Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20882 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20882 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 12752-2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e del socio COGNOME NOME (c.f. e P_IVA), con sede in Pesaro (PU), INDIRIZZO, in persona del Curatore pro tempore AVV_NOTAIO, rappresentati, assistiti e difesi dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso, indirizzo PEC iscritto nel REGINDE EMAIL.
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, con sede legale a RAGIONE_SOCIALE (INDIRIZZO), INDIRIZZO, C.F. e P.IVA:P_IVA, in persona del Presidente e legale rappresentante in carica, AVV_NOTAIO, difesa e rappresentata dall’AVV_NOTAIO del Foro di Pesaro, come da procura speciale alle liti in calce al controricorso.
-controricorrente –
avverso il decreto n. 4183/2021 emesso dal Tribunale di Pesaro in data 29/03/2021, pubblicato il 29/03/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/4/2024
dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RILEVATO CHE
Con sentenza pubblicata in data 15.11.2018, il Tribunale di Pesaro dichiarava il fallimento della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e del socio illimitatamente responsabile NOME COGNOME NOME.
La Bcc di RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE (BBC), presentava insinuazione allo stato passivo della società e a quello del socio per l’importo di euro 224.650,30 al privilegio ipotecario, di cui euro 179.745,84, quale debito residuo in linea capitale per un mutuo ipotecario fondiario stipulato in data 13.02.2014 ed euro 26.484,48 per una apertura di credito ipotecaria di euro 100.000,00 stipulata in pari data, oltre ad interessi sino alla dichiarazione di fallimento e spese.
In sede di progetto di stato passivo il Curatore proponeva l’ammissione del credito della RAGIONE_SOCIALE, tanto nella massa della società che in quella del socio, in via chirografaria per complessivi euro 223.975,43, motivando l ‘esclusione del privilegio ipotecario nello stato passivo della società dal fatto che l’ipoteca era stata concessa sui beni del socio accomandatario; q uanto all’esclusione del privilegio nello stato passivo del socio essa era stata giustificata in ragione dell’azione revocatoria ordinaria dell’ipoteca volontaria esperita in via incidentale, ex artt. 67 l. fall. e 2901 cod. civ.
Il g.d., con decreto del 15 aprile 2019, depositato il 17 aprile 2019, ammetteva il credito in via chirografaria, rilevando altresì l’inopponibilità dell’ipoteca ex art. 2901 c.c. poiché collegata ad un contratto di mutuo finalizzato ad estinguere pregressi debiti della società nei confronti dello stesso istituto di credito e dunque stipulato, nella sostanza, al fine di concedere alla RAGIONE_SOCIALE una prelazione di cui era priva; confermava, infine, la natura di atto a titolo gratuito dell’ipoteca , stabilendo che l’ipoteca iscritta dalla RAGIONE_SOCIALE in occasione dell’apertura di credito c oncessa ad un cliente, già
debitore per il saldo passivo di precedente contratto di c.c., costituiva garanzia di tale preesistente obbligazione e non poteva, dunque, considerarsi contestuale al sorgere del credito garantito in funzione della qualificazione della sua costituzione quale atto a titolo oneroso; il giudice delegato, infine, evidenziava che il socio COGNOME, all’atto della concessione di ipoteca, era pienamente consapevole che l’ipoteca avrebbe pregiudicato i propri creditori personali sia quelli preesistenti sia quelli futuri, tenuto conto che l’ipoteca veniva prestata quando ancora la società era una società di capitali allorquando il socio non rispondeva personalmente dei debiti sociali.
5. La RAGIONE_SOCIALE impugnava il decreto del g.d. relativo allo stato passivo del socio NOME COGNOME, chiedendone l’ammissione in via privilegiata e sostenendo: (i) che il contratto di mutuo non era finalizzato ad estinguere pregresse debiti della società; (ii) che COGNOME NOME non era socio illimitatamente responsabile della società mutuataria e, solo successivamente all’erogazione del mutuo, la società di capitali era stata trasformata in sRAGIONE_SOCIALE; (iii) lo COGNOME non sarebbe stato a conoscenza della situazione economica/contabile della società, sicuramente non sospetta nel febbraio del 2014; (iv) lo COGNOME non aveva obbligazioni preesistenti e non era tenuto a rispondere di quelle societarie, non sussistendo -sempre secondo la RAGIONE_SOCIALE – in capo ad COGNOME né la scientia damni né il consilium fraudis previsti dal codice civile.
6. Con decreto n. 4183/2021 emesso in data 29/03/2021 e pubblicato il 29/03/2021, il Tribunale di Pesaro, nella resistenza della curatela fallimentare, accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ritenendo di condividerne le ragioni e disattendendo le argomentazioni della curatela.
Più nello specifico, per quanto rileva in questa sede, il Tribunale di Pesaro: (a ) ha disatteso la qualificazione dell’atto in esame come atto a titolo gratuito, asserendo che la concessione dell’ipoteca era stata data per ragioni di liquidità ed era stata contestuale all’insorgere del credito garantito, riqualificando pertanto l’operazione come atto a titolo oneroso; (b) ha ritenuto che, con riferimento alla revocatoria della ipoteca, quale atto a titolo oneroso successivo al sorgere del credito, la prova del pregiudizio in capo agli altri creditori non fosse stata raggiunta e che, in ogni caso, in considerazione del patrimonio personale del socio COGNOME non appariva configurabile un
pregiudizio per i creditori; (c ) parimenti, il Tribunale, anche nell’ipotesi in cui l’atto incriminato fosse stato considerato anteriore al sorgere del credito, ha ritenuto non dimostrata la preordinata volontà dello RAGIONE_SOCIALE di spogliarsi del proprio patrimonio e che la RAGIONE_SOCIALE avesse partecipato dunque a tale dolosa preordinazione.
Il decreto, pubblicato il 29/03/2021, è stato impugnato dal RAGIONE_SOCIALE e del socio COGNOME NOME con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il fallimento ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo ed il secondo motivo il fallimento ricorrente lamenta la ‘ nullita’ del decreto del Tribunale di Pesaro per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 66 l.f. e 1362-1363-1369 e 2901 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio in riferimento all’articolo 360 n. 5 c.p.c .’ , sul rilievo che il Tribunale di Pesaro avrebbe erroneamente qualificato -ai fini dell’esperimento della revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. in sede fallimentare la concessione di una ipoteca volontaria nell’ambito di una operazione di mutuo fondiario, quale atto oneroso anziché gratuito. Tale qualificazione – aggiunge il fallimento ricorrente – sarebbe stata, in parte, determinata da un vizio di motivazione contenuto nella ‘ sentenza di primo grado ‘ -che viene sollevato sulla scorta dell’articolo 360 cpc n.5 – il quale, poi, avrebbe inevitabilmente costituito il presupposto delle violazioni e falsa applicazione delle predette disposizioni di legge.
1.1 I motivi, così articolati, sono inammissibili.
1.1.1 Ricorda, infatti, il Fallimento ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE aveva presentato opposizione allo stato passivo, in merito all ‘ esclusione della prelazione ipotecaria, in ragione della revoca incidentale eccepita, rilevando, con riferimento alla questione della estinzione delle ‘ passività pregresse ‘ , che il contratto di mutuo non fosse a ciò finalizzato, in quanto dalla documentazione
bancaria allegata sarebbe emerso che la società RAGIONE_SOCIALE alla data del 31.12.2013 utilizzava il fido concesso dalla BCC (euro 100.000,00) sconfinando di soli euro 3.615,40 e alla data di erogazione del mutuo il saldo attivo ammontava ad euro 98.845,24.
Sottolinea il Fallimento che il documento allegato sub.15 altro non sarebbe stato che un estratto conto bancario e non documentazione che attestasse l’esistenza di un fido , evidenziando inoltre che n ull’altro la RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto, nella propria opposizione, con specifico riguardo all’estinzione delle passività.
1.1.2 A ciò il ricorrente aggiunge inoltre che, nella propria memoria di costituzione nel giudizio di opposizione, aveva contestato le asserzioni della RAGIONE_SOCIALE ribadendo come risultasse per tabulas che la somma erogata era stata quasi totalmente utilizzata per coprire debiti pregressi e ne aveva dato compiuta dimostrazione; con la conseguenza che sarebbe evidente che mediante tale operazione la RAGIONE_SOCIALE era rientrata dalla esposizione di euro 100 mila e aveva trasformato il relativo credito in ipotecario, risultando pertanto priva di pregio la difesa della RAGIONE_SOCIALE sul punto, la quale aveva sostenuto che l’operazione di mutuo non av esse ‘chiuso’ alcuna pregressa passività , in quanto la correntista godeva di un fido di euro 100 mila.
1.1.3 Sostiene, infatti, la curatela che la RAGIONE_SOCIALE non aveva affatto dimostrato che la correntista usufruisse di un fido di euro 100.000,00 e che, in ogni caso, ammesso e non concesso che vi fosse un fido di tale importo, sarebbe stato oltre modo chiaro che la RAGIONE_SOCIALE lo aveva revocato, atteso che, successivamente all’accreditamento del mutuo, il conto corrente non era più stato negativo.
1.1.4 Su una erogazione di euro 200.000,00, quasi euro 160.000,00 erano stati utilizzati per coprire pregresse passività, trasformando il debito da chirografo in privilegiato (circa 100 mila mediante azzeramento del saldo passivo ed altri 55 mila per chiudere le fatture anticipata andate insolute). Ciò nonostante il Tribunale di Pesaro ha, invece, erroneamente qualificato l’operazione come atto a titolo oneroso .
1.1.5 Si evidenzia, dunque, sempre da parte del Fallimento ricorrente, che il provvedimento impugnato dovrebbe essere cassato per motivazione apparente enunciabile tramite l’articolo 360 cpc sub 5 ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e ciò con particolare riferimento a quella parte della motivazione con la quale il Tribunale di Pesaro ha dato atto che la correntista, poi fallita, avrebbe beneficiato di un fido di euro 100 mila e che pertanto, al momento della erogazione del mutuo nel febbraio del 2014, il conto presentava uno sconfinamento di soli euro 3.615,40.
Diversamente -aggiunge il ricorrente – nel caso in cui non vi fosse stato alcun fido, il conto corrente avrebbe presentato un debito della correntista per euro 103.615,40.
1.2 Le doglianze, articolate una volta sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e, sotto altro profilo, come vizio di omesso esame di fatto decisivo, sono comunque formulate in modo inammissibile.
1.2.1 Sotto il primo profilo, giova ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017).
Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata.
Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Orbene, le doglianze proposte, come violazione e falsa applicazione di legge, non tendono, in realtà, ad evidenziare un vizio di errata sussunzione di una fattispecie concreta nel paradigma applicativo delle norme di cui si assume la falsa applicazione (artt. 66 l. fall. e 2901 cod. civ.), ma cercano di sollecitare, invano, questa Corte di legittimità ad un nuovo scrutinio della quaestio facti di cui si pretenderebbe, da parte del fallimento, una diversa lettura tramite un rinnovato apprezzamento delle prove documentali sopra ricordate in premessa, così proponendo censure che esulano, con tutta evidenza, dall’ambito applicativo del sindacato di legittimità.
1.2.2 Ma anche sotto il versante del dedotto vizio di omesso esame di fatto decisivo, declinato sotto il paradigma applicativo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., le censure non colgono nel segno ed anzi risultano, al pari delle prime, inammissibili, perché, contrariamente a quanto richiesto dalla norma processuale da ultimo ricordata (per come perimetrata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità: Cass. n. 8053/2014), non enucleano affatto un ‘fatto storico’, dibattuto nel giudizio e decisivo ai fini del decidere, nel cui omesso esame sarebbero incorsi i giudici del merito, ma cercano di sollecitare questa Corte ad una rilettura degli atti istruttori, nella diversa prospettiva di far ritenere l’atto di concessione dell’ ipoteca un atto a
titolo gratuito perché diretto, dopo il sorgere del credito, a trasformare, in favore della banca creditrice, un credito chirografario in credito ipotecario, tramite l ‘ utilizzazione della provvista nascente dal mutuo per l ‘ estinzione di passività pregresse.
Si tratta, anche qui, un nuovo apprezzamento della fattispecie concreta della quale si vorrebbe accreditare una diversa lettura del suo contenuto probatorio che, tuttavia, esula dalla cognizione del giudice di legittimità.
A ciò va aggiunto che le doglianze prospettate dal Fallimento ricorrente risultano completamente fuori centro rispetto al dettato normativo di cui si invoca la violazione, posto che la questione da dibattere non è tanto quella dell’ interpretazione del contratto, né quella della qualificazione dell’atto come gratuito o oneroso, dipendendo l ‘ onerosità non già dal contenuto del contratto, ma dalla contestualità fra prestazione di garanzia e credito.
Ed invero, una volta accertato che almeno parte del credito era contestuale, circostanza ammessa dallo stesso fallimento ricorrente, l ‘ onerosità era da considerarsi conseguente.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato ‘ per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 66 l.f. 2697-2727-2728-2901 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ‘, sul rilievo che il Tribunale avrebbe ritenuto non configurabile la revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c. in relazione ad un atto a titolo oneroso (concessione di ipoteca) successivo al sorgere del credito, ricordando che la Corte di merito aveva già escluso la natura gratuita dell’atto.
3.1 Sostiene il ricorrente che, quanto all’accertamento dell’ eventus damni , il provvedimento del Tribunale andrebbe altresì censurato nella parte in cui ha preso in considerazione il patrimonio del socio fallito.
Assume, infatti, il fallimento ricorrente che, in ragione di ciò, sarebbe stato evidente che, per effetto della costituzione di ipoteca del 2014, la garanzia patrimoniale dello RAGIONE_SOCIALE si sarebbe significativamente modificata, posto che la stessa era stata diminuita di euro 580 mila, pari al valore degli immobili che venivano fatti oggetto di ipoteca, laddove rimanevano nel patrimonio solo beni per un valore di euro 400 mila, alcuni dei quali gravati già da altre
ipoteche, con conseguente diminuzione del patrimonio immobiliare utilmente posto a garanzia dei creditori.
3.2 Anche in tal caso il Tribunale di Pesaro non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali consolidati in relazione all’art. 2901 c.c., statuendo che ‘….. la garanzia ipotecaria prestata dal socio COGNOME in favore di RAGIONE_SOCIALE di Pesaro, valutata ex ante, non ha arrecato alcun pregiudizio ai suoi creditori personali, godendo egli di un patrimonio residuo idoneo a soddisfare le loro ragioni ‘.
S econdo l’orientamento prevalente in materia di revocatoria ordinaria, invece, ad integrare il pregiudizio alle ragioni del creditore ai sensi dell’art. 2901 c.c. sarebbe sufficiente che l’atto dispositivo provochi una variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio del debitore tale da mettere a rischio le ragioni del creditore.
Ai fini probatori, poi, non sarebbe richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore all’epoca della disposizione patrimoniale di cui il creditore faceva valere l’inefficacia, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito sociale.
3.2.1 Le doglianze sin qui esposte, nel terzo motivo di ricorso, sono anch’esse inammissibili.
Sul punto è utile ricordare che, in tema di accertamento del requisito dell’ eventus damni nel caso di azione revocatoria ordinaria (qui azionata in via di eccezione), la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha effettivamente precisato che, in tema di revocatoria ordinaria esercitata dal fallimento, spetta al curatore la dimostrazione dell'”eventus damni”, ovvero dell’effetto pregiudizievole dell’atto di cui si chiede la revoca, atteso che l’onere della prova della sufficienza del patrimonio residuo a soddisfare le ragioni creditorie non può, da un lato, gravare sul debitore – in quanto il curatore rappresenta contemporaneamente sia la massa dei creditori sia il debitore fallito – né, d’altro canto, essere posto a carico del convenuto beneficiario dell’atto, in quanto, in ossequio al principio della vicinanza della prova, quest’ultimo non è tenuto a conoscere l’effettiva situazione
patrimoniale del suo dante causa (Cass. Sez. 3, sentenza n. 2336 del 31/01/2018; Cass. n. 8931 del 2013).
Sul punto è stato altresì statuito che, in materia di azione revocatoria ordinaria di un atto di disposizione patrimoniale compiuto da società di capitali successivamente dichiarata fallita, il curatore, al fine di dimostrare la sussistenza dell'”eventus damni”, ha l’onere di provare la consistenza dei crediti vantati dai creditori ammessi al passivo fallimentare; la sussistenza, al tempo del compimento del negozio, di una situazione patrimoniale della società che mettesse a rischio la realizzazione dei crediti sociali ed il mutamento qualitativo o quantitativo della garanzia patrimoniale generica, rappresentata dal patrimonio sociale, determinato dall’atto dispositivo (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19515 del 19/07/2019; così anche: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 7201 del 18/03/2024).
3.2.2 Ciò posto, ritiene tuttavia il Collegio che il Tribunale non abbia in realtà disapplicato i principi di diritto sopra ricordati, posto che -tramite l’apprezzamento della ‘capienza residua’, al netto, cioè, dell’atto dispositivo impugnato, del patrimonio del debitore poi fallito – ha invero svolto anche un apprezzamento improntato alla ‘variazione qualitativa e quantitativa’ del predetto patrimonio, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte e sopra ricordata, affidando, pertanto, il Tribunale tale valutazione ad una valutazione in fatto, non più sindacabile in questo giudizio di legittimità, per lo meno sotto l’egida applicativa del dedotto vizio di violazione e falsa applicazione di legge.
E ciò a maggior ragione se si considera che la giurisprudenza più risalente affidav a tale apprezzamento proprio alla valutazione del ‘patrimonio residuo’ 3.3 Ma il Fallimento ricorrente deduce, sempre nel terzo motivo di ricorso, che il provvedimento impugnato sia censurabile anche nella parte in cui non ha ritenuto sussistente in capo alla RAGIONE_SOCIALE il requisito della consapevolezza del pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato alle ragioni dei creditori (c.d. scientia damni ).
La criticità denunciata dal fallimento riguarderebbe proprio la questione ‘ della descrizione dell’andamento generale della società e della posizione debitoria
della società fallita, ricostruita e ampiamente richiamata dalla Curatela nel corso del giudizio di primo grado ‘ .
Sostiene, cioè, il Fallimento che avrebbe dato conto di tutta una serie di elementi societari (atto di trasformazione, visure, bilanci, libero inventari, in luogo del bilancio, e della posizione debitorie con gli Istituti di RAGIONE_SOCIALE), e ciò al fine di ricavarne, come poi avvenuto, una serie di forti ed univoci elementi presuntivi utilizzabili al fine di dimostrare, stante il ruolo di terzietà che contraddistingue il Curatore nel momento in cui lo stesso esercita l’azione revocatoria, la sussistenza dei requ isiti soggettivi dell’azione revocatoria.
Per quanto poi atteneva alla specifica consapevolezza del pregiudizio in capo alla RAGIONE_SOCIALE, e, cioè, del possibile danno che possa derivare dall’atto dispositivo, il ricorrente osserva come anzitutto la RAGIONE_SOCIALE fosse perfettamente a conoscenza del fatto che il bene sul quale costituire l’ipoteca -rappresentasse il cespite di maggior rilievo dello RAGIONE_SOCIALE (bene stimato in oltre un milione di euro), oltre al fatto che la RAGIONE_SOCIALE conosceva gli altri beni costituenti il patrimonio e dunque era in grado di apprezzarne e percepirne le modificazioni.
Senza considerare -aggiunge il Fallimento che la RAGIONE_SOCIALE non era un ‘terzo’ qualunque, ma il maggior creditore della società RAGIONE_SOCIALE, della quale lo RAGIONE_SOCIALE, al momento della concessione dell ‘ ipoteca, rivestiva la carica di Presidente del Cda e socio di maggioranza.
Sarebbe stato, dunque, verosimile che la RAGIONE_SOCIALE avesse conosciuto perfettamente la situazione patrimoniale immobiliare dello stesso.
Tali elementi presuntivi avrebbero dovuto condurre -aggiunge il ricorrente il Tribunale di Pesaro a ritenere dimostrato l’elemento soggettivo in capo alla RAGIONE_SOCIALE.
Pertanto, proprio nella mancata valutazione degli elementi presuntivi adotti dalla Curatela si sostanziava anche la censura consistente nella violazione e falsa applicazione degli articoli 2727-2728 del codice civile.
3.4 Anche tale ulteriore censura è all’evidenza inammissibile.
3.4.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte di legittimità (cfr. da ultimo anche: Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022) in tema di prova presuntiva, il giudice è
tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. anche: Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Cass. n.15737 del 2003).
Ciò posto, risulta evidente che le doglianze prospettate dal fallimento si appuntano proprio su una diversa ricostruzione della quaestio facti , proponendo così alla Corte di legittimità una diversa lettura degli atti istruttori per accreditare anche una diversa valutazione del requisito della scientia damni , profilo invece non sindacabile, nei termini sopra prospettati, in questo giudizio.
4. Con il quarto e quinto motivo il fallimento ricorrente propone vizio di ‘ nullita’ della decreto del Tribunale di Pesaro per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 66 l.f.- 2500 sexies comma 4 c.c. – 2697-2727-
27282901 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio in riferimento all’articolo 360 n. 5 c.p.c. ‘.
4.1 Il fallimento ricorrente intende, cioè, censurare la motivazione del decreto impugnato laddove ha ritenuto non configurabile la revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c. in relazione ad un atto a titolo oneroso (concessione di ipoteca) anteriore al sorgere del credito, ricordando come il Tribunale avesse comunque già escluso la natura gratuita dell’atto.
4.2 Ricorda il ricorrente che la revocatoria si inseriva nell’ambito di una trasformazione societaria della RAGIONE_SOCIALE) avvenuta ad aprile 2014, resasi indispensabile e necessaria – pena la messa in liquidazione della stessa a seguito di una ingente perdita registrata alla fine dell’esercizio 2013, la quale ammontava ad € 264.182,49 , come risultava dal Libro inventari della società.
A ciò doveva essere aggiunta la circostanza che la società, sempre al 31.12.2013, aveva debiti per circa 1.500.000,00 tra i quali proprio l’ingente debito della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il conto corrente (euro 103 mila e per il conto anticipi per 143 mila circa).
Si evidenzia ancora che, poco prima della trasformazione, nel mese di febbraio 2014, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva maturato una esposizione di conto corrente per oltre euro 100 mila (oltre ad essere ‘scoperta’ per circa euro 55 mila per fatture anticipate) concedeva all’RAGIONE_SOCIALE un mutuo ipotecario di euro 200 mila, a fronte del rilascio di una ipoteca volontaria di primo grado (contestualmente alla BCC di Pesaro) sul 50% di un immobile di ingente valore di proprietà dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, amministratore, socio e direttore tecnico della RAGIONE_SOCIALE.
Ne conseguiva la proposizione dell’ eccezione revocatoria dell’ipoteca dello RAGIONE_SOCIALE, all’epoca terzo datore , ai sensi dell’articolo 66 L.F. e 2901 c.c. , quale atto dispositivo compiuto dal debitore anteriormente al sorgere del credito ed in quanto tale dolosamente preordinato.
4.3 Secondo il ricorrente, per ‘sorgere del credito’ ex art. 2901 c.c. si doveva intendere la trasformazione societaria ovvero il momento in cui i creditori sociali erano divenuti creditori del socio, circostanza quest’ultima che non
sarebbe stata affatto considerata, valutata e colta dal Tribunale di Pesaro. Sempre secondo la prospettiva del fallimento ricorrente, la società, verificatasi la perdita dell’intero capitale sociale, avrebbe dovuto prima essere trasformata in sas e, successivamente, il socio avrebbe dovuto concedere l’ipoteca sul proprio bene, evitando di pregiudicare la garanzia patrimoniale dei creditori sociali, ma in tal caso avrebbe certamente esposto la RAGIONE_SOCIALE al serio e concreto rischio – considerata la perdurante crisi della società – che l’atto potesse essere attaccato dai numerosi creditori della società (al 31.12.2013 il passivo era di 1,5 milioni di euro), che, a seguito della trasformazione e per effetto dell’art.2500 sexies c.4 c.c., sarebbero divenuti creditori del socio COGNOME NOME.
4.4 Anche queste ulteriori doglianze risultano formulate in modo inammissibile, posto che la circostanza che la trasformazione societaria sopra descritta fosse intervenuta solo dopo la concessione dell’ipoteca, e non viceversa, come invece avrebbe auspicato la curatela fallimentare, a tutela degli interessi del ceto creditorio da quest’ultima rappresentato (ipoteca concessa dal socio, poi, divenuto illimitatamente responsabile, con conseguente denunciata elusione del disposto normativo di cui all’art. 2500 sexies cod. civ.), rappresentava, nel percorso argomentativo della impugnata motivazione, solo un mero elemento indiziario per la dimostrazione della sussistenza del consilium fraudis e della partecipatio , profilo in relazione al quale si registra, per quanto già sopra detto, un adeguato supporto argomentativo, con la conseguenza che le doglianze così proposte in questa sede scadono in una richiesta di rivalutazione del merito, come tale estranea al giudizio di legittimità.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 23.4.2024