Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30708 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30708 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31782/2021 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Conegliano INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2490/2021 depositata il 30/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
-La società RAGIONE_SOCIALE ha ottenuto un decreto ingiuntivo (in data 26.4.2012) nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME si è costituito garante del pagamento di tale importo.
Se non che, dopo la prestazione di tale garanzia, il Bordignon ha alienato la sua quota parte (50%) di un immobile alla moglie NOME COGNOME ed in più ne ha donato un altro: nell’atto notarile della vendita si dava atto che il prezzo era stato pagato mediante estinzione del credito che la COGNOME aveva verso il marito, in quanto quest’ultimo aveva prelevato fondi dal conto della società RAGIONE_SOCIALE, di cui era socia la moglie e che dunque appartenevano anche a quest’ultima, e li aveva versati sul conto di altra società.
-La RAGIONE_SOCIALE, quindi, creditrice del Bordignon, in quanto costui era garante del debito che RAGIONE_SOCIALE aveva verso RAGIONE_SOCIALE, ha agito in giudizio per ottenere la revocatoria di tali trasferimenti immobiliari.
In quel giudizio il COGNOME e la COGNOME si sono costituiti eccependo che l’alienazione era stata fatta per adempiere ad un debito scaduto: quello di restituzione delle somme che il COGNOME aveva prelevato e che andavano restituite alla COGNOME.
-Sia il Tribunale di Vicenza, prima, che la Corte di Appello di Venezia, poi, hanno accolto la domanda, dichiarando inefficaci nei confronti del creditore entrambi i trasferimenti.
-Ricorrono per cassazione sia NOME COGNOME che NOME COGNOME con tre motivi, illustrati da memoria, cui ha fatto seguito il controricorso di RAGIONE_SOCIALE, anche esso illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
-Innanzitutto, la controricorrente eccepisce la nullità della procura, si direbbe del mandato, che i due coniugi hanno conferito
insieme al medesimo difensore: ciò in quanto, secondo questa tesi, tra i due coniugi vi sarebbe un conflitto di interessi, che impedisce che essi siano difesi da un unico difensore.
Il conflitto di interessi sarebbe dovuto al fatto che, nel momento in cui COGNOME asserisce di avere prelevato indebitamente somme dal conto della COGNOME, meglio della società di cui costei era socia, ammette di avere commesso un illecito ai danni di quest’ultima, e dunque versa in una situazione di conflitto di interessi.
L’eccezione non è fondata.
Qui i due agiscono per un interesse comune: a che non sia dichiarato inefficace un atto compiuto da entrambi. Rispetto alla pretesa di EcoPaper di revocare quell’atto, i due coniugi hanno comune interesse ad evitarlo, posto che quell’atto era stato finalizzato, secondo loro, a rimediare all’illecito prelievo. Il marito ha ceduto la sua parte proprio per rimediare al prelievo illegittimo; dunque, l’atto qui controverso ha risolto l’ipotetico conflitto di interessi con la moglie, con la conseguenza che i coniugi hanno adesso interesse comune a che tale atto, che ha regolato il loro conflitto, non venga dichiarato inefficace.
2. -Con il primo motivo si prospetta violazione degli articoli 2901, terzo comma, 1186, 1241 e ss. e 1813 c.c. e difetto di motivazione.
La tesi sostenuta sin dall’origine dai due ricorrenti è che l’atto di trasferimento, dal marito alla moglie, è stato fatto ad estinzione del debito di quello nei confronti di questa: debito che derivava dall’avere il marito prelevato abusivamente i soldi dal conto della società di cui la moglie era partecipe.
Dunque, il trasferimento, essendo stato fatto ad estinzione di un debito scaduto, non poteva essere oggetto di revocatoria.
Il giudice di merito non ha creduto a questa tesi, in quanto ha ritenuto che non vi fosse alcuna prova di tale debito scaduto, non di un mutuo né di altro titolo che obbligasse il marito a restituire somme alla moglie.
Questa ratio è contestata dai ricorrenti sostenendo che non vi era necessità di un atto scritto, essendo il mutuo un contratto informale. Piuttosto, il credito della moglie è documentato e risulta altresì dalle risposte che costei ha dato all’interpello. Con la conseguenza che la valutazione delle prove, che ha condotto i giudici di merito ad escludere un debito preesistente, deve ritenersi immotivata.
Trattasi, all’evidenza, di censure che, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, sono, nella sostanza, volte a sollecitare un riesame del merito della controversia.
Infondata è altresì la censura relativa al difetto di motivazione, posto che una decisione può dirsi nulla per tale motivo solo se mancano del tutto gli argomenti che la sorreggono. Come è facile intuire, non solo da quanto si dirà in seguito e da quanto si è riportato in precedenza, ma altresì leggendo la stessa motivazione, quegli argomenti ci sono.
3. -Con il secondo motivo si prospetta una violazione degli articoli 113 c.p.c., nonché degli artt. 2901, terzo comma, 1241 e ss., 1173 e 2043 c.c. e carenza assoluta di motivazione.
Secondo il ricorrente, il fatto di avere escluso un debito pregresso, avrebbe dovuto indurre la corte di merito a qualificare allora a che titolo il COGNOME ha prelevato somme altrui (la moglie): se la corte si fosse posto il problema, avrebbe dovuto ammettere che quel prelievo era illegittimo e che dunque da esso nasceva una obbligazione di restituzione, che è stata per l’appunto adempiuta tramite il trasferimento immobiliare.
I motivi pongono una questione comune e possono scrutinarsi insieme.
Innanzitutto, è onere del convenuto, ossia di chi subisce una revocatoria, dimostrare che l’atto di disposizione oggetto, per l’appunto, della revocatoria, è stato concluso per estinguere un debito scaduto. In difetto di una tale prova, non è onere del giudice chiedersi perché quell’atto è stato compiuto né qualificare atti precedenti che si assumano come presupposti di quello oggetto di giudizio.
Ciò detto, i giudici di merito con accertamento in fatto qui non censurabile, hanno ritenuto sfornita di prova la tesi del debito preesistente, non essendo stato dimostrato che il prelievo era indebito e che dunque era sorta l’obbligazione di restituirlo: ciò che i due convenuti avrebbero dovuto dimostrare.
La circostanza che il mutuo non è atto formale e non è necessario provarlo per iscritto è irrilevante: resta il fatto che i due convenuti avrebbero dovuto provare che un mutuo si è concluso, anche se non con forma scritta, ma per fatti concludenti o altro. Ed è questa prova che è mancata. I giudici di merito non affermano che il mutuo avrebbe dovuto provarsi per forza per iscritto; affermano che di quel mutuo non c’è prova, cioè non c’è prova che la moglie abbia prestato quei soldi al marito. Non c’è l’atto scritto come non c’è alcun altro elemento. Non serve dunque limitarsi a dire che il
mutuo può concludersi anche senza atto scritto: serve dimostrare che è stato comunque concluso, ossia che c’è stato un accordo tra coniugi in base al quale l’uno ha dato all’altro una somma a titolo di mutuo. E tale prova, secondo l’apprezzamento dei giudici di merito, è mancata.
Conseguentemente, era onere dei convenuti provare che, se non a titolo di mutuo, quella somma andava restituita ad altro titolo, ossia perché indebitamente prelevata (si invoca qui l’art. 2043 c.c.). Invece una tale prova difetta, secondo i giudici di merito. Né la forniscono o la indicano i convenuti: essa non può consistere nel mero prelievo di somme altrui, posto che quel prelievo può essere implicitamente o esplicitamente autorizzato. Occorreva dunque dimostrare che non lo era.
Piuttosto, nella valutazione della corte di merito, emerge che la somma prelevata è stata impiegata per uno scopo comune, quello di partecipare come soci in un’altra società. Con la conseguenza che, oltre a non essere stata fornita la prova da parte dei convenuti che esisteva un debito pregresso, è emersa la prova contraria: che il prelievo era stato fatto nell’interesse comune e dunque non era indebito, e non era fonte di un obbligo di restituzione.
-Il terzo motivo prospetta anche esso violazione dell’articolo 2901 c.c. e carenza assoluta di motivazione.
I ricorrenti contestano alla corte di merito di avere immotivatamente, e violando i criteri di apprezzamento della prova, ritenuto in capo alla COGNOME la consapevolezza del danno arrecato al creditore: lei che invece era estranea al rapporto di debito, e che invece viene ritenuta consapevole di esso solo in quanto moglie del debitore.
Inoltre, e la questione è riferita all’atto di donazione, il valore del bene era talmente infimo (4 mila euro circa) da dover indurre la corte a motivare le ragioni del danno arrecato al creditore al di là della consapevolezza che potesse averne avuto il coniuge.
Il motivo è inammissibile.
Esso denuncia la valutazione di prova da parte del giudice di merito.
Ma, soprattutto non tiene conto della ratio decidendi della sentenza, la quale, con motivazione idonea ad illustrare le ragioni che la sorreggono, ha fondato la consapevolezza della coniuge sul fatto che costei ha ricevuto il decreto ingiuntivo, da cui risultava il debito, e che sapeva della fideiussione di tale debito fatta dal marito.
Dunque, la decisione impugnata ricava la consapevolezza del danno arrecato al creditore da una serie di altri elementi che i ricorrenti non menzionano, e dei quali la corte di merito ha dato conto.
Infine, non sono addotte ragioni per affermare che una donazione di un bene, di sia pure ridotto valore, non costituisce danno per il creditore, posto che la revocatoria non presuppone un valore minimo: presuppone che il debitore diminuisca in qualunque modo, anche soltanto qualitativamente, il suo patrimonio, diminuzione che con la donazione è avvenuta.
Il ricorso va pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di lite, nella misura di 5000,00 euro, oltre 200,00 euro di esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P .R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/10/2024.