Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9075 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9075 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2368/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliati presso il domicilio digitale dei medesimi
Pec:
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE AMMINISTRATIVA, in persona dei commissari liquidatori e legali rappresentanti, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO
COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 265/2022 depositata il 27/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Banca Popolare di Vicenza SpA in Liquidazione Coatta Amministrativa convenne NOME COGNOME la moglie NOME COGNOME e i figli NOME COGNOME e NOME COGNOME per sentir pronunciare la revocatoria dell’atto istitutivo di fondo patrimoniale stipulato i n data 26/2/2016 e l’atto di costituzione di vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. di cui ad altro rogito.
La Banca dichiarò di essere creditrice di NOME COGNOME, ex componente del consiglio di amministrazione, per crediti risarcitori conseguenti ad un giudizio di responsabilità promosso dalla banca nei confronti del medesimo e di altri ex vertici aziendali per asserita mala gestio, che avrebbe determinato la dissipazione del patrimonio della banca, e, a sostegno della domanda, la Banca allegò l’atto di citazione per azione di responsabilità sociale pendente ed i procedimenti amministrativi promossi dalla Consob nei confronti del COGNOME da cui erano derivate sanzioni per oltre € 200.000 ,00.
Il Tribunale di Udine accolse la domanda dichiarando l’inefficacia dei due atti dispositivi posti in essere dall’ex amministratore in favore della moglie e dei figli.
A seguito di appello, la Corte d’Appello di Trieste, con sentenza pubblicata il 27 giugno 2022, ha rigettato il gravame ritenendo che i fatti dai quali scaturiva il credito della banca erano antecedenti rispetto
al la stipula degli atti revocati, che sussisteva sia l’ eventus damni, sia la scientia damni, che l’intestazione solo fiduciaria al COGNOME di un immobile, in realtà di proprietà esclusiva della moglie, non valeva ad inficiare la motivazione della sentenza di primo grado.
Ugualmente la corte del merito ha ritenuto irrilevanti gli argomenti degli appellanti relativi al l’estraneità del COGNOME a qualunque profilo di responsabilità penale, ritenendo certo che il credito fosse sorto nel periodo in cui il medesimo era componente del consiglio di amministrazione della banca ed aveva posto in essere condotte integranti inadempimento ai relativi obblighi; non ha attribuito alcun rilievo alla circostanza che il COGNOME fosse coperto da assicurazione, essendo il credito comunque di molto superiore al massimale ed ha escluso che il patto di fiducia, intercorso tra marito e moglie ai fini dell’intestazione fittizia di un immobile al marito , pur essendo di proprietà esclusiva della moglie, potesse essere opponibile ai terzi, essendo stato l’acquisto della proprietà del bene trascritto anche in favore del COGNOME.
Avverso la sentenza che, rigettando integralmente l’appello , ha condannato gli appellanti alle spese, i soccombenti propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Resiste la Banca Popolare di Vicenza SpA in liquidazione coatta amministrativa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e, comunque, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti -i ricorrenti lamentano che la corte del merito ha ignorato che la responsabilità penale dei fatti addebitati era stata accertata solo nei confronti dell’Amministratore
Delegato e del Presidente della banca mentre il COGNOME -amministratore senza deleghe – avrebbe dovuto essere ritenuto del tutto estraneo alle condotte contestate. Peraltro, non avendo chiarito il momento esatto in cui l’attività omissiva del COGNOME aveva smesso di perpetuarsi, la corte sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 2 901 c.c. Il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente si limita a riproporre la stessa censura articolata in grado di appello senza evidenziare, se non in modo del tutto generico e aspecifico, quale sarebbe stato il vizio di sussunzione. La tesi, già esposta nel grado di appello e riproposta in questa sede, è che il COGNOME, in quanto amministratore senza deleghe, non avrebbe potuto essere chiamato a rispondere di attività illecite poste in essere da altri, sicché ciò avrebbe determinato in particolare l’assenza dell’elemento soggettivo per procedere in revocatoria.
Il motivo è inammissibile in quanto è volto a sollecitare, da parte di questa Corte, una rilettura dei fatti e delle prove e a ribadire, inammissibilmente in termini di mera contrapposizione, la propria tesi difensiva secondo cui, essendo stato in qualità di amministratore sanzionato dalla Consob per un importo superiore ad € 200.000,00, ed avendo adottato in qualità di membro del Consiglio di Amministrazione della società molti atti pregiudicanti in modo evidente la condizione patrimoniale della stessa società, all’atto di adottare atti dispositivi del proprio patrimonio, cinque mesi prima rispetto alla cessazione dalla carica di amministratore, non avesse consapevolezza del pregiudizio che gli stessi arrecavano alle ragioni creditorie.
Con il secondo motivo -violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. ed omesso esame di fatto decisivo -i ricorrenti si dolgono che la corte del merito abbia ritenuto provata la scientia damni del COGNOME pur avendo il Gip di Vicenza archiviato il procedimento nei confronti di tutti i consiglieri di amministrazione indagati perché i fatti erano
accaduti a loro insaputa e per esclusiva responsabilità di un gruppo ristretto di funzionari che aveva agito in clandestinità.
Il motivo è inammissibile.
Sotto il profilo della consapevolezza del COGNOME, le rationes decidendi dell’impugnata sentenza -che ha escluso di poter esentare il medesimo dall’obbligo di avere contezza di quanto avveniva nella banca di cui era amministratore- non risultano invero idoneamente censurate.
Va posto in rilievo che l’inammissibilità discende altresì dalla violazione dell’art. 360, co. IV c.p.c., applicabile ratione temporis secondo cui: ‘ Quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma numeri 1, 2, 3 e 4. I motivi sono infatti prospettati formalmente anche quale vizio di sussunzione ma sono entrambi volti a censurare la motivazione dell’impugnata sentenza pur in presenza di una pronuncia cd. ‘doppia conforme’.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 10.200 ,00, di cui euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile