Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33704 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33704 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36106/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende; – controricorrente e ricorrente incidentale- contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende; – controricorrente e ricorrente incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende; -controricorrente- contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1979/2019 depositata il 07/05/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/09/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
l’avvocato NOME COGNOME agiva davanti al Tribunale di Monza con rito ordinario per la condanna delle società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, di COGNOME NOME, di NOME COGNOME, della società RAGIONE_SOCIALE, di COGNOME, della società RAGIONE_SOCIALE per ottenere il pagamento di crediti per compensi professionali contestati nell’an e nel quantum dai convenuti nonché per ottenere ai sensi dell’art. 2901 c.c. la dichiarazione di inefficacia dell’atto, in data 29 aprile 2009, tra COGNOME NOME e NOME COGNOME, di costituzione di un fondo patrimoniale, dell’atto in data 20 settembre 2010, di modifica del fondo, dell’atto di compravendita immobiliare in data 29 aprile 2011, tra la società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE (venditrice) e la società RAGIONE_SOCIALE (acquirente), dell’atto, contestuale al precedente, di compravendita immobiliare tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Marco e C. (venditrice) e la società RAGIONE_SOCIALE (acquirente). Il Tribunale di Monza accoglieva le domande liquidando gli importi dovuti all’attore e dichiarando l’inefficacia degli atti suddetti.
La Corte di Appello di Milano rigettava gli appelli.
Contro la sentenza della Corte di Appello in epigrafe hanno proposto ricorso COGNOME NOME e NOME COGNOME (ricorso principale in quanto notificato prima degli altri, il 21.11.2019), RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale accomandataria della RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE con ricorsi notificati in data successiva (il 25.11.2019) che pertanto divenivano ricorsi incidentali;
l’avvocato NOME COGNOME ha depositato controricorso per resistere al ricorso principale e ai ricorsi incidentali;
sono rimasti intimati la RAGIONE_SOCIALE, la spa RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE;
i ricorrenti in via principale e i ricorrenti in via incidentale hanno depositato controricorsi dichiarando reciprocamente di aderire alle altrui prospettazioni;
i ricorrenti principali hanno depositato memoria in cui hanno dichiarato di rinunciare al primo motivo di ricorso. Hanno anche depositato nota spesa;
NOME ha depositato memoria in cui ha dichiarato di rinunciare al primo motivo di ricorso;
la RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria;
il controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1. con il primo motivo del ricorso principale e con il primo motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME erano state proposte censure di error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. in riferimento all’art.112 c.p.c., e di violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n.3, in riferimento agli artt. 158, 162, 384 c.p.c. e all’art. 3 comma 1, e 14, comma 1 e 4, del d.lgs. n. 150/2011, per avere la Corte di Appello ritenuto di decidere nel merito la controversia invece di rilevare che il giudizio era stato proposto dall’avvocato COGNOME con rito ordinario e non con il rito previsto dall’art. 14 del d.lgs. 150/2011, che il Tribunale aveva proceduto erroneamente con tale rito e pronunciato con sentenza invece che con ordinanza inappellabile, che, quindi, la sentenza di primo grado era nulla con conseguente necessità di
rimettere la causa al Tribunale di Monza per la rinnovazione del processo con il rito appropriato;
il motivo che precede è stato oggetto di rinuncia, per cui non è richiesta alcuna pronuncia al riguardo;
il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME veicolano le censure di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., e di error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4 c.p.c., in riferimento all’art.112 c.p.c.
Si sostiene che, a fronte della eccezione degli allora appellanti secondo cui l’avvocato COGNOME avrebbe riscosso acconti non dichiarati, la Corte di Appello avrebbe, per un verso, erroneamente dato peso alle dichiarazioni dell’avvocato COGNOME che aveva negato di aver riscosso acconti e aveva detto di aver predisposto prenotule nel corso delle prestazioni professionali con l’intenzione di emettere la fattura in caso di pagamento poi non avvenuto, per altro verso, ritenuto una registrazione effettuata dal COGNOME il 28.0 6.2014 inutilizzabile perché disconosciuta dall’avvocato e comunque nel merito non conducente, per altro verso ancora, sminuito elementi a sostegno della menzionata eccezione tra cui, in particolare, una sentenza penale di condanna per falso materiale a carico dell’avvocato fondata sulla predetta registrazione .
4. Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha evidenziato che le prenotule emesse dall’avvocato COGNOME prodotte dagli originari convenuti -i quali avevano sostenuto trattarsi di documenti consegnati dall’avvocato al momento del pagamento di acconti e con la promessa, non mantenuta, che questi ultimi sarebbero stati scomputati dalla pretesa finale- erano prive di rilievo in quanto non attestavano il pagamento. Ha poi osservato che in sede di interrogatorio l’avvocato non aveva ammesso di aver riscosso acconti. Ha
rimarcato che le dichiarazioni erano prive di contraddizioni e prive di ‘inverosimiglianze’. Ha valutato la registrazione effettuata dal COGNOME come ininfluente in quanto essa conteneva riferimenti generici a pratiche seguite dal professionista per le quali questi non avrebbe avuto ‘neanche un centesimo’ da pretendere ma non conteneva alcun elemento che consentisse di legare quei riferimenti alle specifiche pratiche oggetto del giudizio allora pendente davanti alla Corte di Appello.
A fronte di questo, il motivo, al di là della rubrica, si riduce ad una rilettura dell’intero compendio istruttorio, che viene contrapposta a quella della Corte d’Appello. Si scontra con quanto ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione’ (Cass. , Sez. 1 , Sentenza n. 6774 del 01/03/2022); ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita
dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. , Sez. Un., n. 20867 del 30/09/2020); ‘In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. n. 20867/2020 cit.);
5. il terzo motivo del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale di NOME veicolano le censure di violazione o falsa applicazione degli artt. 2 del d.m. n. 55/2014, 115 e 116 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura di error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., in riferimento all’art. 112 c.p.c. Si sostiene la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere corretto il riconoscimento, da parte del Tribunale in favore dell’avvocato COGNOME di importi per spese relativi ai singoli incarichi malgrado che l’avvocato COGNOME non avesse dimostrato di avere sostenuto alcuna spesa. Si sostiene inoltre che la Corte di Appello avrebbe altresì errato nel non compensare le spese del giudizio malgrado che le pretese avanzate dall’avvocato per compensi fossero state accolte in misura solo parziale.
6. Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha infatti affermato che ‘le anticipazioni’ indicate dall’avvocato non erano mai state contestate in primo grado. Le spese sono state pertanto riconosciute in corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c.
Quanto alla doglianza per cui la Corte di Appello avrebbe dovuto compensare le spese, la stessa è inammissibile atteso che la compensazione delle spese del giudizio costituisce una facoltà discrezionale ed insindacabile del giudice del merito;
il quarto motivo del ricorso principale e il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME e il motivo (unico) del ricorso della RAGIONE_SOCIALE veicolano le censure di violazione o falsa applicazione degli artt. 2901 e 167 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura di error in procedendo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., in riferimento all’art.112 c.p.c. A queste censure la RAGIONE_SOCIALE unisce quella di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 comma 2° c.p.c. nonché degli artt. 2 e 111 Cost.
7.1. Si sostiene che la Corte di Appello nel dichiarare inefficaci gli atti posti in essere dai ricorrenti (atti indicati al punto 1. della superiore premessa) non avrebbe tenuto conto della esiguità delle somme per cui l’avvocato COGNOME era stato riconosciuto creditore (16 mila euro circa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; 16 mila euro circa nei confronti della Costruzione Lombarde e, fino a concorrenza di 11 mila euro circa nei confronti del COGNOME; 10 mila euro circa nei confronti della Ceresa e della COGNOME) rispetto alla ‘congruità del patrimonio’ della RAGIONE_SOCIALE, avrebbe svalutato l’offerta, fatta da essi ricorrenti già in primo grado e poi nel corso del giudizio di appello, di pagamento delle somme pretese dall’avvocato, avrebbe errato nel ritenere sussistente l’elemento soggettivo delle azioni revocatorie.
7.2. La Immobiliare NOME lamenta altresì che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere insussistente a carico dell’avvocato
NOME il presupposto dell’abuso del diritto e del processo laddove invece tale presupposto era dato dal rifiuto dell’avvocato di acconsentire alla cancellazione delle trascrizioni pur dopo che allo stesso era stato offerto il pagamento delle somme riconosciute a suo credito e nell’aver annotato la sentenza di primo grado a lui favorevole mantenendo una trascrizione su beni immobili di valore assolutamente sproporzionato rispetto al credito accertato dal Tribunale.
8. Le doglianze di cui al punto 7.1. sono, nei limiti che seguono, fondate.
Il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria (art. 2901 c.c.) ricorre nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta la consistenza patrimoniale del debitore o determini una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito.
La Corte di Appello ha osservato che il pregiudizio provocato alle ragioni del professionista dagli atti a titolo gratuito posti in essere dai coniugi COGNOME, di costituzione del fondo patrimoniale e di integrazione del fondo, mediante i quali i coniugi avevano vincolato tutti i loro immobili era in re ipsa e che il pregiudizio provocato alle predette ragioni creditorie dagli atti della società RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE con la società RAGIONE_SOCIALE era dato dal fatto che mediante tali atti le due società alienanti si erano spogliate di quasi tutto il loro patrimonio immobiliare. Ha anche rimarcato che era onere del debitore dimostrare la sufficienza del patrimonio residuo a garantire il pagamento del credito mentre, nel caso di specie, non vi erano indicazioni sulla sufficienza dei due box e dei posti auto rimasti nel patrimonio della RAGIONE_SOCIALE a soddisfare i crediti dell’avvocato.
Queste osservazioni paiono ineccepibili. Per giurisprudenza consolidata di legittimità infatti, ‘Il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. “eventus damni”) ricorre non
solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (cfr. Cass. n. 7767/2007; Cass. n. 1896/2012; Cass. n. 1902/2015; Cass. n. 13172/2017).
In riferimento alle superiori affermazioni il motivo è dunque infondato.
La Corte di Appello ha poi aggiunto che gli allora appellanti avevano offerto più volte ed infine anche spontaneamente pagato le somme riconosciute dal Tribunale all’avvocato ma il pagamento era stato eseguito ‘con riserva di ripetizione in sede di gravame’ , talché la sua esecuzione non escludeva l’eventus damni .
Questa osservazione non è condivisibile.
Se la mera offerta da parte del debitore convenuto in revocatoria, di pagamenti rateali, anche laddove congiunta con la promessa di concessione, da parte del beneficiario dell’atto dispositivo, di ipoteca sui beni oggetto di controversia, non è sufficiente per escludere il pregiudizio (v. Cass. n. 19207 del 19/07/2018), diverso è il caso di pagamento integrale non sussistendo più, in questo caso, l’esigenza di dichiarare, a garanzia del credito, l’inefficacia dell’atto di disposizione del patrimonio (in tema v., Cass. Sez. 2, sentenza n.21100 del 04/11/2004).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha errato laddove non ha ritenuto cessato l’interesse alle azioni revocatorie a fronte del pagamento integrale del credito, di cui, pure, la stessa Corte di Appello ha dato conto. Né è condivisibile l’affermazione della Corte
di Appello secondo cui l’esigenza di dichiarare l’inefficacia degli atti dispositivi a garanzia dei crediti dell’avvocato COGNOME malgrado il pagamento, persisteva per essere stato il pagamento eseguito ‘con riserva di ripetizione in sede di gravame’. Va premesso, al riguardo, che, non avendo l’attuale controricorrente impugnato la sentenza di primo grado, i crediti erano ormai fissati nel massimo nella misura definita dal Tribunale e, nel limite di questa misura, i crediti erano garantiti dalla acquisizione da parte del creditore della somma (maggiore) versata dagli attuali ricorrenti. Se i crediti fossero risultati inesistenti, la somma avrebbe dovuto essere restituita e tuttavia, sotto il profilo della persistenza dell’esigenza di garanzia, non vi sarebbe stato alcunché da garantire. Se i crediti fossero risultati esistenti in misura inferiore a quella definita dal Tribunale, la somma avrebbe dovuto essere restituita in parte e tuttavia la disponibilità della parte residua sarebbe stata comunque sufficiente ad estinguere i crediti.
Va sotto altro profilo precisato che l’interesse ad agire dell’attore in revocatoria deve permanere sino al momento della decisione definitiva e che il suo venir meno comporta, indipendentemente dall’originaria fondatezza della domanda, l’inammissibilità della domanda in questo senso potendo provvedere la stessa Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ. allorché non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto.
9. La censura di cui al superiore punto 7.2. è infondata. Sostiene la Immobiliare Monica che la Corte di Appello avrebbe violato l’art. 96 c.p.c. non riconoscendo l’abuso del processo commesso dall’avvocato con il rifiutare il consenso alla cancellazione delle trascrizioni pur dopo aver ricevuto l’offerta di pagamento delle somme riconosciute a suo credito e nell’aver annotato la sentenza di primo grado a lui favorevole mantenendo una trascrizione su beni immobili di valore assolutamente sproporzionato rispetto al credito accertato dal Tribunale. La Corte di Appello ha
correttamente osservato che rientra nella libera valutazione della parte vittoriosa decidere se aderire o meno ad una offerta e, quanto, alla pretesa sproporzione, che l’azione revocatoria non determina un vincolo rapportato al valore dei beni.
10. In conclusione, deve darsi atto della rinuncia al primo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale proposta da NOME COGNOME deve essere accolto, per quanto di ragione, il quarto motivo del ricorso principale, coincidente con il quarto motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME in proprio e quale accomandataria della due società appena dette, e parzialmente altresì coincidente con il motivo unico di ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, devono essere rigettati i ricorsi per il resto; deve essere cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti, può essere decisa nel merito dichiarandosi inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le azioni proposte dall’odierno controricorrente ai sensi dell’art. 2901 c.c.
11. Per quanto concerne le spese processuali, deve essere confermato il regime stabilito per il primo grado e, in ragione della sostanziale soccombenza, il regime stabilito dalla Corte di Appello per il secondo grado e, sempre per la medesima ragione, devono essere poste a carico dei ricorrenti, in solido, le spese del presente procedimento, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, dato atto della rinuncia al primo motivo di ricorso principale e al primo motivo del ricorso incidentale di COGNOME, in proprio e quale accomandataria della RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE, accoglie, per quanto di ragione, il quarto motivo del ricorso principale, coincidente con il quarto motivo del ricorso incidentale di COGNOME, in proprio e quale accomandataria della
RAGIONE_SOCIALE di Ceresa RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, e parzialmente altresì coincidente con il motivo di ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, rigetta tutti i ricorsi per il resto;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti dei ricorsi principale e incidentali, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le azioni proposte ai sensi dell’art. 2901 c.c.;
conferma la liquidazione delle spese per il primo grado di giudizio; conferma la liquidazione delle spese per il secondo grado di giudizio; condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3. 500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda