Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17511 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17511 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13932/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, e COGNOME NOME, entrambe rappresentate e difese, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domiciliati digitalmente come per legge
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente come per legge
-controricorrente –
–
avverso la sentenza della Corte d’ appello di Napoli n. 5286/2022, pubblicata in data 14 dicembre 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
Fatti di causa
Unicredit Corporate Bank s.p.a., deducendo di essere creditrice per un importo di euro 2.619.022,33 nei confronti di COGNOME NOME, la quale aveva prestato fideiussione a garanzia dell’esposizione su conto corrente della società RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio la garante e RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia, nei suoi confronti, dell’atto di compravendita con cui la COGNOME aveva ceduto tutti i beni immobili di sua proprietà alla società convenuta.
Il Tribunale di Nola accoglieva la domanda e avverso la sentenza proponevano appello sia la società acquirente che la venditrice.
La Corte d’appello di Napoli ha respinto il gravame , sottolineando che si trattava di atto dispositivo posteriore all’insorgenza del credito e che non poteva neppure ritenersi raggiunta la prova del pagamento da parte dell’acquirente dell’intero prezzo pattuito in favore della venditrice.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale le ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo le ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., anche in relazione all’art . 2808 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto provato il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria.
Evidenziano, in particolare, che i beni immobili alienati con l’atto di compravendita impugnato erano gravati da una serie rilevanti di ipoteche, sia volontarie che giudiziali, sicché l’atto dispositivo non poteva ritenersi idoneo a costituire un pregiudizio per il creditore alla data in cui aveva avanzato la domanda, dal momento che la Banca era edotta non solo dell’esistenza delle ipoteche e dei relativi effetti prenotativi, ma anche e soprattutto che le ipoteche volontarie erano state iscritte per un valore di lire 2.600.000.000 in favore di Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in forza di due mutui ipotecari concessi alla Eurobox s.r.l., la quale aveva presentato domanda di concordato preventivo. Lamentano, pertanto, che la Corte territoriale, non aveva considerato, sulla base di un giudizio prognostico proiettato verso il futuro, che Unicredit s.p.a., quale creditore chirografario, non avrebbe mai potuto soddisfarsi su detti beni immobili, stante la pacifica ante riorità della trascrizione dell’ipoteca gravante sui beni rispetto al contratto di cui si chiedeva la revocatoria, e che l’azione revocatoria dispiegata mancava del presupposto dell’ eventus damni, come pure dell’ animus nocendi in capo all’alienante.
1.1. La censura è infondata.
1.2. Secondo questa Corte, in materia di revocatoria ordinaria, l’esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell’atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l’intero valore, non esclude la connotazione di quell’atto come eventus damni, atteso che la valutazione tanto della idoneità dell’atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con
riferimento non al momento del compimento dell’atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l’eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (Cass., sez. 6 – 3, 08/08/2018, n. 20671; Cass., sez. 6-3, 12/03/2018, n. 5860; Cass., sez. 3, 25/05/2017, n. 13172, Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892; Cass., sez. 3, 27/02/2023, n. 5815). È stato opportunamente chiarito, del resto, che «condizione essenziale della tutela revocatoria in favore del creditore è il pregiudizio alle ragioni dello stesso, per la cui configurabilità, peraltro, non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo, invece, sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta la esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità» (Cass., sez. 2, 29/03/1999, n. 2971; Cass., n.11892/16, cit.).
È pur vero che questa Corte in altre occasioni (Cass., sez. 3, 15/07/2009, n. 16464; Cass., sez. 3, 22/05/2015, n. 25733) ha affermato che «A norma dell’art. 2901, primo comma, cod. civ., il presupposto dell’azione revocatoria costituito dal pregiudizio alle ragioni del creditore si riferisce anche al pericolo di danno, la cui valutazione è rimessa alla concreta valutazione del giudice; con la conseguenza che, ove oggetto dell’azione revocatoria sia un atto di compravendita di un bene già ipotecato, se ad agire è un creditore chirografario, il pregiudizio deve essere specificamente valutato nella sua certezza ed effettività – con riguardo al potenziale conflitto tra il creditore chirografario e il creditore garantito da ipoteca, e quindi in relazione alla concreta possibilità di soddisfazione del primo con riguardo all’entità della garanzia reale del secondo»; e che Cass., sez. 5, 31 gennaio 2018, n. 2336 ha ritenuto che, qualora il curatore fallimentare eserciti l’azione revocatoria ordinaria, ha l’onere
dimostrare, per attestare la sussistenza del presupposto dell’ eventus damni , che il credito dei creditori ammessi al passivo (o di alcuni di loro) sia sorto anteriormente al compimento dell’atto addotto come pregiudizievole, nonché se il mutamento del patrimonio del debitore a seguito del compimento dell’atto suddetto sia stato tale da rendere quest’ultimo, appunto, pregiudizievole; va tuttavia osservato che la corte territoriale non si è discostata dal principio secondo cui l ‘ azione revocatoria opera a tutela dell’effettività della responsabilità patrimoniale del debitore, ma non produce effetti recuperatori o restitutori, al patrimonio del medesimo, del bene dismesso, tali da richiederne la libertà e capienza, poiché determina solo l’inefficacia dell’atto revocato e l’assoggettamento del bene al diritto del revocante di procedere ad esecuzione forzata sullo stesso. Ne consegue che la presenza di ipoteche sull’immobile trasferito con l’atto oggetto di revoca non esclude, di per sé, un pregiudizio per il creditore (e, dunque, il suo interesse ad esperire tale azione), posto che le iscrizioni ipotecarie possono subire vicende modificative o estintive ad opera sia del debitore che di terzi (Cass., sez. 3, 13/08/2015, n. 16793; Cass., n. 11892/16, cit.; Cass., n. 40745/21, cit.). Il che esclude, diversamente da quanto sostenuto dalle parti ricorrenti, che, ai fini della sussistenza dell’ eventus damni , il creditore che agisce in revocatoria debba dimostrare l’effettiva e concreta probabilità di realizzo del proprio credito sul bene oggetto dell’atto di disposizione.
Con il secondo motivo -così rubricato: ‹‹ sulla esistenza dei requisiti dell’azione revocatoria violazione di norme di diritto relative al pagamento del prezzo ed al sotteso onus probandi ›› -le ricorrenti attingono la sentenza nella parte in cui ha ritenuto integrati i presupposti dell’azione revocatoria e mancante la prova del pagamento del prezzo pattuito con l’atto dispositivo.
Precisano che nell’atto di compravendita oggetto di revocato ria era stato indicato il prezzo di vendita di euro 1.563.000,00, da versarsi, quanto ad euro 86.339,18, a mezzo assegno circolare emesso dalla Deutsche Bank all’ordine di NOME COGNOME e, quanto ad euro 1.476.660,82, mediante accollo dei debiti in linea capitale come da ipoteche iscritte in favore della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e della Banca Popolare di Novara; essendo l’assegno circolare mezzo di pagamento diretto a procurare al portatore del titolo l’immediata disponibilità della somma in esso indicata, la sentenza impugnata aveva errato nella parte in cui aveva affermato che il pagamento della somma di euro 86.339,18, per la quale vi era quietanza, dovesse essere provato in giudizio e nella parte in cui aveva attribuito rilevanza alla mancata ottemperanza, da parte del terzo, all’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ.; evidenziano che il creditore, terzo rispetto al negozio accessorio dell’accollo, non poteva mettere in dubbio le modalità di pagamento del prezzo che l’acquirente avrebbe pagato o potuto pagare se non fosse nelle more intervenuto il concordato preventivo della società RAGIONE_SOCIALE Deducono, quindi, che il pagamento del prezzo dei beni oggetto di compravendita risultava comunque provato per le caratteristiche intrinseche delle modalità di estinzione della relativa obbligazione e che la Corte d’appello, oltre ad avere errato nella distribuzione dell’onere probatorio in considerazione di quanto dichiarato dalle parti nell’atto e delle stesse modalità di pagamento, avrebbe anche mal valutato il presupposto della consapevolezza del pregiudizio da parte della venditrice e dell’acquirente.
2.1. La censura è inammissibile in quanto non risulta volta a censurare la ratio decidendi dell ‘impugnata sentenza .
2.2. Difatti, la c orte d’appello ha ritenuto non raggiunta la prova del pagamento dell’intero prezzo pattuito ‹‹ in quanto in gran parte
realizzato (per euro 1.476.660,82 su un totale di euro 1.563.000,00) tramite l’accollo da parte dell’acquirente di debiti pregressi della venditrice, senza che però sia stata data la prova né della liberazione da parte dei creditori del debitore originario, né dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie oggetto di accollo da parte del terzo accollante, né della liberazione dei beni compravenduti dalle ipoteche volontarie su di essi gravanti poste a garanzia dei debiti oggetto di accollo ›› .
In tal modo il giudice di merito ha inteso evidenziare che l’accollo del debito costituisce soltanto l’assunzione da parte dell’accollante dell’obbligo di far conseguire all’accollato la liberazione dalle sue obbligazioni, cosicché, sino a quando tale liberazione non sia stata conseguita, non può dirsi che l’accollante abbia adempiuto la propria obbligazione verso l’accollato; tanto rende evidente che l’obbligazione di corrispondere la maggior quota di prezzo, sulla base di quanto accertato dalla Corte d’appello, non può ritenersi soddisfatta.
A siffatta argomentazione, di per sé dirimente, la c orte d’appello ha invero aggiunto l’ulteriore considerazione che, quand’anche si fosse voluto ritenere effettivamente pagato alla garante-venditrice il prezzo della compravendita , comunque l’ eventus damni doveva ritenersi sussistente, in applicazione del consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, per cui il danno o il pericolo di danno per i creditori può concernere sia l’entità, in termini di valore economico, della garanzia patrimoniale del debitore, sia la qualità dei beni che formano oggetto della medesima, qualità che risulta sicuramente pregiudicata nel caso, come quello in esame, di sostituzione dei beni immobili, facilmente aggredibili per natura, con beni come il denaro che, invece, è facilmente occultabile (tra le tante, (Cass. 14/07/2023, n. 20232; Cass., n. 1896/2012; Cass., n. 23685/2014).
La mossa censura non attinge invero idoneamente l’accertamento
svolto dal giudice de gravame.
2.3. Del tutto aspecifiche si rivelano, inoltre, le contestazioni mosse dalle ricorrenti alla sentenza impugnata in punto di elemento soggettivo, a fronte della puntuale indicazione, contenuta nella motivazione della sentenza impugnata alle pagine 9 – 10 – 11, dei numerosi elementi presuntivi, dai quali il giudice di appello ha desunto la prova della consapevolezza in capo alla COGNOME ed alla società acquirente del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, vertendosi in ipotesi di atto dispositivo posteriore all’insorgenza del credito.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, al competente ufficio del merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione