia la COGNOME) la rilevanza dello stato di malafede o di conoscenza (di ‘determinate circostanze’, come si esprime il primo comma dell’art. 1391 c.c.), che impedisce allo stesso di giovarsi dello stato di ignoranza o di buona fede del rappresentante.
Pertanto, la buona fede o l’ignoranza del rappresentato sposta la verifica sugli stati soggettivi di buona fede o malafede o ignoranza, del rappresentante, che, in tal caso, prevalgono.
Pertanto, la malafede del rappresentato prevale a norma dell’art. 1391, 2º comma, c.c., sull’eventuale buona fede del rappresentante, non potendo il rappresentato trarre profitto dalla propria malizia (Cass., 29 ottobre 1963, n. 2874).
5.2. Tale orientamento è stato però superato di recente da questa Corte – e qui si intende dare seguito a tale ultimo indirizzo – la quale ha ritenuto che, in caso di esercizio dell’azione revocatoria avente ad oggetto il contratto definitivo di compravendita immobiliare concluso nelle forme di cui all’art. 1401 c.c., qualora l’immobile compravenduto sia stato oggetto di pignoramento trascritto anteriormente alla trascrizione del contratto definitivo ma posteriormente alla trascrizione del preliminare, la verifica della ” scientia damni ” in capo alla terza nominata (da compiersi solo nell’ipotesi in cui analoga verifica, già effettuata nei riguardi dello stipulante e con riferimento al momento della conclusione del contratto preliminare, abbia dato esito negativo), deve essere diretta ad evidenziare se la colpa della stessa, nel non aver consultato i registri immobiliari, possa assumere i connotati della lievità, idonea a giustificare la tutela del suo affidamento (Cass., sez. 3, 22 giugno 2020, n. 12120).
5.3. In base a tale impostazione, deve prioritariamente verificarsi lo stato soggettivo del rappresentante (il COGNOME) e, solo successivamente, nel caso in cui la verifica abbia dato esito negativo, si può passare a valutare lo soggettivo del rappresentato (la COGNOME).
Tale tesi si fonda sulla circostanza che, in realtà, è solo lo stipulante (nella specie COGNOME) a prendere parte a quella fase
prodromica alla formazione del contratto preliminare che potrebbe consentirgli, attraverso l’interlocuzione con l’altro contraente, «di appurare circostanze utili a rivelare che l’atto dispositivo, ancora in fieri , si presenta potenzialmente pregiudizievole per le ragioni del creditore della propria controparte contrattuale».
Una simile possibilità, invece, «appare difficilmente ipotizzabile per il nominato , il quale ha semplicemente la facoltà di accettare (o, per converso rifiutare) la ‘ electio ‘, visto che mai ‘la dichiarazione di nomina, attesa la funzione di far acquistare al terzo gli stessi diritti ed obblighi derivanti dal suo contratto’, potrebbe ‘contenere alcuna modifica o variazione del suo contenuto, essendo, altrimenti, improduttiva di effetti’» (Cass., sez. 2, n. 7217 del 2013).
Del resto, in dottrina si è ritenuto che deve essere valutato lo stato di buona o mala fede del rappresentante, come regola generale, cui si deroga nell’ipotesi in cui il rappresentato sia in mala fede ex articolo 1391, 2º comma, c.c. Con la precisazione, però, che tale norma non costituisce un’eccezione al principio per cui occorre avere riferimento agli stati intellettivi di chi personalmente impegna la sua volontà negoziale, ma costituisce un rimedio legale e preventivo nei confronti di facili manovre fraudolente del soggetto che pur sempre è destinatario degli effetti.
5.4. Trattasi, peraltro, di un caso speculare a quello oggetto di trattazione, in cui tra la stipula del contratto preliminare trascritto e la conclusione del contratto definitivo di compravendita, si sono innestati degli atti di pignoramento, mentre nel caso in esame sono state iscritte due ipoteche giudiziale, la prima al 1/6/2009 e la seconda il 30/1/2010.
Per questa Corte, dunque, con riferimento alla posizione del 3º (la COGNOME), ed ai fini della dimostrazione della dolorosa preordinazione dell’atto negoziale al fine di danneggiare la garanzia
generica nei confronti dei creditori, non è sufficiente l’esistenza di una « culpa levis », essendo invece richiesta la colpa «grave, ovverosia della malafede dell’acquirente».
Pertanto, «l’esistenza della malafede, seppure sotto il profilo della mera colpa grave, è sufficiente – nell’ipotesi di revocatoria – ad escludere ogni fondamento alla tutela del terzo, acquirente del bene, nel caso di suo conflitto con l’interesse del creditore a non veder pregiudicare la funzione di garanzia che i beni del debitore- ex art. 2740 c.c. – assicurano al proprio credito » (Cass., sez. 3, 22 giugno 2020, n. 12120; anche Cass., sez. 1, n. 1468 del 1979 ).
Il terzo acquirente, deve essere certamente ritenuto «in colpa per non aver consultato i registri immobiliari, e ciò anche in ragione del fatto che la loro funzione, rispetto alle vicende circolatorie che investono i beni immobili, è proprio quello di ‘surrogare’ l’analoga funzione che la buona fede dell’acquirente (o del cessionario) svolge, invece, rispetto a quelle che investono i beni mobili (o i crediti), a norma dell’art. 1153 cc» (Cass., n. 12120 del 2020).
Questa Corte ha ritenuto che la colpa del terzo acquirente può ritenersi ‘lieve’, facendo in questo modo salva la sua libertà negoziale, ove si accertasse che «avesse chiesto l’effettuazione di visure o, quantomeno, avesse sollecitato rassicurazioni specifiche circa l’inesistenza di trascrizioni pregiudizievoli per il suo diritto» (Cass., n. 12120 del 2020).
Nel caso in esame, al momento della stipula del contratto definitivo del 12/1/2010, la nominata COGNOME aveva dinanzi a sé un immobile in cui risultavano espressamente iscritte due ipoteche giudiziali a favore delle banche, una del 1° giugno 2009 della RAGIONE_SOCIALE di Risparmio di RAGIONE_SOCIALE l’altra del 22 ottobre 2009 della MPS.
La verifica dello stato soggettivo, ossia della partecipatio fraudis del terzo, ai sensi dell’art. 2901, primo comma, n. 2, ultima parte,
c.c., dovrà essere effettuata, in via di priorità, con riferimento alla posizione dello stipulante (il COGNOME), in occasione della conclusione del contratto preliminare.
La verifica della scientia damni in capo alla terza nominata (la COGNOME) dovrà essere compiuta solo nell’ipotesi in cui analoga verifica, effettuata nei riguardi dello stipulante e con riferimento al momento della conclusione del preliminare, abbia dato esito negativo.
Del resto il principio generale è quello per cui in tema di azione revocatoria ordinaria di un contratto definitivo di compravendita di un bene promesso in vendita, la sussistenza dell'” eventus damni ” rispetto al creditore procedente va valutata in riferimento al momento della stipula del contratto definitivo, verificandosi soltanto in tale momento il compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore; per contro, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 cod. civ. in capo all’acquirente va valutato, invece, in relazione al momento della stipula del contratto preliminare, dovendosi contemperare, in ossequio alla “ratio” dell’azione revocatoria, la garanzia patrimoniale dei creditori con l’affidamento del terzo nello svolgimento della propria autonomia privata (Cass., sez. 3, 18 agosto 2011, n. 17365; Cass., sez. 3, 20 agosto 2009, n. 18528; Cass., sez. 3, 16 aprile 2008, n. 9970).
6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 maggio 2024